Ignazio Marino ha ritirato le dimissioni

Il sindaco di Roma resta al suo posto, almeno per ora; tocca capire cosa farà il PD

Ignazio Marino ha ritirato le sue dimissioni da sindaco di Roma. Marino aveva annunciato le sue dimissioni l’8 ottobre e le aveva formalizzate il 12. La legge prevede che «le dimissioni presentate dal sindaco diventano efficaci ed irrevocabili trascorso il termine di 20 giorni dalla loro presentazione al consiglio», Marino aveva alluso alla possibilità di ripensarci già quando aveva annunciato le dimissioni e lo aveva fatto più volte in questi giorni; uscendo dal Campidoglio ha detto che intende cercare «una discussione franca» in Consiglio comunale e confrontarsi così con la sua maggioranza.

La prossima mossa spetta adesso al Partito Democratico, che si trova da mesi in una situazione delicata e contraddittoria: il PD è il partito di Ignazio Marino ed è stato il principale sostenitore della sua giunta, ma ora è anche il partito che gli chiede di dimettersi e considera chiusa la sua esperienza da sindaco di Roma. Secondo i giornali il commissario del PD di Roma, Matteo Orfini, ha chiesto allora ai consiglieri comunali del partito che si dimettano immediatamente, così da far decadere Marino dall’incarico di sindaco privandolo della maggioranza. Due giorni fa Orfini aveva detto al Corriere che l’intera situazione «è un balletto ridicolo»: «sinceramente mi dispiace per Marino, credo stia facendo una figuraccia. Se Marino non ritira le dimissioni tanto meglio, se invece lo fa decideremo. Valuteremo quale sia la strada migliore da seguire ma l’esperienza di Marino è finita». L’assessore e magistrato Alfonso Sabella ha detto a Sky che non esistono più le condizioni per lavorare in giunta e ha chiesto di non essere chiamato assessore; il vicesindaco Marco Causi e l’assessore Stefano Esposito hanno detto di essersi già dimessi.

Marino si era dimesso dopo due anni di mandato apprezzato da alcuni e giudicato fallimentare da altri. In due anni ha cambiato la giunta per tre volte dopo aver perso, per dimissioni spontanee o richieste, otto assessori su dodici. Lui non è mai stato coinvolto direttamente nelle inchieste giudiziarie sul ruolo della mafia in città ma è stato criticato per una sua generale inadeguatezza e impopolarità, e anche per episodi nei quali c’entrava poco o con motivazioni pretestuose, come le improbabili polemiche sulla sua Panda, di cui si parlò tuttavia lungamente su molti giornali. È capitato anche che lo stesso Marino abbia involontariamente aiutato i suoi critici con un atteggiamento non proprio conciliante, e a un certo punto è stato persino criticato dal Papa per la sua presenza negli Stati Uniti durante la sua visita. L’ultimo episodio, quello che poi ha portato alle dimissioni, ha riguardato una serie di accuse di scarsa trasparenza – e sospetti di peculato – riguardo alcune spese di modesta entità da lui sostenute con la carta di credito del Comune.

La legge prevede che nei 20 giorni che seguono alle dimissioni ufficiali il sindaco possa ancora revocarle: in quello stesso periodo sindaco, giunta e consiglio possono esercitare solo poteri di ordinaria amministrazione. Scaduti i 20 giorni le dimissioni diventano efficaci: si procede, in base all’articolo 141 del Testo unico sugli enti locali, allo scioglimento effettivo del consiglio e alla contestuale nomina di un commissario. Con le dimissioni del sindaco cadono infatti anche la giunta e tutte le altre cariche: i consiglieri comunali e – nel caso di Roma – anche i quattordici presidenti di Municipio, che in totale sono quindici (quello di Ostia era già stato sciolto per mafia). Marino tuttavia non ha interpretato questo periodo di 20 giorni come “ordinaria amministrazione”, almeno dal punto di vista politico: tra le altre cose ha firmato le controverse nomine di tre consiglieri d’amministrazione della Fondazione Musica per Roma e martedì inaugurando un viadotto in periferia ha detto: «Noi abbiamo mostrato discontinuità, Roma deve andare avanti». Lo scorso 23 ottobre Marino ha anche detto che forse si ricandiderà a sindaco di Roma, il 25 ottobre si è rivolto a un migliaio di suoi sostenitori e gli aveva detto: «Voi mi chiedete di ripensarci. Io ci penso e non vi deluderò».