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  • Venerdì 12 ottobre 2012

Qualcosa in più sul bambino di Cittadella “prelevato” a scuola

I giornali di oggi aggiungono informazioni e contesti alla storia dietro il video più visto ieri online e in tv

Il video mostrato mercoledì sera dalla trasmissione Chi l’ha visto del bambino “prelevato” da una scuola di Cittadella (Padova) per essere affidato al padre, che ha un contenzioso con la madre sull’affidamento, continua a fare molto discutere. Ieri i telegiornali hanno dedicato ampio spazio alla vicenda, anche in seguito alle reazioni dell’opinione pubblica e a quelle – numerose – di politici e responsabili di governo. La notizia oggi è ripresa sulle prime pagine di molti giornali, che pubblicano approfondimenti e nuovi dettagli per capire meglio come si sia arrivati all’operazione di mercoledì, mostrata in un video particolarmente sgradevole girato con un telefonino dalla zia del ragazzino.

Sulla base dei racconti dei familiari e di conoscenti, Giusi Fasano ricostruisce sul Corriere della Sera la storia del bambino. Spiega che ha dieci anni e che da tempo è al centro di una difficile contesa tra i suoi genitori, che si sono separati e che si confrontano in tribunale per ottenere il suo affidamento con ricorsi e controricorsi. Fino a mercoledì scorso erano stati già condotti due tentativi per far uscire il bambino dalla casa della madre e affidarlo al padre. Il primo tentativo fu eseguito il 24 agosto scorso in presenza degli assistenti sociali e di uno psicologo. Dopo aver parlato per un po’ con loro, il bambino scappò in un’altra stanza e si rintanò sotto un letto. Gli incaricati del “prelevamento” avvisarono il tribunale, spiegando che in simili condizioni non era possibile eseguire l’ordine dei giudici.

Il 4 settembre scorso si decise di eseguire un nuovo tentativo, coinvolgendo questa volta la polizia, spiega sempre Fasano. Vedendo gli agenti, il bambino scappò nuovamente sotto un letto. Cercarono di tranquillizzarlo e parlargli, di spostare il letto, ma alla fine conclusero che non sarebbe stato opportuno prenderlo con la forza per portarlo fuori casa e lasciarono perdere. Il ragazzino doveva comunque essere affidato al padre, come stabilito dal tribunale, e si decise quindi di organizzare un terzo tentativo, quello di mercoledì scorso, non più presso la casa della madre, ma a scuola.

D’accordo con il dirigente scolastico, gli agenti ottengono che l’insegnante della classe del bambino porti i suoi compagni in palestra, in previsione di possibili resistenze da parte del ragazzino. Su che cosa è accaduto dopo e fino all’uscita da scuola ci sono versioni discordanti. Secondo la madre, il ragazzino si sarebbe aggrappato a banchi e sedie, opponendo resistenza, mentre il questore ha spiegato che il bambino sarebbe rimasto tranquillo e si sarebbe agitato solo in un secondo momento, all’arrivo dei nonni e della zia presi da una forte agitazione.

Sempre la zia, all’esterno della scuola, ha filmato con il suo cellulare le ultime fasi del “prelievo” del bambino, mentre viene portato via di peso e cerca di opporre resistenza. La zia urla e inveisce ripetutamente contro gli agenti, lo psicologo e le altre persone intervenute per portare via il bambino, tra le quali c’è anche il padre. Il filmato viene mostrato mercoledì a Chi l’ha visto e il giorno seguente (ieri) inizia a circolare molto online e sulle televisioni.

Il padre del ragazzino ha spiegato ai giornalisti di aver “salvato” e “liberato” il figlio. Ha poi detto che ora “sta bene, è sereno” e che si trova in una comunità, dove sarà tenuto per alcuni giorni per “il suo recupero” prima di essere affidato al padre. Sempre ai giornalisti, ha raccontato che negli ultimi tempi l’ex moglie e i suoi familiari gli avevano impedito di vedere il figlio, con forti stress psicologici per lo stesso. La madre ha dato una versione diversa, contestando la scelta dei giudici che le hanno tolto la potestà e chiedendo al marito di far tornare il bambino “alla sua vita”.

La separazione tra i due coniugi risale al 2005. Avviarono le classiche pratiche per una separazione consensuale, con l’affidamento del bambino alla madre e modi e tempi per il padre per andarlo a trovare e trascorrere del tempo con lui. Dopo un anno, stando alla versione della madre, il bambino iniziò a manifestare un certo disagio nel passare del tempo con il padre. La cosa andò avanti per un po’ di tempo e infine il padre avviò alcune azioni legali contro l’ex moglie, accusata di non lasciargli mai vedere il figlio.

Dopo molte querele e ricorsi, nel 2008 il padre decise di ricorrere al tribunale per chiedere la rimozione della patria potestà alla ex moglie. A sostegno della richiesta presentò pareri medici, in cui si ipotizzava che il bambino potesse sviluppare “problemi relazionali e psicologici”. La mamma ha detto che al bambino è stata diagnosticata la Sindrome di alienazione genitoriale (Pas), una malattia molto controversa teorizzata dallo psichiatra americano Richard A. Gardner che si presenta in alcuni bambini i cui genitori hanno gestito in modo conflittuale e non adeguato la separazione. Un anno dopo, la sentenza stabilì la rimozione della potestà alla madre, che fece ricorso, perdendolo. Infine, a inizio agosto di quest’anno la Corte d’Appello di Venezia stabilì l’allontanamento della madre e la scelta di un “luogo neutro”, una comunità protetta, in cui far vivere il bambino.

In seguito alla diffusione del video, che in effetti mostra una scena molto intensa e che induce a chiedersi quanti casi di questo tipo accadano senza fare notizia, ieri ci sono state numerose reazioni anche a livello istituzionale. I presidenti di Camera e Senato hanno commentato il video e chiesto al governo di riferire in Parlamento su quanto accaduto, soprattutto sul comportamento delle forze dell’ordine. Il capo della polizia, Antonio Manganelli, si è scusato con la famiglia, annunciando l’avvio di un’inchiesta rigorosa per capire come siano effettivamente andate le cose mercoledì. Anche il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ha spiegato di essere rimasta turbata dopo aver visto il video. Ha poi detto che aspetterà l’esito dell’inchiesta per capire se e quali azioni disciplinari debbano essere avviate.

Vera Schiavazzi su Repubblica di oggi parte dal caso particolare in provincia di Padova per affrontare la questione degli affidi e dei bambini contesi a livello generale, in tutta Italia. Spiega che nei tribunali italiani ci sono i casi di circa 10mila bambini contesi. I figli minorenni di genitori separati nel nostro paese sono oltre un milione e si stima che per almeno un quinto di loro la separazione dei genitori abbia portato a problemi di tipo psicologico, o psichiatrico. Dopo le cause di divorzio e separazione, nella maggior parte dei casi i figli sono affidati alle madri, ma da alcuni anni sono aumentati notevolmente i casi di affido congiunto/condiviso, soluzione che consente (almeno sulla carta) a ogni genitore e ai figli di trascorrere più tempo insieme.

L’avvocato familiarista Giulia Facchini, intervistata sempre da Schiavazzi, spiega però che: «La legge sull’affido condiviso non ha risolto tutti i problemi. Se da un lato è cresciuta l’idea che le decisioni importanti per i figli vanno prese insieme, dall’altro non si è riusciti ad abbattere il numero di casi nei quali qualunque pretesto, dal ritardo nell’orario a un presunto problema di salute del bambino fino alla comparsa di un nuovo partner dell’ex marito o ex moglie, si trasformano in una faida che va al di là di ogni ragionevolezza».