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  • Giovedì 2 luglio 2015

La storia di Nicholas Winton, che è morto ieri

Nel 1939 mise in salvo centinaia di bambini ebrei dalla Cecoslovacchia e per decenni non ne parlò a nessuno: è morto a 106 anni

di Emily Langer – Washington Post

Alcuni giovani rifugiati arrivati a Londra dalla Cecoslovacchia il 12 gennaio 1939 (AP Photo)
Alcuni giovani rifugiati arrivati a Londra dalla Cecoslovacchia il 12 gennaio 1939 (AP Photo)

«Chi si occuperà dei bambini?». È questa la domanda che si fece Nicholas Winton, un agente di cambio inglese 29enne, quando nel 1938 capitò a Praga. Mentre la guerra si espandeva in tutta l’Europa, alcune associazioni umanitarie avevano iniziato a prendersi cura degli ebrei e di altri gruppi di persone minacciate dalla Germania di Hitler. Ma Winton si accorse che nessuno stava pensando ai bambini che abitavano in Cecoslovacchia.

Ispirandosi a Kindertransport, un’operazione di salvataggio per i bambini attiva in Germania e Austria, Winton si diede una missione che definì la sua “impresa bellica”. Durante la Seconda guerra mondiale è stato stimato che Winton abbia salvato le vite di almeno 669 fra ragazzi e ragazze: per decenni, però, non parlò a nessuno di cosa aveva fatto. Negli ultimi anni l’operazione di Winton è diventata nota a tutti: quando Winton è morto l’1 luglio, a 106 anni, la sua storia è tornata su molti giornali. Spesso ci si riferiva a lui come allo “Schindler britannico”: un riferimento al famoso Oskar Schindler, un imprenditore tedesco che riuscì a mettere in salvo 1.200 ebrei e la cui vita è stata resa famosa dal celebre film di Steven Spielberg Schindler’s List.

Ma Winton non era molto a suo agio con gli onori che gli vennero assegnati quand’era ancora in vita, fra cui un cavalierato ricevuto dalla regina Elisabetta: era solito dire che quell’operazione gli aveva occupato «solamente nove mesi di una vita molto lunga».

Quei nove mesi iniziarono nel dicembre del 1938. All’epoca le potenze europee avevano firmato da pochi mesi l’accordo di Monaco, che permetteva alla Germania di annettere parte del territorio della Cecoslovacchia, quello abitato dai Sudeti. Il primo ministro britannico Neville Chamberlain profetizzò che quell’accordo avrebbe garantito diversi anni di pace.

Un giorno Winton si stava preparando per una giornata di sci quando un suo amico, Martin Blake, lo chiamò per dirgli che la gita era annullata. Aggiunse Blake: «Devo andare a Praga. Ho un incarico molto interessante e ho bisogno del tuo aiuto. Raggiungimi il più presto possibile. E non portare gli sci». Blake, un maestro di scuola, era socio della “British Committee for Refugees from Czechoslovakia”, un’associazione che si occupava di assistere ebrei e altri gruppi di persone perseguitate dal regime nazista che avevano lasciato i territori della Cecoslovacchia occupati dai tedeschi.

Winton ha detto al Washington Post che ai tempi si definiva il «segretario onorario della divisione per l’infanzia della “British Committee for Refugees from Czechoslovakia”: gli altri, mi definivano solamente un ingenuo totale».

Winton occupava una stanza in un hotel in piazza San Venceslao – e più tardi un ufficio – nel quale riceveva moduli da genitori che cercavano di far emigrare i propri figli dalla Cecoslovacchia. Migliaia di famiglie facevano la coda fuori dalla sua porta, secondo una testimonianza raccolta dal museo dell’Olocausto statunitense. Ricorda Winton che «ciascuno riteneva che il proprio caso fosse il più urgente. Ma come potevo io – o qualsiasi altra persona a Londra – sapere quale fosse il più urgente fra i casi? Spesso si trattava di storie molto brutte».

Con i documenti dei vari casi in mano, Winton tornava in Inghilterra e cominciava a cercare ospitalità per i bambini. Scriveva lettere ai governi, anche: e molti di essi rifiutavano le sue richieste di assistenza. Fra questi c’erano anche gli Stati Uniti: Winton dice che se solo gli Stati Uniti gli avessero dato una mano, sarebbe riuscito a sistemare almeno duemila bambini (molti dei quali perdevano comunque i loro genitori nei campi di concentramento, e non facevano mai più ritorno a casa).

Mentre lavorava alla borsa e servendosi dell’aiuto di alcuni assistenti – inclusa sua madre – Winton metteva insieme o creava appositamente dei documenti per i bambini, raccoglieva i soldi necessari e cercava famiglie interessate a ospitare bambini tramite annunci di giornale o altri strumenti. In Cecoslovacchia, ebbe l’idea di fotografare i bambini in cerca di un ospite: una foto poteva fare molto più di una lista di nomi. Winton stesso ha ammesso che si trattava di una tecnica “commerciale, sporca”, ma che comunque risultò efficace.

Le famiglie che ospitavano i bambini erano ebree, cristiane o di altre fedi religiose. Ma durante quei mesi, Winton ricorda di avere subito notevoli pressioni da alcuni rabbini, che non volevano che i bambini ebrei andassero in affidamento a famiglie cristiane. Winton ricorda di avergli risposto: «Se preferite un bambino ebreo morto piuttosto che uno vivo e vegeto ma allevato da cristiani, questo è un problema vostro, non mio».

Il primo gruppo di bambini partì da Praga il 14 marzo 1939, un giorno prima dell’invasione dei nazisti della Boemia e della Moravia. Sette altri convogli – l’ultimo partì il 2 agosto 1939 – portarono centinaia di bambini in treno in Europa, dove poi attraversavano la Manica in traghetto. Winton ha confessato di avere esultato per ogni bambino portato in salvo, ma di essersi anche reso conto che «per ogni bambino ebreo arrivato sano e salvo in Inghilterra, ce n’erano centinaia ancora bloccati in Cecoslovacchia». L’ultimo treno doveva partire il 3 settembre 1939, e doveva portare in salvo circa 250 bambini: ma due giorni prima la Germania aveva invaso la Polonia. Era stata dichiarata guerra, e di conseguenza le frontiere erano chiuse. Si pensa che nessuno di quei 250 bambini la cui partenza era prevista per quel giorno sia sopravvissuto.

Winton era nato il 19 maggio 1909 a West Hampsted, in Inghilterra. Benché i suoi antenati fossero ebrei, i suoi genitori lo battezzarono in una chiesa anglicana e cambiarono il nome della famiglia (che prima si chiamava Wertheimer). Non si definiva un religioso: «Quando misi in piedi quell’operazione, non lo feci semplicemente perché si trattava di bambini ebrei. Lo feci solamente perché erano bambini, punto». Dopo la guerra, lavorò ancora nell’ambito delle associazioni umanitarie, e andò in pensione del 1967. Nel 1980, sua moglie Grete Gjelstrup stava riordinando cose in soffitta, quando trovò una cartella piena di documenti che testimoniavano l’operazione del 1939. Winton non gliene aveva mai parlato. I documenti finirono in mano a Elisabeth Maxwell, esperta di Olocausto e moglie dell’imprenditore dell’editoria Robert Maxwell. Poco dopo, la storia di Winton trovò spazio nei giornali britannici e in un programma della BBC, “That’s Life!”.

Durante la puntata, a un certo punto, la presentatrice chiese alle persone in sala quanti di loro dovessero la vita a Winton. Fra la sorpresa generale, tutto il pubblico si alzò in piedi.

Winton ha vissuto per lungo tempo a Maidenhead, in Inghilterra, ed è morto nell’ospedale di Slough, nel Berkshire, per cause ancora ignote.

©Washington Post 2015