• Mondo
  • Venerdì 3 maggio 2013

Tutte le storie del crollo a Dacca

I morti ora sono 501, ci sono ancora centinaia di dispersi; due persone sono state arrestate; i lavoratori protestano, le aziende tessili sono in imbarazzo

Durante le operazioni di recupero tra le macerie del palazzo di otto piani crollato il 24 aprile vicino a Dacca, in Bangladesh, sono stati trovati i corpi di 501 morti. Le operazioni di recupero sono ancora in corso. Il numero dei dispersi è stato fissato mercoledì a 149, anche se le stime non ufficiali sono più alte: gli ufficiali dell’esercito incaricati dei soccorsi hanno dovuto indire una conferenza stampa per ribadire che non è in atto alcuna operazione per nascondere i veri numeri del disastro. Al momento del crollo nell’edificio si trovavano circa tremila persone, e nella zona ci sono centinaia di immagini di dispersi di cui i familiari chiedono notizie.

Oggi le autorità hanno annunciato l’arresto di un ingegnere che aveva detto che l’edificio non era sicuro prima del crollo, ma che è anche accusato di aver aiutato il proprietario della struttura, chiamata Raza Place, ad aggiungere tre piani al palazzo. Il proprietario, Mohammed Sohel Rana, è stato arrestato domenica scorsa al confine con l’India: il 23 aprile aveva chiamato l’ingegnere, Abdur Razzak Khan, perché controllasse le crepe dell’edificio.

(Le foto del palazzo crollato a Dacca)

Quella stessa sera, l’ingegnere aveva detto a una televisione locale che l’edificio non era sicuro e doveva essere evacuato, e aveva collaborato con gli ispettori del governo. Il giorno dopo, le sue opinioni sulla solidità della struttura erano anche su alcuni giornali. Per questo motivo, nelle ore successive al disastro Khan era stato considerato come una sorta di eroe e il suo arresto è stato una sorpresa per molti: il New York Times scrive che il proprietario della struttura lo accusa invece di aver minimizzato i rischi. Oltre ai due, la polizia ha arrestato altri due ingegneri coinvolti nella costruzione dell’edificio e alcuni proprietari delle fabbriche, che ordinarono agli operai di tornare al lavoro la mattina del crollo.

L’agenzia di stampa Associated Press riporta che la polizia aveva ordinato l’evacuazione dell’edificio, ma la mattina del 24 aprile il proprietario è stato visto fuori dalla struttura mentre diceva alla gente radunata fuori di entrare perché l’edificio era sicuro.

Oltre agli arresti, Mohammad Refatullah, il sindaco di Savar (la località dove è avvenuto il crollo, nei pressi di Dacca), è stato sospeso per aver approvato irregolarmente i piani di costruzione dell’edificio crollato, secondo quanto hanno detto le autorità.

Ieri milioni di lavoratori del settore tessile sono tornati nelle fabbriche dopo giorni di manifestazioni e proteste a Dacca e in altre città del paese: gli operai avevano interrotto la produzione dopo la notizia del crollo dell’edificio e nelle manifestazioni successive c’erano stati scontri con la polizia e le forze di sicurezza. Il primo maggio, a Dacca, i manifestanti hanno chiesto la pena di morte per il proprietario dell’edificio e migliori condizioni per i lavoratori. Circa tre-quattro milioni di persone – su un totale di circa 150 milioni di abitanti – sono occupati nel settore tessile del paese, per la maggior parte donne che provengono dalle zone rurali.

Nel frattempo, se non sono ancora del tutto chiare le società che lavoravano con fornitori situati nel palazzo, è diventato chiaro che alcune non vi lavoravano a causa dei rischi troppo alti. Il Wall Street Journal scrive che «rivenditori come Wal-Mart e Levi Strauss si stavano allontanando da fabbriche gestite da più proprietari e che si trovavano in edifici a più piani» per motivi di sicurezza. I frequenti allagamenti, la scarsità di suolo disponibile nelle zone più popolose e la difficoltà nell’approvvigionamento dell’energia fanno sì che gli edifici su più piani siano piuttosto frequenti e preferiti alle fabbriche in edifici più bassi.

Il WSJ scrive che già da qualche tempo le grandi aziende stanno riducendo i loro affari in Bangladesh per la poca sicurezza nelle fabbriche e l’instabilità politica del paese, in cui sono in corso manifestazioni e scioperi in vista delle elezioni del prossimo anno. L’industria della produzione dei tessuti vale circa 20 miliardi di euro nel paese, ma il paese soffre la concorrenza dell’India, dove molte multinazionali stanno spostando la produzione.

Nel palazzo crollato a Dacca, scrive Associated Press, si trovavano le fabbriche di tessuti dal nome Phantom Apparels, Phantom Tac, Ether Tex, New Wave Style e New Wave Bottoms. I fotografi dell’agenzia di stampa AFP hanno fotografato sul luogo alcuni capi di vestiario con l’etichetta “United Colors of Benetton” e nell’edificio era attivo uno dei laboratori del produttore New Wave Bottoms, che sempre alla AFP risulta essere uno dei fornitori di Benetton.

La multinazionale Benetton ha rilasciato una dichiarazione in inglese il 30 aprile in cui dice di «ripetere con forza che nessuno dei produttori che si trovavano nell’edificio crollato è un fornitore di alcun marchio del nostro gruppo. Abbiamo appurato dopo [il crollo] che uno dei nostri fornitori ha occasionalmente subappaltato ordini a uno di questi produttori con base a Dacca. Prima dell’incidente, quel produttore era già stato rimosso definitivamente dalla lista dei potenziali fornitori diretti o indiretti. Difatti era emerso che non soddisfaceva più gli stringenti standard che gli avrebbero reso possibile anche solo potenzialmente lavorare per noi.»

Il settore dei tessuti e dell’abbigliamento conta per circa l’80 per cento delle esportazioni totali del Bangladesh. Il paese, scrive il Wall Street Journal, è di gran lunga il luogo dove la manodopera è più economica: lo stipendio minimo mensile è di 37 dollari (circa 28 euro) al mese, molto meno dei 61 dollari della Cambogia – un paese che spera di espandere la propria industria tessile nel prossimo futuro – e 150 dollari nelle regioni costiere della Cina.

foto: Getty Images