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  • Venerdì 18 luglio 2014

Mogherini è brava, ma c’è di meglio

L'Economist critica i meccanismi delle nomine europee e fa altre proposte per il responsabile della politica estera

European Commission President Jose Manuel Barroso (L) greets Luxembourg Prime Minister Jean-Claude Juncker prior to a working session of the EU summit on February 4, 2011 at the European Council headquarters in Brussels. European Union foreign policy chief Catherine Ashton on Friday said as she joined an EU summit that a start to dialogue between Egypt's authorities and the opposition was "absolutely essential". AFP PHOTO / JOHN THYS (Photo credit should read JOHN THYS/AFP/Getty Images)
European Commission President Jose Manuel Barroso (L) greets Luxembourg Prime Minister Jean-Claude Juncker prior to a working session of the EU summit on February 4, 2011 at the European Council headquarters in Brussels. European Union foreign policy chief Catherine Ashton on Friday said as she joined an EU summit that a start to dialogue between Egypt's authorities and the opposition was "absolutely essential". AFP PHOTO / JOHN THYS (Photo credit should read JOHN THYS/AFP/Getty Images)

L’ultimo numero dell’Economist contiene un articolo molto critico verso le modalità con cui l’Unione Europea sceglie quelli che la rivista definisce «i suoi incarichi più importanti». La prima parte dell’articolo, in particolare, fa riferimento alle lunghe trattative che hanno portato alla nomina dell’ex primo ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker come prossimo presidente della Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’Unione. Ma nell’articolo si parla a lungo anche di Federica Mogherini, la ministra degli Esteri italiana, in corsa per diventare l’alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera.

Juncker era stato proposto dal Partito Popolare Europeo (il più grande partito europeo di centrodestra), che aveva successivamente ottenuto più voti e seggi alle elezioni europee e aveva perciò ottenuto – per la prima volta nella storia delle elezioni europee – il diritto formale di indicare il presidente della commissione. L’elezione di Juncker, però, è stata complicata dal fatto che il PPE – ma anche il Partito Socialista Europeo: assieme al PPE il partito più “istituzionale” ed europeista – aveva comunque perso molti voti in favore dei partiti euroscettici. Alcuni capi di stato europei, tra i quali soprattutto David Cameron, avevano quindi richiesto di tener conto dell’orientamento del voto e di scegliere una persona che garantisse una minore continuità con le precedenti legislature. Alla fine si è trovato comunque un accordo e i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea hanno sostenuto Juncker, la cui nomina è stata confermata dal Parlamento Europeo. Gli unici ad aver votato “no” durante il Consiglio sono stati Cameron e il controverso primo ministro ungherese Viktor Orbán.

L’Economist – che nelle scorse settimane aveva già criticato Juncker, spiegando che «non sarebbe la prima volta che l’Unione Europea preferisce una mediocrità senza minacce» e che lo aveva definito «probabilmente la migliore delle cattive scelte» – ha spiegato che quella scelta è stata un «insuccesso» che rischia di essere ripetuto nelle prossime settimane con la scelta del presidente del Consiglio Europeo, e soprattutto dell’Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza: in sostanza il ministro degli Esteri dell’Unione Europea.

Secondo l’Economist, dato il complicato momento che sta attraversando l’Unione Europea – fra la crisi economica, la diffidenza di alcuni cittadini verso il progetto e l’invasione russa dell’Ucraina – per le sue istituzioni «non è un buon momento per vacillare». Quindi, al di là di quelle trattative e accordi che la rivista definisce «commercio di bestiame e concessioni simboliche», l’Unione Europea dovrebbe scegliere al più presto – e con criteri più “meritocratici” – le persone a cui assegnare i due importanti incarichi.

Per il primo dei due, sempre secondo l’Economist, un’ottima candidata esiste già: Hellen Thorning-Schmidt, il primo ministro della Danimarca.

«Calza a pennello, in quanto donna di centrosinistra messa lì per controbilanciare Juncker, uomo di centrodestra. L’unica obiezione alla sua elezione è che la Danimarca non è nell’euro. Eppure, date le preoccupazioni riguardo l’eventualità di dividere l’Unione Europea fra quelli che stanno dentro l’euro e quelli che ne stanno fuori, e riguardo il mantenimento al proprio interno del Regno Unito, questo fatto dovrebbe essere una qualità, e non un difetto».

Per quanto riguarda il secondo incarico, quello di Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza, l’Economist riporta una lunga serie di critiche alla principale candidata, cioè Federica Mogherini, allineandosi di fatto a quanti l’avevano criticata nei giorni scorsi per la sua inesperienza – è ministro da meno di cinque mesi, ed è il suo primo incarico di governo – e per la sua presunta vicinanza alle posizioni del governo russo nei confronti dei rapporti con l’Ucraina.

Scrive l’Economist: «nel suo primo viaggio durante i sei mesi di presidenza dell’Italia dell’Unione Europea [Mogherini] ha visitato prima Kiev e poi Mosca, dove ha parlato di compromesso per la situazione ucraina e ha implicitamente accettato gli interessi della Russia in quella zona». Ancora più grave, secondo l’Economist, è stato l’appoggio di Mogherini al progetto del gasdotto South Stream: un progetto molto controverso – appoggiato dall’Italia e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi – che vede la partecipazione di ENI, della francese EDF e della tedesca Wintershall e della russa Gazprom nella realizzazione di un gasdotto che connetterà direttamente Russia e Unione Europea attraverso il Mar Nero e i Balcani, senza passare per l’Ucraina.

L’Economist vede inoltre nei meccanismi di elezione di Mogherini gli stessi che portarono nel 2009 all’elezione per lo stesso incarico di Catherine Ashton, ugualmente criticata all’epoca per la sua inesperienza, e scelta secondo la rivista per dare una specie di contentino all’allora primo ministro inglese Gordon Brown a causa della mancata elezione di Tony Blair, suo connazionale e predecessore, a presidente del Consiglio Europeo. L’elezione di Mogherini, quindi, sarebbe solo un riconoscimento del notevole successo politico del Partito Democratico italiano, il partito più votato d’Europa alle ultime elezioni europee. Ma mentre con Ashton l’Europa la sfangò – «superò le aspettative» e riuscì a ricoprire un ruolo importante nei negoziati con l’Iran e i paesi dell’est Europa, scrive l’Economist – l’incarico di Alto rappresentante è «di quelli grossi» e richiede «esperienza amministrativa e peso politico»: qualità, insomma, che al momento Mogherini non possiede.

L’Economist chiude l’articolo con alcuni suggerimenti:

«al posto della emolliente e poco esperta Mogherini, l’Unione Europea dovrebbe scegliere un astringente pezzo grosso. Una buona scelta sarebbe quella di Emma Bonino, sua connazionale e predecessore. Ancora meglio sarebbero il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski o quello svedese Carl Bildt. L’Unione Europea si è lamentata di non essere sufficientemente presa sul serio nel mondo. Ecco una possibilità per poter cambiare».

foto: JOHN THYS/AFP/Getty Images

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