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  • Venerdì 25 febbraio 2011

Le prime manifestazioni in Siria

Proteste e scontri anche in uno dei pochi regimi dell'area che non era stato toccato dalle rivolte

Syrians hold candels during a sit-in outside the Egyptian embassy in Damascus on January 29, 2011. Placards read: "Yes to Freedom, Mubarak Go Away, No to Mubarak, Mubarak Leave". AFP PHOTO/ LOUAI BESHARA (Photo credit should read LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)
Syrians hold candels during a sit-in outside the Egyptian embassy in Damascus on January 29, 2011. Placards read: "Yes to Freedom, Mubarak Go Away, No to Mubarak, Mubarak Leave". AFP PHOTO/ LOUAI BESHARA (Photo credit should read LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)

Fino a pochi giorni fa, la Siria era uno tra i pochi paesi tra Medioriente e Nordafrica a essere rimasto relativamente al di fuori dai moti di protesta antigovernativi. Gli oppositori del regime avevano indetto una manifestazione per il 4 e 5 febbraio, “il giorno della rabbia”, ma non si era presentato praticamente nessuno. Negli ultimi giorni però le cose stanno cambiando e sembra che qualcosa inizi a muoversi anche a Damasco.

Il Guardian racconta che martedì scorso circa 200 persone hanno partecipato a un sit-in fuori dall’ambasciata libica in sostegno degli oppositori di Gheddafi. I manifestanti reggevano cartelli con scritto “Libertà al popolo”, “Abbasso Gheddafi”, e cantavano slogan come “I veri traditori sono quelli che picchiano il loro popolo”. Un testimone ha raccontato che le autorità hanno disperso i manifestanti: questi si sono riuniti in un altro quartiere della città e da lì hanno tentato di riavvicinarsi all’ambasciata. Ad aspettarli hanno trovato un numero enorme di poliziotti, almeno il doppio dei manifestanti stando a quanto hanno raccontato al Guardian diversi testimoni. Alcuni manifestanti sono stati presi a pugni e a calci, e colpiti con dei bastoni. Human Rights Watch ha riportato che quattordici persone sono state trattenute e poi rilasciate. Un testimone ha raccontato che “hanno colpito due ragazzine, le ho viste urlare a terra”. La polizia ha preso nota dell’identità di tutti i presenti.

In Siria vige da anni lo stato di emergenza: è vietata ogni forma di dimostrazione pubblica. Le proteste sono molto rare ma negli ultimi giorni si sono fatte più frequenti. Lo scorso venerdì 1500 persone hanno preso parte a una manifestazione spontanea nel suq centrale di Damasco. Inizialmente protestavano contro il pestaggio di un negoziante da parte della polizia, ma in breve la contestazione si è rivolta contro il governo. La gente gridava “il popolo siriano non verrà umiliato”, “vergogna vergogna”. Il ministro degli interni ha aperto un’indagine sull’accaduto.

Human Rights Watch ha riportato che il 2 febbraio un gruppo di 20 persone in abiti civili ha picchiato e disperso 15 attivisti che stavano partecipando a una veglia in sostegno dei dimostranti egiziani, nel centro storico di Damasco. Ad Aleppo, la polizia ha trattenuto e poi rilasciato Ghassan al-Najjar, il giovane leader di un piccolo gruppo chiamato Corrente democratica islamica. Najjar aveva esortato pubblicamente i suoi concittadini a dimostrare per ottenere maggiore libertà nel paese.

L’aumento delle contestazioni è stato accompagnato da un maggiore controllo sulle comunicazioni e sugli spostamenti delle persone nel paese, nonostante l’impegno preso dal presidente Assad di realizzare riformare in senso liberale i mezzi di informazione. Alcuni attivisti hanno detto al Guardian che le tattiche di intimidazione sono aumentate, e che Internet e le conversazioni telefoniche sono stati messi sotto controllo. Circolano voci anche su un inasprimento nei confronti dei giornalisti stranieri che lavorano in Siria, e almeno due reporter non hanno ottenuto il permesso di entrare nel paese.