• Mondo
  • Mercoledì 15 ottobre 2014

In Iraq ci sono ancora armi chimiche

Un'inchiesta del New York Times racconta le omissioni del governo americano sull'esistenza di gas mostarda e sarin: e del rischio che qualcosa sia finito nelle mani dell'IS

FILE - In this Wednesday, Aug. 18, 2010 file photo, U.S. Army soldiers from 2nd Battalion, 23rd Infantry Regiment, 4th Brigade, 2nd Infantry Division race toward the border from Iraq into Kuwait. President Barack Obama on Friday Oct. 21, 2011 declared an end to the Iraq war, one of the longest and most divisive conflicts in U.S. history, announcing that all American troops would be withdrawn from the country by year's end.(AP Photo/Maya Alleruzzo, File)
FILE - In this Wednesday, Aug. 18, 2010 file photo, U.S. Army soldiers from 2nd Battalion, 23rd Infantry Regiment, 4th Brigade, 2nd Infantry Division race toward the border from Iraq into Kuwait. President Barack Obama on Friday Oct. 21, 2011 declared an end to the Iraq war, one of the longest and most divisive conflicts in U.S. history, announcing that all American troops would be withdrawn from the country by year's end.(AP Photo/Maya Alleruzzo, File)

Il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta del giornalista americano Christopher John Chivers sull’esistenza di armi chimiche abbandonate in Iraq. Chivers, vincitore nel 2009 di un premio Pulitzer, ha scritto che in almeno sei occasioni tra il 2004 e il 2011 soldati statunitensi e iracheni sono rimasti feriti in diverse zone dell’Iraq dopo essere stati esposti ad armi chimiche risalenti agli anni di presidenza di Saddam Hussein. In tutto, scrive Chivers, i soldati americani in Iraq hanno trovato circa 5.000 testate e bombe contenenti sostanze chimiche: ma non tutte sono state distrutte. L’inchiesta è basata su interviste a decine di funzionari e membri dell’esercito americano e di quello iracheno e sull’analisi di diversi documenti redatti dall’intelligence statunitense e ottenuti tramite il Freedom of Information Act (una legge statunitense che permette a giornalisti e studiosi di avere accesso agli archivi di stato nazionali e a diversi documenti riservati).

L’inchiesta di Chivers è importante per due motivi: primo, perché dimostra come il governo americano abbia cercato di nascondere la presenza di armi chimiche abbandonate negli anni successivi all’invasione del 2003 (un’invasione giustificata, fra le altre cose, con l’accusa a Saddam Hussein di avere un programma ancora attivo per lo sviluppo di armi chimiche); secondo, perché alcuni depositi in cui sono state trovate queste armi sono ora sotto il controllo dello Stato Islamico, il gruppo estremista sunnita che controlla ampie parti di territorio tra Iraq e Siria. Il retroammiraglio John Kirby, portavoce del segretario della Difesa Chuck Hagel, non ha voluto commentare l’inchiesta del New York Times ma ha detto che sono in corso alcune indagini.

Di che armi chimiche si sta parlando?
Durante gli anni dell’occupazione americana in Iraq (2003-2011) i soldati statunitensi scoprirono diversi depositi nascosti di armi chimiche, in particolare proiettili di artiglieria da 155 millimetri e razzi da 122 millimetri. Si trattava per lo più di armi arrugginite e difficilmente identificabili immediatamente come armi chimiche: alcune erano vuote mentre altre contenevano ancora gas mostarda (iprite) o sarin (un gas nervino). In diverse occasioni i soldati americani riportarono ferite anche piuttosto serie dopo essere stati esposti agli agenti chimici: stando ad alcune testimonianze raccolte da Chivers, ai soldati esposti agli agenti chimici non fu permesso di tornare in territorio statunitense per curarsi, e fu detto loro di non raccontare come erano rimasti feriti.

Le armi trovate dai soldati americani in Iraq risalivano tutte agli anni Ottanta, quando l’Iraq combatté una dura e violenta guerra contro l’Iran. Nelle prime fasi della guerra, alla fine del 1980, Saddam Hussein credette di poter sconfiggere rapidamente l’esercito iraniano, che stava subendo da qualche mese grandi trasformazioni come conseguenza della Rivoluzione khomeinista. L’Occidente, fino ad allora alleato con lo scià iraniano deposto proprio con la rivoluzione, decise di sostenere la guerra di Saddam Hussein per bilanciare il potere del nuovo governo religioso sciita dell’Iran.

Le cose non andarono però come si erano immaginati Saddam Hussein e i governi occidentali: la guerra non finì rapidamente, ma continuò fino al 1988. Saddam cominciò ad essere armato pesantemente dall’esterno e sviluppò un programma segreto – conosciuto come “Progetto 922” – per la produzione di centinaia di tonnellate di gas nervino. E visto che non possedeva le armi per colpire gli obiettivi con gli agenti chimici, comprò anche quelle: molte delle munizioni ritrovate dai soldati americani negli anni Duemila, per esempio, furono progettate negli Stati Uniti, fabbricate in Europa e riempite di agenti chimici da compagnie occidentali in Iraq (l’Italia fornì a Saddam i missili terra-terra). Dopo l’invasione irachena del Kuwait del 1991 – che causò l’intervento americano in quella che si ricorda come la Prima guerra del Golfo – la maggior parte dell’arsenale chimico di Saddam Hussein fu distrutto. Parte di quello che rimase fu trovato dai soldati americani e iracheni dopo il 2003.

Cosa c’entra lo Stato Islamico?
Molti degli episodi in cui i soldati americani sono rimasti esposti ad agenti chimici si sono verificati attorno al Muthanna State Establishment, il centro di produzione degli agenti chimici in Iraq durante gli anni Ottanta. Il centro si trova a nord di Baghdad, dalle parti della città di Samarra, zona che dal giugno del 2014 è sotto il controllo dello Stato Islamico. Nell’estate di quest’anno il governo iracheno ha confermato alle Nazioni Unite che nella zona del Muthanna State Establishment c’erano circa 2500 razzi contenenti agenti chimici. Alcuni funzionari iracheni hanno visto i miliziani dell’IS saccheggiare le strutture prima di spegnere le telecamere di sicurezza.

Il problema è che le armi che gli americani sospettavano contenere agenti chimici non sono state distrutte tutte, come è invece stabilito dalla Convenzione sulle Armi Chimiche: una portavoce del dipartimento della Difesa ha spiegato che queste armi non sono state considerate “un pericolo per la popolazione irachena, per i paesi confinanti, per le forze della coalizione o per l’ambiente”, e per questo non sono state eliminate. Alcuni funzionari che si occupano di non-proliferazione hanno detto che sembra che gli americani abbiano lasciato incustoditi i depositi di armi e non abbiano avvertito la popolazione dei pericoli. Chivers scrive che molto spesso gli stessi soldati americani – che durante la loro permanenza in Iraq erano costantemente il bersaglio dei ribelli iracheni che li vedevano come invasori – non si preoccupavano di comunicare il ritrovamento delle armi chimiche: il procedimento sarebbe stato troppo lungo e impegnativo e avrebbe distratto troppe energie da altre missioni che venivano considerate prioritarie in quel momento. In diverse occasioni, quindi, le armi contenenti agenti chimici furono accatastate assieme ad armi convenzionali o lasciate incustodite nei loro depositi. Il risultato è che oggi queste armi potrebbero essere finite nelle mani dei miliziani dell’IS.