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  • Mercoledì 3 aprile 2013

Bisogna pagare di più i parlamentari?

Lo sostiene un articolo di Slate parlando di quelli americani ma vale per chiunque voglia i migliori in Parlamento, dice

The Rotunda of the U.S. Capitol is seen as Congress convenes to negotiate a legislative path to avoid the so-called "fiscal cliff" of automatic tax increases and deep spending cuts that could kick in Jan. 1., in Washington, Sunday, Dec. 30, 2012. A statue of President George Washington is seen in the foreground. (AP Photo/J. Scott Applewhite)
The Rotunda of the U.S. Capitol is seen as Congress convenes to negotiate a legislative path to avoid the so-called "fiscal cliff" of automatic tax increases and deep spending cuts that could kick in Jan. 1., in Washington, Sunday, Dec. 30, 2012. A statue of President George Washington is seen in the foreground. (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Mentre in Italia non si fa altro che parlare di ridurre i costi della politica, tagliando stipendi e privilegi ai parlamentari, e in generale si dice che la crisi economica e le politiche di austerità debbano portare i politici a “dare l’esempio”,  Slate ha pubblicato un articolo intitolato: «Il Congresso merita un grande e grosso aumento di stipendio». L’articolo è stato scritto da Daniel Schuman, presidente di una fondazione statunitense no profit – Sunlight – che si adopera per ottenere maggiore trasparenza e apertura da parte del governo, sia fornendo alle persone gli strumenti necessari per accedere alle informazioni, sia facendo pressioni sul governo stesso.

La situazione descritta da Schuman non è molto diversa da quella che conosciamo bene in Italia:

«Gli americani odiano i parlamentari. Gli scarafaggi, il traffico e le colonscopie hanno livelli di approvazione più alti. Decisioni importanti sono ritardate all’infinito per litigi meschini e convenienze politiche. I più grandi risultati che ha ottenuto il Congresso negli ultimi tempi sono stati il blocco delle attività delle spese del governo ed enormi tagli automatici [il cosiddetto sequester], proprio quando l’economia sta lottando per riprendersi».

Negli Stati Uniti un parlamentare viene pagato complessivamente 174 mila dollari l’anno, l’equivalente di circa 11 mila euro al mese (i capigruppo e lo speaker della Camera sono pagati un po’ di più) ma devono anche affrontare spese piuttosto ingenti, a cominciare dai continui trasferimenti dal loro stato di residenza a Washington DC, sede del Congresso (gli Stati Uniti sono grandi più o meno quanto l’Europa). Inoltre, i deputati del Congresso affrontano una campagna elettorale ogni due anni, che finanziano con risorse personali e donazioni da privati.

Schuman sostiene una posizione dichiaratamente minoritaria: bisognerebbe aumentare ulteriormente gli stipendi dei parlamentari. Schuman spiega che i politici che fanno il loro mestiere seriamente sono oberati di lavoro, molti di loro si candidano pur non avendo idea di cosa li aspetti, e una volta eletti sono circondati da personale inesperto e non abbastanza qualificato in un ambiente avvelenato, continuamente sotto pressione. Senza contare che così facendo le persone più capaci e talentuose sono attratte dai molti altri lavori più appaganti e meglio remunerati. La maggior parte dei parlamentari finisce così per fare poco, nel migliore dei casi; per fare gli interessi delle lobby e delle corporazioni, nel peggiore. A fare le spese di questa situazione, secondo Schuman, prima ancora dei politici, sono gli americani stessi. «Otteniamo in relazione a quello che paghiamo, e non c’è dubbio che non stiamo pagando abbastanza per far sì che siano i migliori a ricoprire quel lavoro».

Schuman spiega che, se paragonato ad altri mestieri, quello del politico non è così profittevole, nonostante le grandi responsabilità e pressioni che comporta. I 174 mila dollari all’anno guadagnati da un parlamentare americano sono molti se paragonati al salario dell’americano medio, ma non così tanti se confrontati a quello di un dermatologo, che si aggira sui 234 mila dollari, o di un amministratore delegato di una qualsiasi società quotata in borsa, che nel 2011 ha guadagnato circa 9,6 milioni di dollari. La retribuzione dei parlamentari è inoltre diminuita negli ultimi anni: secondo gli standard del 1992 e tenendo conto dell’inflazione, i parlamentari dovrebbero ricevere un aumento di 43 mila dollari, per un totale di 217 mila dollari l’anno.

Schuman spiega che, secondo un’analisi da lui condotta, nel 2011 il 18 per cento dei parlamentari aveva un patrimonio netto stimato in 5 milioni di dollari o più, frutto di ricchezze ottenute con le loro professioni precedenti: per loro avere o no un aumento di stipendio non avrebbe fatto una grossa differenza. Il 30 per cento aveva un patrimonio tra uno e cinque milione di dollari e, per quanto non necessario, non avrebbe disdegnato un salario più corposo. Il restante 52 per cento di politici possedeva meno di un milione di dollari e avrebbe desiderato un aumento. I politici che guadagnano meno, infatti, sono più propensi ad appoggiarsi ai finanziamenti delle lobby – lasciandosi di conseguenza influenzare dalle loro richieste – per pagare i debiti della campagna elettorale, le rette del college per i figli o semplicemente per arricchirsi. Un’altra tentazione per i parlamentari è diventare a propria volta lobbisti, mettendosi al servizio di gruppi di interesse sfruttando la propria conoscenza del Congresso: gli ex deputati possono guadagnare fino a 700 mila dollari annui, i senatori arrivano anche a un milione.

Schuman prende come esempio il governo di Singapore, considerato tra i più efficienti al mondo. Il governo viene gestito come se fosse un’azienda e gli stipendi sono molto alti per attirare le persone più in gamba e per prevenire la corruzione. Il primo ministro del paese viene pagato 1,7 milioni di dollari all’anno – il presidente americano Barack Obama ne guadagna 400 mila – mentre i ministri ricevono poco più di un milione di dollari, pari a 5,5 volte tanto quanti ne riceve il ministro della Difesa americano.

Un altro aspetto che rallenta il buon funzionamento del governo, secondo Schuman, è la diminuzione del personale nonostante l’aumento del carico di lavoro. Inoltre gli assistenti più bravi vengono contesi dalle lobby e dai think tank e spesso – a causa del sovraccarico di lavoro e dei bassi stipendi, che non crescono da 25 anni  – restano a servizio dei politici i collaboratori meno capaci e meno esperti. Gli assistenti devono poi confrontarsi con i burocrati dell’esecutivo e con i lobbisti, che finiscono spesso per dettare l’agenda politica.

Schuman sottolinea che questi elementi sono molti pericolosi per il buon funzionamento della democrazia, e spingono spesso le persone migliori e più competenti a non impegnarsi in politica. Ricorda poi che nelle ultime due elezioni si è verificato il più grande rinnovamento della classe dirigente degli ultimi 60 anni, ma nello stesso periodo il bilancio del Parlamento è stato tagliato di oltre il 10 per cento, e i fondi del 2013 per le commissioni saranno ridotti di un ulteriore 11 per cento. E conclude dicendo:

«Se vogliamo che i nostri rappresentanti lavorino per noi, dobbiamo pagarli a sufficienza perché siano concentrati sui problemi delle persone e non su altro. Dovremmo assicurarci che abbiano assistenti sufficientemente competenti ed esperti per fare le loro ricerche e tirare le loro conclusioni. Al momento non stiamo pagando per avere un lavoro di qualità, e si vede».

foto: La cupola del Campidoglio a Washington DC (AP Photo/J. Scott Applewhite)