Viaggio a Ciudad Juarez, Messico

Il reportage di Ettore Mo da una delle città più violente al mondo

Oggi sul Corriere c’è un reportage di Ettore Mo, storico giornalista e inviato del Corriere della Sera, da Ciudad Juarez, in Messico. La capitale del narcotraffico.

In questa sterminata città di frontiera con gli Stati Uniti, i cronisti di nera (come si dice in gergo) non soffrono affatto l’angoscia dei loro colleghi residenti in altri Paesi relativamente pacifici, sempre in attesa del grande evento che pare non arrivi mai.
Qui avviene tutto il contrario. Appena metti piede in albergo non ti danno neppure il tempo di disfare la valigia. È già pronta la macchina di Riccardo, fotoreporter d’assalto di El Diario che, sguainando un sorriso, subito si propone nel duplice ruolo d’autista e di guida. Corre da mettere paura: una mano al volante, l’altra sul cellulare incollato all’orecchio sinistro attraverso cui la sua redazione impartisce ordini e cambiamenti di rotta. Un dialogo rapido, stretto, essenziale.

«Sto andando verso Ovest, c’è un morto».
«Niente affatto. Raggiungi la periferia orientale. Lì i morti sono tre».
È bastata mezza giornata per rendersi conto che Ciudad Juarez, un milione e 300 mila abitanti, è davvero la città più aggressiva del mondo e che il livello di violenza nel Messico ha superato quello dell’Afghanistan e del Pakistan irretiti nella Jihad (la guerra santa) di Al Qaeda. Secondo dati ritenuti attendibili dagli esperti, i morti ammazzati nel conflitto del narcotraffico dal 1° gennaio 2009 al 28 febbraio 2011 sono 5 mila 316.
«E puoi star certo – dice Luz del Carmen, giornalista messicana di quelle toste che però preferisce farsi chiamare Luci – che non si tratta di una guerra per la libertà o gli ideali, ma unicamente per il denaro. Il compenso per chi spara e uccide è di mille pesos (60 euro): questa la differenza fra la vita e la morte».

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