Prima e dopo Geronzi

Massimo Mucchetti prova a riassumere sul Corriere come si è arrivati alle dimissioni di ieri e dove si va ora

Un buon riassunto della carriera di Cesare Geronzi e del quadro che lo ha portato ieri alle dimissioni da Generali è compilato sul Corriere della Sera da Massimo Mucchetti (la proprietà del Corriere – tra cui figura anche Generali – è pesantemente interessata a quello che succede con l’uscita di Geronzi, che ieri ha annunciato anche il patto di sindacato di RCS).

Non è finita a tarallucci e vino, ma con un incasso di 20 milioni. In proporzione, i 12 mesi di presidenza non esecutiva di Generali hanno reso a Cesare Geronzi il triplo dei 15 anni di Alessandro Profumo in Unicredit. Ma gli amministratori di Generali, che lavorano con i capitali di un azionariato diffuso, avranno considerato il costo di ulteriori tensioni tra il presidente e il top management. Geronzi conclude un’avventura ventennale, di cui vale la pena ricordare l’esordio e il culmine. L’esordio risale ai primi Anni 90 quando, auspice il governatore Carlo Azeglio Ciampi, Geronzi porta Cariroma ad acquisire dall’Iri il Santo Spirito e il Banco di Roma. Ecco il cireneo che porta la croce per la stabilità degli intermediari, fine ultimo della Banca d’Italia. Ma quelle croci fanno del ragioniere di Marino l’ecumenico banchiere dei partiti e dei giornali.
Il rendiconto del dare e l’avere in materia è ignoto. Certo è che Geronzi, matrice democristiana, conquista il Psi con l’acquisizione delle due banche Iri; poi Silvio Berlusconi, sistemando Mediolanum; infine l’ex Pci dalemiano e il “manifesto”, ristrutturandone i debiti. Sui giornali si affaccia con la concessionaria di pubblicità Mmp, in società con la Stet di Ernesto Pascale, per sostenere testate di partito, religiose e d’informazione. Capitalia prende anche quote in Class Editori e Rcs MediaGroup mentre il rapporto con L’Espresso è garantito fino alla sua scomparsa da Vittorio Ripa di Meana, legale suo e di Carlo De Benedetti. Più tardi, quando Profumo e Renato Pagliaro, ora presidente di Mediobanca, manifesteranno riserve sulla presenza delle banche nei media, Geronzi ribadirà il suo favore. E si rivelerà talvolta meno pronto all’accordo con Palazzo Chigi di alcuni industriali. Il momento dello splendore, a dispetto dei conti, il banchiere lo raggiunge nel 2003 quando, con l’aiuto di Profumo e di un altro governatore, Antonio Fazio, riesce a defenestrare Vincenzo Maranghi in Mediobanca. Il delfino di Enrico Cuccia, pago della liquidazione di legge e delle ferie arretrate, caccia chi l’aveva offeso proponendogli una ricca buona uscita. Ma è proprio da quel successo che inizia la sotterranea erosione delle basi materiali del suo potere.

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