“Un uomo, un’azienda”

Luca De Biase spiega che genere di amministratore delegato è Steve Jobs, amministratore delegato di Apple

Un uomo, un’azienda. Una leggenda, una storia. Un carisma. Steve Jobs è la dimostrazione che una persona può fare la differenza. «Steve Jobs è il mio migliore amico e lo amo teneramente» disse Larry Ellison, leader della Oracle, al San Jose Mercury News nel 2001: «È una delle persone più rimarchevoli del pianeta. Fonda la Apple. Lo cacciano, con una delle decisioni sulle risorse umane più sbagliate dai tempi in cui i francesi cacciarono Napoleone. La Apple si disintegra. Steve torna e la salva quando l’azienda era ormai alla canna del gas».

Già. E dopo quel 2001 la porta a reinventare il business della musica con l’iPod, a ridefinire il telefono con l’iPhone, a far sognare un possibile futuro dell’editoria con l’iPad. La sua figura cresce a ogni apparizione pubblica. L’ammirazione per il personaggio diventa persino troppo inconfutabile. E nessuno più si stupisce del fatto che in un’epoca ormai passata, quando la Microsoft dominava il mondo dell’informatica insieme all’Intel, il leader di quest’ultima, Andy Grove, intervistato su chi fosse la persona che ammirava di più, disse: «Steve Jobs». Il suo avversario.

Ma ora, purtroppo, i cinici e gli adoratori si chiedono se il futuro della Apple sia destinato a dipendere da un bollettino medico che non verrà reso pubblico, a meno che non vincano le pressanti richieste del mondo finanziario che ha visto Jobs moltiplicare per 100, in una dozzina d’anni, la capitalizzazione della Apple. Insomma, tutti si chiedono se, nella sua grandezza, Jobs sia riuscito a dare alla sua creatura la forza per diventare più grande di lui.

Per rispondere non basta guardare ai risultati aziendali. Occorre comprendere il suo stile di leadership.

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