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  • Giovedì 12 settembre 2013

Perché uccidere con le armi chimiche è più grave?

Qualche risposta alla domanda che molti si sono fatti quando il loro uso episodico è diventato la svolta di una guerra da 100.000 morti

di Luca Misculin – @LMisculin

A member of the GWR (Great Western Railway) contamination squad prepares for the possibility of gas warfare, 10th December 1941. The GWR now has special railway cleansing vans with airlocks, decontamination showers and dressing rooms, for just such an emergency. (Photo by Fred Morley/Fox Photos/Hulton Archive/Getty Images)
A member of the GWR (Great Western Railway) contamination squad prepares for the possibility of gas warfare, 10th December 1941. The GWR now has special railway cleansing vans with airlocks, decontamination showers and dressing rooms, for just such an emergency. (Photo by Fred Morley/Fox Photos/Hulton Archive/Getty Images)

Dopo essere uscite per alcuni anni dal dibattito politico e dall’interesse giornalistico, nelle ultime settimane si è tornati a discutere molto di armi chimiche, per via del presunto bombardamento del regime di Bashar al-Assad su due quartieri di Damasco, in Siria, la mattina di mercoledì 21 agosto. Nei mesi precedenti i ribelli avevano più volte accusato Assad di usare armi chimiche, e lo stesso aveva fatto un’inchiesta di Le Monde: a un certo punto il presidente statunitense Barack Obama aveva definito l’uso di armi chimiche una «linea rossa», che se oltrepassata avrebbe generato gravi conseguenze. Il 4 settembre Obama ha poi precisato che «è stato il mondo a stabilire questo limite» e non i soli Stati Uniti.

L’escalation verbale – forse anche militare – che ha generato l’attacco di Damasco ha fatto chiedere a molti perché aver ucciso un migliaio di persone con le armi chimiche abbia scosso la comunità internazionale più delle 100.000 persone uccise con armi convenzionali nel corso della guerra civile. Detto che quello sull’inazione dell’ONU è tutto un altro discorso, e molti sostengono che la comunità internazionale si sarebbe in assoluto dovuta muovere molto prima, la domanda è legittima e ha delle risposte.

Obama ha fatto riferimento a una serie di trattati – per ultimo la Convenzione di Parigi sulla Proibizione delle Armi Chimiche del 1993 – coi quali negli anni si è cercato di limitare o impedire la proliferazione degli arsenali di armi chimiche. A oggi si stima che sia stato distrutto circa il 78,57 per cento dell’arsenale chimico in circolazione, pari a 55.939 tonnellate di sostanze. La Convenzione è l’ultima espressione di un pensiero comune che si sviluppò a partire della Prima guerra mondiale nella comunità internazionle: l’utilizzo delle armi chimiche va limitato, se non vietato del tutto.

Secondo l’Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW), un’agenzia intergovernativa che si occupa del disarmo delle armi chimiche, quest’ultime vengono definite generalmente «sostanze chimiche contenute all’interno di un involucro, come una bomba o un proiettile». Secondo l’OPCW, in realtà, la definizione reale sarebbe più complessa: sulla carta moltissime armi “convenzionali” possono contenere sostanze chimiche, aggiunte poco prima del loro utilizzo. Le armi chimiche sono classificate in base all’effetto che producono sull’uomo: esistono quelle irritanti, vescicanti, soffocanti, velenose (letali), inabilitanti, insetticide, eccitanti e deprimenti.

Nonostante il numero dei morti causato da armi chimiche nei confilitti sia sempre stata una piccola parte rispetto al totale – nella Prima guerra mondiale e nell’attuale conflitto in Siria la percentuale è la stessa, cioè vicina all’1 per cento – il loro utilizzo è da molti considerato estraneo al “normale” comportamento bellico.

Un po’ di cose da sapere, prima
Nell’antichità l’uso di armi chimiche, sebbene fosse noto, era piuttosto raro: popolazioni come i Sumeri, i Greci, i Romani e i Cinesi hanno utilizzato con varia frequenza tecniche per avvelenare pozzi o le punte delle proprie frecce, oppure per soffocare i nemici con particolari sostanze tossiche generate da rudimentali reazioni chimiche. Nel Medioevo si diffuse la conoscenza di particolari composti sulfurei che venivano utilizzati durante gli assedi delle città, per asfissiare i nemici.

Con lo sviluppo della chimica moderna, i governi di varie nazioni dotarono il proprio arsenale di sostanze chimiche create artificialmente e sintetizzarono composti da utilizzare in guerra: l’esercito francese fu il primo a lanciare un gas lacrimogeno durante i primi mesi della Prima guerra mondiale, e da lì l’uso si diffuse in fretta. Nel corso della seconda battaglia a Ypres, in Francia, il 22 aprile 1915, l’esercito tedesco attaccò quello francese con del gas clorato: durante le battaglie nei territori al confine fra Francia e Germania, detto il fronte occidentale, si è stimato che furono utilizzate circa 50.965 tonnellate di gas tossici, fra cui cloro, fosgene e iprite. Quest’ultimo è considerato uno dei più dannosi per l’uomo: può penetrare i vestiti e creare piaghe nella pelle difficilmente curabili. Un’elevata esposizione all’iprite può provocare danni gravissimi all’apparato respiratorio e la morte.

Nel 1925, 38 nazioni firmarono il cosiddetto “Protocollo di Ginevra”, che divenne effettivo nel 1928: proibiva l’utilizzo di armi chimiche anche in contesti di guerra, ma non la sua produzione. Nonostante ciò, diversi paesi negli anni successivi violarono il protocollo.

Nel 1935 il dittatore italiano Benito Mussolini ordinò l’utilizzo di gas all’iprite durante la guerra coloniale che l’Italia stava combattendo in Etiopia. Cinque anni più tardi, nel 1940, il Giappone lanciò sul territorio cinese alcune bombe contenenti gas tossici: molte finirono sottoterra e nonostante il governo giapponese si sia impegnato a rimuoverle a proprie spese, fino al 2005 circa duemila cittadini cinesi sono morti in seguito al loro ritrovamento accidentale.

Nel corso della guerra fra Iran e Iraq, fra il 1980 e il 1988, il dittatore iracheno Saddam Hussein fece un largo uso di armi al gas nervino, una particolare famiglia di gas tossici che danneggiano gravemente il sistema nervoso di chi ne viene a contatto: vengono interrotte molte sinapsi che regolano il movimento della muscolatura volontaria, e a meno che la persona colpita non assuma un antidoto poco dopo la contaminazione, la morte arriva dopo pochi minuti e molte sofferenze. Nel marzo del 1988 l’esercito iracheno utilizzò il gas sarin, della famiglia dei nervini, per bombardare la città a maggioranza curda di Halabja, in Iraq: morirono fra le 3200 e le 5000 persone. Fu probabilmente l’episodio più famoso di utilizzo di armi chimiche in un contesto di guerra.

Perché le armi chimiche sono diverse
Fin dall’entrata in vigore della Convenzione di Parigi che le ha messe al bando, in molti hanno obiettato che il divieto di utilizzare armi chimiche è inconsistente o inefficace: le critiche più solide riguardano sia il fatto che si tratta pur sempre di un tipo di arma, pur con tutte le sue particolarità, e che quindi – anche vietandone l’utilizzo – la guerra si può fare in mille altri modi, sia che gli Stati Uniti vogliono vietarle perché strategicamente interessati a mantenere i conflitti sul piano della battaglia “convenzionale”, e quindi più facilmente controllabile: in altre parole, pur disponendo di una forza militare impressionante per grandezza e potenza del proprio esercito, una minaccia batteriologica sarebbe molto poco controllabile per gli Stati Uniti nonché per qualsiasi forza armata di terra. Questo però dice molto in realtà anche del perché le armi chimiche sono considerate così letali e pericolose, e quindi diverse dalle altre.

– Hanno un impatto indiscriminato e poco controllabile: possono diffondersi nell’atmosfera e ricadere successivamente sia su chi le ha utilizzate sia sulla popolazione civile. Al contrario delle armi convenzionali, dell’artiglieria, l’uso di armi chimiche può avere gravi conseguenze anche nel medio e nel lungo periodo.

Sono armi particolarmente sleali: colpiscono «bersagli indiscriminati», spesso civili, provocano morti dolorose oppure lasciano pesanti conseguenze fisiche sui corpi dei sopravvissuti, non forniscono a chi è colpito la possibilità di difendersi o mettersi al riparo.

Possono essere utilizzate da gruppi terroristici anche molto piccoli, spesso non servono nemmeno grandi risorse per produrle. Per questo motivo, secondo l’ex senatore americano Richard G. Luger, «le armi chimiche possono essere considerate la più grande minaccia a una nazione, più di un governo nemico, più di un’intera nazione nemica». Servono invece enormi risorse per smaltirle e dissolverle, altra ragione che le fa giudicare estremamente pericolose.

– Incoraggiano le forze militari a prendersela coi civili: con questo tipo di armi un esercito trova molto più semplice uccidere un numero elevato di civili, come azione di guerra, piuttosto che affrontare un esercito bene organizzato in campo aperto.

– Lo sforzo fatto per vietarne l’utilizzo è stato un buon esempio di cooperazione internazionale: negli anni Ottanta ci fu una grande mobilitazione per abolire l’uso delle cosiddette mine anti-uomo, e secondo il Washington Post l’obiettivo fu raggiunto perché – in parte – molti funzionari e diplomatici erano convinti che esisteva un precedente protocollo che aveva funzionato (quello di Ginevra, pur con le note eccezioni di regimi dittatoriali).

Le campagne simili
L’idea di mettere al bando un tipo di arma perché più letale e pericolosa delle altre, perché uccide con più facilità e maggiore crudeltà, non ha riguardato solo le armi chimiche. Negli anni molte grandi campagne di opinione, soprattutto pacifiste e antimilitariste, hanno chiesto – e in certi casi ottenuto – la messa al mando di vari tipi di armamenti proprio sulla base di questo principio.

Le mine antiuomo, un tipo di bomba che viene sotterrata ed esplode quando una persona ci cammina sopra, nel secondo dopoguerra furono largamente utilizzate in Mozambico, Afghanistan, Angola, Cecenia, Kurdistan e ex Iugoslavia, fra gli altri paesi. Sono considerate anch’esse armi “sleali” in quanto molto spesso finiscono per colpire civili e possono restare inesplose per anni (il 14 agosto di quest’anno sono morte sei persone in Cambogia, per via di una mina anti-uomo inesplosa). Nel 1997, dopo molti anni di manifestazioni e proteste in favore del divieto del loro uso, fu stipulato il “Trattato di Ottawa“, che ne proibisce la produzione, lo stoccaggio e l’utilizzo: 36 stati dell’ONU però non hanno firmato il trattato, fra cui gli Stati Uniti (non vuol dire che le usino). Al 2011, 87 paesi fra i 158 aderenti hanno completato la distruzione delle mine presenti nel proprio arsenale.

Le bombe a grappolo sono un altro particolare tipo di arma utilizzato nei bombardamenti aerei, nel quale una grossa bomba contiene molte “sottomunizioni” secondarie che spesso colpiscono civili oppure vengono parzialmente interrate. Sono state utilizzate in molti conflitti recenti, fra i quali quelli in Iraq, Afghanistan, ex Jugoslavia, Libano, Georgia, Libia. Il 30 maggio del 2008 venne firmata a Dublino la Convenzione contro le bombe a grappolo: anche in questo caso, la Convenzione ne vieta l’uso, la produzione e lo stoccaggio. Per il momento, 107 paesi hanno firmato la Convenzione e 76 l’hanno ratificata. Anche in questo caso grosse potenze militari come Stati Uniti, Russia, Israele e India non hanno firmato la Convenzione (come sopra, non vuol dire che le usino).

foto: Fred Morley/Fox Photos/Hulton Archive/Getty Images