Il pasticcio dei doppi contributi

A causa di una legge del governo Berlusconi la ricongiunzione da INPDAP a INPS costerà fino a 300mila euro, fa notare Milena Gabanelli sul Corriere della Sera

Milena Gabanelli sul Corriere della Sera di oggi spiega come mai, a causa di una legge “infilata” nella finanziaria del luglio 2010 dell’ultimo governo Berlusconi, molti lavoratori che sono passati dal settore pubblico a quello privato saranno ora costretti a pagare fino a 300mila euro per la ricongiunzione dei contributi dall’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica) all’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale). Gabanelli chiede al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, di modificare questa norma che costringerebbe i cittadini a versare per due volte i contributi e vedersi così ridurre drasticamente la pensione.

Forse al ministro Fornero scapperà un’altra lacrima quando dovrà mettere mano alla patata bollente ereditata dal governo Berlusconi. Sì, perché al disorientamento provocato dalla sua riforma, si aggiunge l’incubo di migliaia di lavoratori prossimi alla pensione che devono ripagare i contributi già versati.

L’origine del frutto bacato risale ad una legge del 2010. Il risultato è una lunga lista di situazioni simili a quelle descritte in queste lettere: «Sono un ex dipendente della Pubblica amministrazione: ho lavorato 22 anni in una Ausl, che versava i miei contributi all’Inpdap, poi, 15 anni fa, sono passato alle dipendenze di una azienda privata, che li ha versati all’Inps; quando chiesi la ricongiunzione, mi fu consigliato dai funzionari dell’Inps di farlo l’ultimo giorno di lavoro, perché tanto era gratuita (in effetti sul sito ufficiale dell’Inps c’era scritto così fino a metà gennaio 2012, ndr). Ora ho scoperto, per caso, che per fare la ricongiunzione dovrò sborsare 93 mila euro, che ovviamente non ho. Quindi, se questa legge non viene modificata, mi trovo a dover rinunciare a 22 anni di contributi, o rinunciare alla liquidazione, e andare in pensione a 66 anni piuttosto che a 62 e con una pensione di 1.400 euro lordi, invece di 2.500. Questo dopo aver versato 43 anni di contributi!». Ancora: «Ho lavorato 31 anni presso la ragioneria del Comune e versato i contributi all’Inpdap; poi, 9 anni fa, hanno ridotto il personale e sono passata a una ditta privata, che li ha versati all’Inps. Adesso sto ultimando il 41esimo anno di lavoro e, per fare la ricongiunzione, vogliono più di 200.000 euro. Mi dicono: “Però può pagare a rate…”, ma quali rate, visto che io dovrei andare in pensione con 1.600 euro al mese!».

Questo è il prodotto della Legge 122, «infilata» dentro ad altri provvedimenti nella Finanziaria del luglio 2010. La legge dice, in sintesi, che la ricongiunzione dall’Inpdap all’Inps, finora gratuita, perché peggiorativa, diventa onerosa. Il motivo di questa decisione nasce con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne del pubblico impiego, da 60 a 65 anni. Ora, per i dipendenti pubblici ad erogare la pensione è l’Inpdap. Nel settore privato invece la pensione la paga l’Inps, e per l’Inps le donne hanno diritto alla pensione di vecchiaia a 60 anni.
Ricordiamo che siamo nel 2010 e l’allora ministro del Welfare Sacconi deve aver pensato che le signore con qualche anno di contributo Inps volessero fare una ricongiunzione di massa e prendersi la pensione di vecchiaia in anticipo, anche se leggermente più bassa. Per impedire questa eventualità, non è stato fatto un provvedimento ad hoc, ma la famigerata legge 122, che riguarda indiscriminatamente tutti, senza calcolare che in questi anni di privatizzazioni, migliaia di cittadini, senza cambiare scrivania, hanno cambiato datore di lavoro, passando dal «pubblico» al «privato» (dai Comuni, agli elettrici, ai telefonici), e non sono loro a scegliere dove versare i contributi, perché le regole sono decise da altri. Ora a questi lavoratori, se non vogliono perdere anni di contributi già versati, l’Inps chiede di versarli una seconda volta. Per chi fa domanda di ricongiunzione, la cifra può raggiungere i 300.000 euro.

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