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  • Mercoledì 23 gennaio 2013

Le proposte di Confindustria per l’economia italiana

Il presidente Giorgio Squinzi ha presentato oggi un documento con le priorità che, secondo gli industriali, il prossimo governo dovrà affrontare per la crescita economica

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, ha presentato oggi “Il Progetto Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve” (qui il PDF del documento), elaborato dalla Giunta della principale organizzazione rappresentativa delle imprese italiane. Si tratta di una serie di proposte che secondo Confindustria permetterebbero di superare l’attuale crisi economica e sociale.

GLI OBIETTIVI
La crisi sta lasciando profonde ferite. Dal 2007 la produzione industriale ha perso il 25%, il tasso di disoccupazione è raddoppiato, il reddito per abitante è tornato ai livelli del 1997. È  alto il rischio di distruzione della nostra base industriale.

È un’emergenza economica e sociale. Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro,
riconoscere e riaffermare la centralità delle imprese, infondere fiducia negli italiani, restituire ai
giovani un futuro di progresso, facendo ripartire subito l’economia e rilanciando l’industria, vera
colonna portante del Paese. Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei
prossimi anni non cresceremo di più dello 0,5% all’anno.

L’alternativa è il declino. Non possiamo e non vogliamo accettarlo. Ne va del futuro dei nostri
giovani e delle nostre imprese. Dobbiamo tornare a crescere. È un imperativo. È un obiettivo
raggiungibile.

L’Italia è uno dei grandi paesi industriali, le nostre imprese competono sui mercati globali, hanno
fatto molti sforzi e sacrifici per mantenere le posizioni conquistate e guadagnare nuovi mercati.
Sanno che possono fare ancora molto, per se stesse e a vantaggio di tutto il Paese. E reagiranno
rapidamente, mobilitando tutte le loro forze e capacità, agli stimoli che verranno dalla terapia
d’urto e dalle riforme che proponiamo. Metteranno in campo investimenti ed esportazioni,
creeranno occupazione e reddito e, quindi, daranno impulso ai consumi.

Adesso più che mai hanno bisogno di un Paese che creda in loro e che le sostenga. L’Italia deve
uscire dalla crisi e può farlo, ma perché questo accada c’è bisogno di azioni concrete e coraggiose.
Per questo, da classe dirigente responsabile, in vista dell’imminente tornata elettorale,
proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di
rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari
e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l’Italia e sottrarla alla
stagnazione.

Questo progetto, che costituisce una vera e propria tabella di marcia fino al 2018, deve riportare il
dibattito elettorale sui temi dell’industria e del lavoro, purtroppo trascurati in queste settimane.
È un disegno di politica economica, in cui tutte le misure si legano tra loro in modo coerente, e
perciò va realizzato nella sua interezza, senza prendere ciò che più piace e trascurare quello che
non fa comodo. Ciò vale per il sistema Confindustria, ma ancora di più e soprattutto per chi
conduce la campagna elettorale e per chi governerà.

È un progetto che appare ambizioso, perché veniamo da una lunga crisi di bassa crescita e di
continui rinvii delle decisioni. Ma se c’è stata poca ambizione negli ultimi 20 anni non dobbiamo
rinunciare a puntare in alto, a obiettivi che sono alla nostra portata. È ora di voltare pagina.Noi imprenditori per natura siamo ambiziosi e ottimisti, guardiamo al futuro e investiamo per
realizzare i nostri progetti. Lo facciamo nelle nostre imprese. Vogliamo che i politici lo facciano per
l’Italia intera.

È un progetto che non guarda al consenso, ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve
per il bene del Paese. Per essere di nuovo prospero e padrone del proprio destino e poter così
contribuire a costruire un’Europa più forte e unita.

LE PRIORITÀ

1. La terapia d’urto

L’Italia ha bisogno di una vera e propria terapia d’urto, che deve segnare una forte discontinuità e
produrre effetti economici immediati. Dobbiamo rendere nuovamente competitive le nostre
imprese, abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti. Occorre:

– dare ossigeno alle imprese con il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti
commerciali accumulati da Stato ed enti locali, che sono debito pubblico occulto;
– tagliare dell’8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l’IRAP
che grava sull’occupazione;
– lavorare 40 ore in più all’anno, pagate il doppio perché detassate e decontribuite;
– ridurre l’IRPEF sui redditi più bassi e aumentare i trasferimenti agli incapienti;
– aumentare del 50% gli investimenti in infrastrutture;
– sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie;
– abbassare il costo dell’energia.

Le risorse
Queste misure, se attuate tutte e subito, mobiliteranno 316 miliardi di euro in cinque anni.

COME

– rendendo efficiente la burocrazia e tagliando e razionalizzando la spesa pubblica;
– dismettendo e privatizzando una parte del patrimonio pubblico;
– armonizzando gli oneri sociali;
– riordinando gli incentivi alle imprese;
– aumentando del 10% l’anno gli incassi dalla lotta all’evasione fiscale;
– armonizzando le aliquote ridotte IVA in vista di rimodulazioni in ottica UE e per reperire risorse per ridurre l’IRPEF sui redditi più bassi.

2. Le riforme

A questa terapia si deve necessariamente accompagnare un processo di riforme da avviare
contestualmente e senza ritardo, sul quale ci aspettiamo che tutte le forze politiche prendano un
impegno, perché è ora di cambiare il volto del Paese. A partire dalle Istituzioni.

Abbiamo bisogno di un’Italia veramente liberale, di uno Stato che arretri nel suo perimetro, lasci spazio ad una sana concorrenza dei privati e che per primo applichi la legge, pagando i propri debiti e rispettando i diritti dei cittadini e delle imprese.

È necessario:

– riformare il Titolo V della Costituzione riportando allo Stato le competenze su materie di interesse nazionale e riducendo i livelli di governo, per rendere finalmente gestibile il
nostro Paese;
– riorganizzare la Pubblica Amministrazione, che deve essere al fianco delle imprese e non
invece contro di loro;
– affermare lo stato di diritto, tutelando cittadini e imprese dagli abusi compiuti da
qualunque organo pubblico;
– ridurre le regole, perché non è con più regole che si rilancia l’economia;
– semplificare per rimuovere tutti gli ostacoli al fare impresa;
– rendere effettivamente flessibile il mercato del lavoro;
– ridurre il peso del fisco sulle imprese e migliorare i rapporti tra i contribuenti e l’Erario.

Creare insomma un nuovo contesto, che assecondi le attività delle imprese e non le ostacoli.

GLI EFFETTI ECONOMICI

Con le nostre misure:

– il tasso di crescita si innalzerà al 3%; il PIL aumenterà in cinque anni di 156 miliardi di euro
(al netto dell’inflazione), +2.617 euro per abitante;
– l’occupazione si espanderà di 1,8 milioni di unità, il tasso di occupazione salirà al 60,6% nel
2018 dal 56,4% del 2013 (+4 punti percentuali) e il tasso di disoccupazione scenderà all’8,4% dal 12,3% atteso per il 2014;
– il peso dell’industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell’intera economia, dal 16,7%
attuale, gli investimenti balzeranno del 55,8% cumulato (+66,4% quelli in macchinari e
mezzi di trasporto, +44,7% quelli in costruzioni) e l’export si innalzerà del 39,1%, arrivando
al 36,7% del PIL;
– il reddito medio delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di
3.980 euro reali;
– l’inflazione rimarrà attorno all’1,5%; la produttività aumenterà di quasi l’1% medio
all’anno;
– il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del PIL, ben
sotto il 111,6% richiesto dai patti europei (129,2% nel 2013, compresi 48 miliardi di debiti
commerciali della PA alle imprese), la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le
spese correnti al netto degli interessi dal 42,9% al 36,9%.

Foto: Giorgio Squinzi (Mauro Scrobogna /LaPresse)