Il problema della sinistra con i leader

Quando si hanno dei buoni candidati la "personalizzazione della politica" non è una cosa cattiva o dannosa, scrive il Foglio

Ieri il Foglio ha affrontato una questione eterna ma assai attuale, quella dei rapporti tra leadership e partiti e dell’importanza relativa degli uni e degli altri ai fini della vittoria elettorale. Claudio Cerasa si è chiesto se queste elezioni amministrative dicono qualcosa al centrosinistra su questo tema – aspettando i ballottaggi, ovviamente – e lo ha chiesto anche a Ernesto Galli della Loggia e al direttore del Post.

“La vogliamo dire la verità? La verità è che queste elezioni, comunque andranno a finire, hanno dimostrato una cosa molto semplice: che ai nostri elettori non gliene frega nulla delle alleanze, che non gliene frega nulla delle coalizioni, che non gliene frega nulla degli apparentamenti, che non gliene frega nulla dei comitati di liberazione nazionale e che alla fine dei conti, quando entrano in cabina elettorale e quando devono scegliere quale candidato andare a votare, oramai, tutti, fanno un ragionamento molto elementare: semplicemente votano per il candidato più forte, semplicemente votano per il candidato più cazzuto e semplicemente sono molto ma molto ma molto più americani di quanto chiunque di noi abbia mai potuto pensare”.

Ecco: la vera lezione che dovrebbe trarre il Pd dalle ultime elezioni comunali ce la offre sotto voce un alto dirigente democratico. A poche ore dai ballottaggi si riassume in queste parole un ragionamento che negli ultimi tempi sembra essersi diffuso nel maggior partito d’opposizione. Un ragionamento che in nome dell’unità preelettorale nessuno nel Pd si azzarda a farsi virgolettare ma che descrive bene il succo di una delle grandi battaglie combattute da anni tra le due anime forti del Partito democratico: è il leader che è più importante del partito oppure è il partito che è più importante del leader? Anche un Pd vincente su Berlusconi può paradossalmente uscire in difficoltà identitaria e politica da queste elezioni e in ballottaggio è anche il modello di partito sognato dal leader del Pd, Pier Luigi Bersani. Perché se fino a oggi il segretario ha sempre scelto di difendere quella sua visione strategica della politica che prevede un mondo in cui il partito conta più del suo leader, non c’è dubbio che dopo queste elezioni Bersani avrà qualche difficoltà in più a sostenere che il centrosinistra debba combattere con tutte le sue forze questo insopportabile, insostenibile e inaccettabile fenomeno della “personalizzazione della politica”.

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