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  • Venerdì 22 marzo 2013

Perché i repubblicani hanno perso

Lo spiegano gli stessi repubblicani americani in un rapporto che fa molta autocritica, e dà ragione ai democratici su quasi tutto

Balloons fall as Republican presidential nominee Mitt Romney and Republican vice presidential nominee, Rep. Paul Ryan's families take the stage at the Republican National Convention in Tampa, Fla., on Thursday, Aug. 30, 2012. (AP Photo/Jae C. Hong)
Balloons fall as Republican presidential nominee Mitt Romney and Republican vice presidential nominee, Rep. Paul Ryan's families take the stage at the Republican National Convention in Tampa, Fla., on Thursday, Aug. 30, 2012. (AP Photo/Jae C. Hong)

Durante l’ultima campagna elettorale presidenziale degli Stati Uniti, quella che si concluse nel novembre 2012 con l’elezione di Barack Obama, il ritratto che i democratici fecero dei repubblicani fu molto critico e severo: il partito di Mitt Romney fu definito completamente disinteressato alle minoranze del paese, intollerante nei confronti dei gay, fanatico del mito della ricchezza personale, nemico della scienza e ossessionato da temi di trent’anni fa. A giudicare dal risultato elettorale, la maggioranza degli americani concorda con questa analisi.

Dopo più di due mesi dall’insediamento di Barack Obama, avvenuto il 4 gennaio 2013, il partito repubblicano – cioè il Republican National Committee (RNC) – si è chiesto quali siano state le ragioni della sconfitta di Romney. E si è risposto in un rapporto lungo oltre 100 pagine nel quale i repubblicani fanno un bel po’ di autocritica. Di fatto il rapporto dei repubblicani dà ragione alle tesi dei democratici sui repubblicani. Il rapporto dice che la proposta politica repubblicana si rivolge a un elettorato molto ristretto: bianco, ricco, autoreferenziale, legato al passato. Anche per questo non è stato in grado di sfruttare politicamente le conseguenze della gravissima crisi finanziaria che ha messo in forte difficoltà l’economia del paese e la stessa amministrazione Obama.

Il fatto che i repubblicani siano tutt’ora il partito di maggioranza alla Camera non deve ingannare. A fronte di una sensibile crisi di consensi, negli ultimi anni i repubblicani ne hanno parzialmente aggirato le conseguenze anche grazie a pratiche come quella definita gerrymandering. Il gerrymandering è il ridisegno dei confini dei collegi elettorali maggioritari in modo da favorire i candidati di un partito. I repubblicani, che alle elezioni del 2010 hanno ottenuto un rilevante successo elettorale, ne hanno approfittato nei due anni successivi ridisegnando parecchi collegi: il risultato è che alle elezioni per la Camera del 2012 i democratici hanno ottenuto una stretta maggioranza nel voto popolare – il 50,4 per cento, circa un milione di voti in più – ma i repubblicani hanno comunque ottenuto una maggioranza di 33 seggi.

Il rapporto del RNC è stato elaborato sulla base di una serie di interviste a 2.600 cittadini americani. Il suo contenuto è stato efficacemente sintetizzato in 6 punti, quelli ritenuti più significativi, da Talking Points Memo.

1. La riforma dell’immigrazione
Il rapporto critica duramente la linea politica adottata dai repubblicani contro le minoranze. «Lo scopo di questo documento non è suggerire delle nuove policy», si legge nel rapporto «ma tra le cose che i repubblicani dovrebbero fare – nei confronti della comunità ispanica e non solo – deve esserci un completo ripensamento delle posizioni sull’immigrazione». Altrimenti il partito continuerà a poter contare solo sul suo elettorato tradizionale, che si restringe ogni giorno di più. «Se gli ispanici americani percepiscono che un candidato repubblicano non li vuole negli Stati Uniti, allora non presteranno attenzione nemmeno alla frase successiva che gli diremo». Su questo tema la grande rigidità dei repubblicani è relativamente recente: George W. Bush, per esempio, era un candidato molto popolare tra i latinoamericani.

2. La questione è aritmetica
I repubblicani, dice il rapporto, dovrebbero riuscire a dialogare con le minoranze, non fosse altro che per una semplice questione aritmetica. Durante una conferenza stampa di presentazione del rapporto, Reince Priebus – presidente del RNC – ha chiarito meglio questo punto. «Dal 2050 saremo un paese con una maggioranza di minoranze, e sia nel 2008 che nel 2012 il presidente Obama ha vinto ottenendo l’80 per cento dei voti di tutti i gruppi di minoranza». Priebus ha previsto di spendere 10 milioni di dollari quest’anno per mandare dei membri del partito nelle comunità di asiatici, neri e ispanici, per promuovere le idee repubblicane tra gli elettori che hanno sostenuto Obama nelle elezioni di novembre 2012.

3. La questione dei matrimoni gay
Il tema dei matrimoni gay è stato ampiamente discusso durante la campagna elettorale del 2012. Il rapporto, pur non sostenendo apertamente i matrimoni gay, dice che i repubblicani dovrebbe muoversi “a sinistra” su questo tema: non tanto perché i gay rappresentano un blocco elettorale numericamente importante, ma soprattutto perché l’intolleranza mostrata in diverse occasioni dai repubblicani su questo tema spaventa non poco altri gruppi di elettori più moderati.

A conclusioni simili erano già arrivati in passato altri esponenti del partito repubblicano. Il 20 novembre 2012 Ken Melham, ex capo dei repubblicani dal 2005 al 2007, aveva scritto un articolo sul Wall Street Journal in cui spiegava che legalizzare i matrimoni per le coppie gay doveva essere considerata una scelta giusta anche da un punto di vista conservatore. Il ragionamento di Melham, per la verità piuttosto articolato, partiva da una base molto semplice: «cosa c’è di più conservatore di sostenere maggiore libertà alle persone e un ruolo minore per il governo? E quale libertà è più basilare del diritto di sposare la persona che si ama?». Secondo un’analisi riportata da Nate Silver, che è diventato molto celebre per le sue previsioni sulla vittoria di Obama, chi si riconosce omosessuale o bisessuale ha votato per Obama in circa tre casi su quattro.

4. La cosiddetta “chiusura epistemica”
C’è da molto tempo un lungo dibattito sulla presunta “chiusura epistemica” di cui soffrirebbero i repubblicani: si tratta della tendenza con la quale i conservatori bloccherebbero tutte le voci di dissenso, fino ad arrivare a sostenere delle posizioni che arrivano ad essere illogiche e senza senso. Secondo il rapporto questo sarebbe un problema reale e crescente. In sostanza, «il partito repubblicano deve smettere di parlare a se stesso». Il rapporto aggiunge: «Siamo diventati esperti a rafforzare le convinzioni delle persone che la pensano come noi ma abbiamo perso la capacità di essere persuasivi o comunque ben predisposti con chi non è d’accordo con noi su ogni questione».

Questa “chiusura epistemica” si concentrerebbe in particolare sull’ossessione nei confronti di Ronald Reagan: buona parte delle proposte repubblicane sembrano ormai superate, sono molto simili a quelle che venivano proposte dai repubblicani più di 30 anni fa e sono difese con aggressività e intolleranza.

5. Non tutti i repubblicani sono uguali
I governatori repubblicani negli Stati Uniti sono oggi 30. Molti di loro, come Chris Christie in New Jersey e John Kasich in Ohio, hanno adottato posizioni politiche molto più “centriste” rispetto all’elettorato più conservatore dei repubblicani, guadagnando così molta popolarità. Questi repubblicani «ottengono costantemente una percentuale di voti dalle minoranze maggiore rispetto ai candidati presidenziali dei repubblicani, dimostrando un appeal che va oltre la base del partito».

6. Basta col partito dei ricchi
Su questo il rapporto non offre molte basi di riflessione al di là di alcune suggestioni retoriche che criticano l’immagine dei repubblicani come “partito dei ricchi”. Qualche spunto, però, si trova anche su questo argomento: «Dovremmo parlare di quando gli amministratori delegati ricevono decine di milioni di dollari in premi, mentre i lavoratori della classe media non hanno avuto nessun aumento significativo delle pensioni per anni».

Foto: AP Photo/Jae C. Hong