Il referendum con cui la Grecia sfidò l’Europa, nel 1920
Con un altro voto "di orgoglio" il popolo scelse di riportare sul trono re Costantino I: le conseguenze furono disastrose
Lo scorso 5 luglio gli elettori greci hanno respinto con un referendum le proposte dei creditori internazionali per un nuovo prestito che avrebbe evitato la bancarotta al paese. A prescindere da come sia poi andata a finire, il risultato del voto è stato presentato da molti in quei giorni come un gesto d’orgoglio: un atto di sfida verso gli stati più ricchi e potenti, anche a costo di affrontare dure conseguenze. Non è la prima volta che i greci scelgono di non cedere alle richieste della comunità internazionale per ribadire la propria indipendenza, finendo però per ritrovarsi in situazioni economicamente molto difficili.
Un caso simile avvenne nel 1920, quando la Grecia era in guerra contro la Turchia (1919-1922), ed è raccontato dallo storico Lou Ureneck, professore all’università di Boston, sul New York Times. Il conflitto era iniziato dopo che i greci avevano invaso il territorio dell’Impero ottomano, ed era il risultato della complicata situazione internazionale successiva alla fine della Prima guerra mondiale. Quando scoppiò la guerra la Grecia era guidata da re Costantino I, malvisto da Regno Unito e Francia perché troppo filo-tedesco: aveva studiato in Germania, era stato addestrato nell’esercito tedesco, aveva prestato servizio nella Guardia imperiale tedesca e aveva sposato una sorella del kaiser Guglielmo II. Costantino I decise di rimanere neutrale, una posizione criticata dal primo ministro greco, il liberale Eleftherios Venizelos.
La Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) aveva proposto a Venizelos di entrare in guerra al suo fianco in cambio di alcuni territori che all’epoca si trovavano nell’Impero ottomano – schierato con la Triplice Alleanza – e in particolare di Smirne, una ricca città mercantile sull’Egeo abitata in gran parte da greci. Venizelos voleva allargare i confini della Grecia in Asia Minore, così da conquistare le zone dell’Impero ottomano abitate dai greci: tramò a lungo contro il re, che alla fine decise di andare in esilio per evitare una guerra civile e abdicò in favore del figlio Alessandro I, poco più che ventenne.
La Triplice Intesa aveva però promesso alcuni territori greci anche all’Italia, sempre per convincerla a entrare in guerra al suo fianco. Durante i trattati di pace del 1919 i diplomatici italiani rivendicarono Smirne ma l’allora primo ministro britannico David Lloyd George e il presidente statunitense Woodrow Wilson appoggiarono la Grecia. Quando fu chiaro che non avrebbe ottenuto neanche Fiume – che le era stata promessa – l’Italia abbandonò i negoziati e inviò le navi da guerra ad assediare Smirne. A quel punto, racconta sempre Ureneck, Wilson e George appoggiarono e autorizzarono l’invasione greca in Anatolia: «i risultati furono disastrosi. L’arrivo dei greci nel maggio del 1919 alimentò il nazionalismo turco e ben presto i ribelli turchi risposero all’esercito greco». La Grecia – che aveva inviato 250 mila soldati su un totale di quattro milioni di abitanti – si trovò impantanata in una guerra costosa che risucchiò molte delle sue risorse, tanto da dover contare sui prestiti internazionali.
La situazione precipitò nell’ottobre del 1920, quando Alessandro I venne morso da una scimmia mentre passeggiava nei giardini reali: la ferita si infettò e pochi giorni dopo il re morì di setticemia. Dichiarare la repubblica, come voleva Venizelos, sarebbe stato un passo avventato, ma gli altri due figli di Costantino rifiutavano di salire al trono finché il padre era in vita. Nel frattempo a novembre si tennero le elezioni legislative: il partito di Venizelos, responsabile della guerra contro la Turchia, perse disastrosamente e i suoi esponenti fuggirono in esilio. Il nuovo governo indisse un referendum per decidere sul ritorno o meno di Costantino I. Francia e Regno Unito minacciarono di togliere i prestiti e il sostegno alla Grecia se Costantino fosse tornato sul trono. Nonostante questo il 99 per cento degli elettori – anche se alcuni storici parlano di brogli – votò a favore del suo rientro; la dracma si svalutò tantissimo e la Grecia si ritrovò isolata.
Nell’agosto del 1922 l’esercito turco sconfisse quello greco e il 9 settembre riconquistò definitivamente Smirne: più di un milione di greci fu cacciato dall’Anatolia, mettendo fine a oltre tremila anni di presenza greca in Asia Minore. I rifugiati scapparono in Grecia, aumentando la popolazione del 25 per cento e portandola a quasi cinque milioni di persone. Non c’erano abbastanza cibo e medicine per tutti, però: migliaia di persone morirono di fame e malattie, il centro di Atene, il Pireo (il suo porto) e Salonicco erano pieni di gente che viveva e dormiva per strada. La rabbia e il risentimento finirono per permeare la vita pubblica e politica del paese. Costantino abdicò in favore del primogenito Giorgio II e morì dopo quattro mesi di esilio in Sicilia.
Ureneck conclude il suo articolo chiedendosi se «la Grecia di oggi sarebbe una nazione più stabile e ricca se i greci del 1920 avessero assecondato gli Alleati e lasciato Costantino in Svizzera». Il tentativo di espandersi con una guerra in Anatolia probabilmente era già fuori portata per una nazione così piccola, spiega, ma è crollato del tutto dopo il referendum. «La storia non perde tempo con i se e i ma, però è in grado rivelare alcuni schemi ricorrenti: allora come oggi il popolo greco, indipendente e ribelle, ha dimostrato di essere disposto a pagare un caro prezzo pur di affermare l’orgoglio e la sovranità nazionale».