Convalescenti

Si farà un governo, inevitabilmente: prima di un nuovo fallimento, stavolta fissiamo subito qual è il piano B

Il Post ha seguito gli sviluppi della crisi politica di queste settimane – due mesi ormai, dalle elezioni – e in particolare degli ultimi giorni intorno alla presidenza della Repubblica con una linea che possiamo definire di spaesamento. In senso quasi letterale, di chi fatica a trovare un orientamento nel proprio paese. Abbiamo consegnato la formulazione di orientamenti e idee su quello che succedeva ai blogger del Post, che ne hanno espressi molti – tutti quanti con una loro quota di spaesamento – ma non abbiamo pubblicato, come in altre occasioni, pareri o auspici che rappresentassero il Post su quello che stava succedendo.

C’è un dato di fatto, che molti dimenticano spesso, che è il risultato delle elezioni. Tre partiti che ottengono tutti e tre tra il 20 e il 25 per cento dei voti sono già una premessa problematica alla formazione di un governo: se ci aggiungete che uno dei tre non vuole governare con gli altri, e uno dei due non vuole governare col rimanente (almeno così diceva la sua leadership, e questo conta), l’ingovernabilità non diventa più un tema opinabile, ma una dimostrazione del fatto che esistono problemi che non hanno soluzione indolore. E questo problema – soprattutto per chi come noi pensa che un governo di PD e PdL insieme sia consegnato al fallimento e a guai peggiori – è uno di quelli: non ha soluzione indolore. L’unica soluzione è dolorosa – perché ha robuste controindicazioni – ed è che si fissino al più presto nuove elezioni per superare il dato di fatto.

L’insistenza del presidente Napolitano sulla formazione immediata di un governo con la fiducia di PD e PdL è comprensibile e ha solide ragioni: una è istituzionale e patriottica, l’idea che l’Italia abbia bisogno di un governo che intervenga su una serie di problemi economici, politici e civili molto gravi e attuali, e che non si possa rimandare oltre, per esempio, un intervento sulla legge elettorale. L’altra è più politica, ed è la riflessione sui rischi che correrebbe un centrosinistra reduce da una catastrofe interna storica a presentarsi alle elezioni in tempi brevi.

Preoccupazioni fondate entrambe, e condivisibili da chi come Napolitano abbia cari i destini non solo dell’Italia ma anche del suo centrosinistra – strettamente legati, peraltro – ma che non ci sembra possano essere superate attraverso un governo forzoso imposto a partiti la cui inaffidabilità è dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. A chi ancora oggi sostiene che PD e PdL possano avere imparato la lezione dei loro fallimenti e delle conseguenze, e temere il peggio, è facile ricordare come queste considerazioni siano state fatte appena due mesi all’indomani delle elezioni: e prima che passassero i due mesi erano di nuovo in atto tutti i peggiori meccanismi suicidi e scellerati delle concorrenze tra partiti, delle demagogie interessate, dei capricci e delle contese interne. Non è credibile nessun governo che abbia bisogno dell’appoggio complice di PD e PdL su nessun intervento importante. A quelli che dicono “ma si erano già alleati con Monti”, la risposta è “e infatti vedi come è andata a finire”. Col disconoscimento da parte del PdL delle stesse misure che aveva votato, per dirne una.

Detto questo, un governo si farà (e tacciamo, per non infierire, su come il PD sia riuscito a costringersi a un’alleanza mille volte negata, smentendosi pure su quella): un governo si farà perché almeno per qualche giorno l’impegno dei partiti che sono andati in ginocchio a chiedere un sacrificio a Napolitano varrà. E sarà sciolto il dubbio se si tratterà di un governo di “politici” o di “tecnici”: probabilmente il primo, che vincola di più i partiti ai suoi risultati e alla conservazione della fiducia, pur riducendo le prospettive di risultati veri. Quel che è certo è che i nomi che circolano che dovrebbero avere a che fare con un approccio rinnovato e di ricostruzione della politica italiana, sono tutti parte integrante di ciò che si dovrebbe invece rinnovare e ricostruire: altro tratto che rende diffidenti.

Più che mai oggi pensiamo quindi che sia opportuno capire il presente e progettare il futuro, piuttosto che recriminare e rinfacciarsi il passato. Si faccia un governo con le ambizioni e impegni del caso, si speri che tutti quanti ci sbagliamo – noi per primi – e che questo percorso porti a qualsiasi risultato, anche solo appena una legge elettorale. Ma non la tiriamo in lungo più di quanto non abbiamo già fatto e stabiliamo subito quando i destini di tutti quanti possano essere messi in mano a un governo legittimato e con un progetto vero.

foto: Giorgio Napolitano. (LaPresse)