Oggi, martedì 26 marzo, la Corte suprema degli Stati Uniti inizierà a esaminare la questione dei matrimoni gay, in riferimento a due ricorsi accolti nel dicembre scorso e su cui emetterà sentenza, molto probabilmente, nel mese di giugno. Si tratta del primo caso di questo genere, dato che i matrimoni gay fin qui sono sempre stati considerati competenza esclusiva della legislazione e della giurisdizione dei singoli stati americani.
Oltre che per il dibattito sui diritti civili, la decisione della Corte è attesa perché potrebbe introdurre delle novità giuridiche molto importanti: i giudici potranno infatti formulare, in base a quella che sarà la sentenza, la tutela di un diritto costituzionale per i matrimoni tra omosessuali. Oppure escluderlo, ma, in ogni caso, creando un precedente pesante, a livello politico e giuridico. C’è anche la possibilità, comunque, che la sentenza si ripercuota soltanto sulla legislazione di un singolo stato e non su quella federale, senza trarre conclusioni generali.
I due quesiti
La Corte, in particolare, si esprimerà sull’esito del referendum approvato nel 2008 nello stato della California, la cosiddetta Proposition 8, che aveva vietato il matrimonio gay, garantito invece fino a quel momento dalla Corte suprema californiana: in quel caso si fece prevalere la legge dello stato, espressione della volontà popolare, sulla sentenza della corte. L’altro ricorso accolto dalla Corte suprema, che inizierà a essere esaminato il 27 marzo, riguarda invece una legge federale molto discussa e contestata, il Defense of Marriage Act.
La legge, a cui spesso si fa riferimento con l’acronimo DOMA, fu approvata nel 1996, anno di una complicata campagna presidenziale, e sostenuta dall’allora presidente Bill Clinton: la legge fu votata dal Congresso a larghissima maggioranza, sia dai democratici che dai repubblicani. La legge stabilisce che nel caso dei matrimoni gay viene meno il vincolo di reciprocità che lega gli stati americani: cioè il meccanismo che fa sì che ogni stato riconosca i titoli di studio, i documenti d’identità, i procedimenti giudiziari e lo status legale dei cittadini. Un matrimonio eterosessuale stipulato in Alaska viene riconosciuto a New York, con quello che questo comporta in termini di accesso al welfare. Ai sensi del DOMA, per i matrimoni gay questo principio non vale.
La legge è parsa avere subito una dubbia costituzionalità e negli anni, mentre vari stati americani legalizzavano il matrimonio omosessuale, molte coppie hanno fatto causa agli stati che non riconoscevano i loro diritti: i giudici federali a volte hanno accolto le loro richieste, a volte no, ma la questione non era mai arrivata alla Corte Suprema. Per molti anni in tutte le cause del genere l’avvocatura dello stato ha sempre difeso la legge in questione. L’amministrazione Obama nel febbraio del 2011 ha deciso di smettere questa pratica e di considerare la legge ingiusta e incostituzionale, schierandosi di fatto dalla parte di chi fa ricorso. La legge, inoltre, contiene una definizione di matrimonio limitata alle unioni tra uomini e donne.
La situazione oggi
Oggi gli stati americani in cui il matrimonio gay è legale sono nove, più il District of Columbia: Massachusetts (il primo a legalizzare il matrimonio nel 2004), Connecticut, Iowa, Vermont, New Hampshire, New York, Maine, Maryland e Washington (questi ultimi tre dopo l’approvazione di un referendum che si è svolto il 6 novembre 2012). Le leggi dei singoli stati sulla questione sono molto diverse: California, Colorado, Delaware, Hawaii, Illinois, Nevada, Oregon, Rhode Island e Wisconsin riconoscono le unioni civili, anche se ogni stato prevede un diverso insieme di diritti e doveri. In New Jersey e Rhode Island le coppie omosessuali non possono sposarsi, ma vengono riconosciuti i matrimoni celebrati negli altri stati.