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  • Venerdì 20 settembre 2013

In Iran stanno cambiando le cose?

Il presidente Rouhani ha parlato di Internet libero, ha scritto a Obama e ha promesso che non svilupperà armi nucleari: ci si chiede se faccia sul serio

In un’intervista alla giornalista Ann Curry della rete televisiva statunitense NBC, il neo presidente dell’Iran Hassan Rouhani ha detto che il suo paese non svilupperà mai armi nucleari, aggiungendo di avere i pieni poteri e la piena autorità per negoziare sul programma nucleare iraniano con l’Occidente. Le dichiarazioni di Rouhani sono state riprese da diversi giornali internazionali e commentate dal governo statunitense, che da 34 anni non ha relazioni diplomatiche con l’Iran e che da più di 30 lavora per bloccarne il processo di arricchimento dell’uranio.

L’intervista a NBC è stata solo la più importante di una serie di aperture politiche che l’Iran ha fatto negli ultimi tre mesi, cioè dalla vittoria di Rouhani alle elezioni presidenziali del giugno scorso che decidevano il successore di Mahmud Ahmadinejad. Non è ancora chiaro quanto queste aperture possano segnare un cambio nella politica estera dell’Iran – quindi quanto il governo di Teheran potrà effettivamente diventare più conciliante specie con gli Stati Uniti – o quanto possano dare inizio a un ampliamento delle libertà nella società iraniana: negli ultimi decenni l’Iran ha spesso “giocato” ad avvicinarsi con l’Occidente, trattare e poi allontanarsi di nuovo, senza grandi e concrete conseguenze. Secondo diversi esperti, comunque, ci sono buone ragioni per essere ottimisti.

Rouhani, 64 anni, presidente dell’Iran dal 15 giugno scorso, aveva già basato la sua campagna elettorale sull’idea di una nuova politica estera che fosse meno antagonista nei confronti dell’Occidente e degli Stati Uniti, e per questo era considerato un candidato “moderato”. Dopo il suo insediamento alcuni membri del nuovo governo hanno pubblicato dei messaggi insoliti fino a quel momento sui social network: il 5 settembre il nuovo ministro degli Esteri, Javad Zarif, aveva fatto gli auguri per il Rosh Hashanah, il capodanno ebraico; poco prima anche su un altro account vicino al presidente iraniano è comparso un messaggio simile. Zafir, interpellato da alcuni giornalisti occidentali, ha aggiunto di non avere mai negato l’Olocausto e che chi lo ha fatto se n’era “andato da tempo” (il riferimento era all’ex presidente Ahmadinejad, conservatore e particolarmente aggressivo verso Israele e l’Occidente).

Anche sul fronte delle relazioni con gli Stati Uniti sembra che ci siano state diverse aperture. Il 15 settembre Barack Obama, intervistato dalla rete ABC News, ha confermato di avere scambiato delle lettere con Rouhani: è la prima volta che un presidente statunitense ha una corrispondenza diretta con il presidente dell’Iran senza passare per la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Due giorni dopo Obama ha spiegato a Telemundo che ci sono indicazioni che Rouhani «sta cercando un dialogo aperto con l’Occidente e con gli Stati Uniti, in un modo che non si è mai visto in passato. E per questo noi dovremmo percorrerlo e verificarlo». Lo stesso Rouhani, durante l’intervista a NBC, ha definito il tono delle lettere «positivo e costruttivo». Rouhani ha ribadito le posizioni concilianti in un suo op/ed pubblicato venerdì sul Washington Post: Rouhani ha parlato di “constructive engagement” (“impegno costruttivo”), cioè la possibilità di stabilire delle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti che si basino sul dialogo e che portino dei guadagni a entrambe le parti (una situazione che in politica estera si chiama di “win-win”).

Ci sono stati poi altri messaggi di apertura: il 18 settembre Rouhani ha deciso la scarcerazione di 11 importanti prigionieri politici, tra cui l’avvocatessa per i diritti umani Nasrin Sotoudeh; nelle ultime settimane ha trasferito la responsabilità dei negoziati sul nucleare dai militari – più conservatori – al ministero degli Esteri; ha parlato in diverse occasioni – l’ultima il 19 settembre con un tweet – della necessità di garantire un accesso libero e completo alla rete, contraddicendo almeno a parole le politiche di censura e filtri sul web adottate fin dal 2009 in Iran.

 

Il New York Times scrive che le aperture diplomatiche di Rouhani e del suo governo sembrano essere state programmate mesi fa e giustificate da ragioni soprattutto di politica interna. Per prima cosa la nuova leadership iraniana si vuole distanziare dalla presidenza di Ahmadinejad, che nella sua ultima fase è stata criticata molto anche in Iran, oltre che all’estero; inoltre, dialogare sul nucleare potrebbe spingere i paesi occidentali e gli Stati Uniti a diminuire la pressione delle sanzioni economiche sull’Iran, che negli ultimi anni ha costretto il paese a ridurre la quantità di petrolio esportato e ha spinto l’inflazione molto in alto, facendo crollare il valore del riyal.

La prossima settimana Rouhani farà la sua prima apparizione da presidente dell’Iran alle Nazioni Unite, a New York. Non è previsto alcun incontro ufficiale con Obama, ha spiegato l’amministrazione statunitense, ma non si esclude che ci possa essere un colloquio tra i due a margine degli incontri ONU. Per il momento, nonostante le prime aperture americane sull’avvio di possibili negoziati con l’Iran, sia Obama che altri membri del suo governo sono rimasti piuttosto cauti sul valutare le reali intenzioni di Rouhani. Rimangono ancora poco chiari alcuni aspetti della politica estera iraniana, come l’appoggio che l’Iran continua a fornire al presidente siriano Bashar al Assad.