• Mondo
  • Sabato 9 agosto 2014

Il New York Times chiamerà la tortura “tortura”

Per riferirsi alle pratiche di "interrogatorio rafforzato" usate dalla CIA sui prigionieri sospettati di terrorismo: finora aveva usato giri di parole ed eufemismi

Questa settimana il direttore del New York Times, Dean Baquet, ha annunciato che d’ora in avanti il suo giornale userà un nuovo termine per riferirsi alle cosiddette “tecniche di interrogatorio rafforzato”, cioè i procedimenti con cui, fino al 2009, la CIA ha interrogato le persone sospettate di terrorismo. Il nuovo termine sarà molto più semplice e diretto: “torture”. Fino ad oggi il New York Times aveva utilizzato giri di parole ed eufemismi, come “interrogatori duri” o “brutali”. Baquet ha spiegato così la scelta:

Oggi si conosce molto di più [di queste pratiche], ad esempio sappiamo che la CIA ha inflitto la tecnica di soffocamento chiamata “waterboarding” 183 volte su un singolo detenuto. Altre tecniche, come rinchiudere un prigioniero in una cella claustrofobica, togliere il sonno in maniera prolungata e costringere i prigionieri a restare fermi in posizioni dolorose, sono state impiegate continuamente nello sforzo di facilitare gli interrogatori.

Questi nuovi elementi, ha scritto Baquet, derivano dal lavoro che i giornalisti del New York Times hanno compiuto sul lunghissimo e complesso rapporto che il Senato sta preparando sulle pratiche di tortura usate dalla CIA. Si tratta di un rapporto che non è stato ancora pubblicato, ma che dovrebbe essere estremamente critico nei confronti dei metodi utilizzati in passato. Proprio le prime anticipazioni di questo documento hanno spinto Obama poche settimane fa a dichiarare che gli Stati Uniti avevano torturato “un po’ di gente”.

Baquet ha spiegato che quando dieci anni fa divennero pubblici i primi dettagli sulle “tecniche di interrogatorio rafforzato”, i giornalisti del New York Times discussero molto su come definire quello che stava emergendo.

[…] la situazione era confusa. I dettagli di quello che la CIA faceva nelle stanza degli interrogatori erano vaghi. La parola “tortura” ha un preciso significato legale oltre a quello che ha nel linguaggio quotidiano. Per quanto questi metodi suscitarono un dibattito nazionale, il dipartimento della Giustizia insistette nel dire che queste tecniche non rientravano nella definizione legale di tortura. Il New York Times descrisse quello che sapeva del programma ma evitò di dargli una definizione precisa mentre la disputa era ancora in corso.

Baquet conclude scrivendo che d’ora in poi «il New York Times userà la parola “tortura” per descrivere le situazioni in cui sappiamo per certo che è stato inflitto del dolore a un prigioniero con lo scopo di ottenere informazioni».