La vita nei sottomarini dei narcos

Le imbarcazioni usate dai trafficanti vengono costruite nelle foreste di mangrovie della costa colombiana

Ieri abbiamo raccontato la storia delle migliaia di famiglie colombiane che ogni anno sono costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire agli scontri tra narcotrafficanti, guerriglieri e paramilitari che avvengono in diverse parti del paese. Oggi, attraverso lo Spiegel, raccontiamo la storia di un ex trafficante colombiano che per anni ha trasportato droga tra Colombia e Messico, spesso a bordo di sottomarini costruiti nelle foreste di mangrovie.

Il giorno in cui la vita da trafficante di Gustavo Alonso è finita è iniziato con il rumore di un elicottero. Alonso poteva sentirlo avvicinarsi rapidamente. Poi lo sentì fermarsi all’improvviso e iniziare a ronzare sopra la sua testa. Alonso si trovava insieme ad altri tre membri dell’equipaggio e un capo dei narcos colombiani in uno spazio di circa quindici metri quadrati nella stiva di un piccolo sommergibile, in cui a stento si poteva stare in piedi e camminare. Le onde ricoprivano costantemente l’oblò di vetro che forniva l’unico contatto visivo con il mondo esterno. Gli uomini erano costretti l’uno accanto all’altro e passavano la maggior parte del tempo giocando a carte o sonnecchiando. Erano circa le dieci di mattina e improvvisamente sentirono un tonfo sordo. L’elicottero aveva lanciato una rete di acciaio contro il sommergibile. La rete si stava avvolgendo intorno al motore del vascello e gli impediva di spostarsi. Sentirono qualcuno parlare al megafono. Sapevano che c’erano armi puntate contro di loro e che non avevano nessuna via d’uscita. Spensero i motori, uscirono e si consegnarono alle Guardia Costiera degli Stati Uniti.

Alonso racconta che il suo primo pensiero fu quello di uccidersi. Poi però pensò che quella poteva essere l’occasione buona per uscire una volta per tutte dai narcos, e dal controllo soffocante che esercitavano sulla sua vita. Fu condannato per traffico di droga e passò diversi anni in carcere, i primi due in una cella d’isolamento. Una volta liberato, tornò in Colombia dove quelli che un tempo erano i suoi compagni erano morti o in prigione. Ora, a 53 anni, vive nella città costiera di Buenaventura. Alonso naturalmente non è il suo vero nome, sarebbe troppo pericoloso se i narcos venissero a sapere che un loro ex membro ha iniziato a parlare.

Le bande di narcos reclutano i loro nuovi membri nei quartieri più poveri di Buenaventura, dove le persone vivono in misere capanne di legno. In questi quartieri c’è poco lavoro e l’elettricità e l’acqua spesso mancano. Poche settimane fa una donna è stata uccisa e altri due uomini sono spariti senza lasciare nessuna traccia, probabilmente una vendetta di un gruppo narcos dopo una missione andata storta. L’equipaggio dell’imbarcazione aveva gettato a mare parte del carico di droga mentre fuggiva dalla guardia costiera. Pochi giorni dopo, la polizia aveva annunciato fieramente il recupero del carico. Per i narcos l’incidente era un tradimento, che quindi doveva essere punito.

Ci sono due modi per entrare nel traffico di droga, racconta Alonso. Alcuni lo fanno per ottenere soldi subito e magari comprarsi una casa o mandare a scuola i figli. Altri, come lui, lo fanno perché sono ricattati dai narcos, da cui in passato avevano ricevuto qualche tipo di aiuto. Alonso aveva lavorato per un anno come capitano su grosse navi prima di diventare comandante dei sommergibili che trasportavano droga attraverso l’oceano. Viveva a Buenaventura con la moglie e tre figlie quando sua moglie si ammalò gravemente. I medici gli dissero che c’era bisogno di quarantamila dollari per l’intervento di cui aveva bisogno. Un suo conoscente allora gli disse che non doveva preoccuparsi, che i soldi si sarebbero trovati. Ma dopo l’operazione tornò da Alonso e gli chiese un favore in cambio.

Da quel giorno iniziò la sua nuova carriere come trafficante di cocaina. In due anni fece in totale quattro viaggi. Il primo lo passò dentro a una motovedetta della guardia costiera che gli avevano fornito i narcos, con cinque tonnellate di cocaina nascoste sotto un carico di pesce. Alonso, che all’epoca era ancora un capitano conosciuto nella marina, portò a termine l’operazione senza problemi. Consegnò la droga a largo della costa messicana e tornò a casa.

Dice che ha sempre sperato che i narcos lo lasciassero in pace, ma ogni volta tornavano. La seconda volta lo vennero a prendere a casa di notte. Dopo un viaggio di alcune ore prima in macchina e poi su un motoscafo, Alonso e alcuni altri uomini furono portati alla destinazione finale, un’isola vicina alla costa. Dalla barca, Alonso riusciva a vedere uno di quei cantieri navali di cui tante volte aveva sentito parlare a Buenaventura, dove i sommergibili vengono costruiti usando le fibre di vetro raccolte nella giungla ricca di mangrovie.

I narcos avevano sviluppato un sistema molto affidabile. Le barche erano quasi invisibili dall’acqua e non apparivano nei radar. L’unico modo per poterle localizzare con certezza era attraverso un sofisticato sistema di monitoraggio dall’alto. «Mi spaventai quando mi mostrarono l’imbarcazione», racconta Alonso. Lui di barche ne sapeva abbastanza. Su una barca, puoi sempre salire sul ponte e guardare il mare. Ma ora quella che aveva davanti agli occhi era un sottomarino estremamente fragile di cui poteva solo immaginare le dimensioni interne. Dieci tonnellate di carburante, cibo in scatola e acqua erano già state sistemate nella stiva. Insieme a tre tonnellate e mezzo di cocaina pura. I narcos ordinarono all’equipaggio di salire a bordo appena fosse calata la notte.

La barca era divisa in tre parti. Un portello a prua conduceva nella stiva, che era alta appena un metro. Gli uomini dovevano entrarci camminando a gattoni tra la i pacchi di droga per raggiungere le cuccette in cui dormivano. Alonso si sistemò al timone, vicino a un navigatore satellitare e a una radio. Il carburante era sotto alle cuccette. La sala macchine conteneva due motori turbo a diesel. Non c’era luce né bagni. E mancava anche lo spazio sufficiente per stare in piedi o per sdraiarsi e dormire.

Alle otto di sera circa partirono. Un’altra imbarcazione li spinse al largo, dove l’equipaggio fece partire i motori e il sommergibile iniziò a muoversi. Dentro faceva sempre più caldo. I motori succhiavano l’ossigeno e liberavano monossido di carbonio, nonostante alcune ventole. «Ti sentivi sempre sul punto di soffocare», spiega Alonso. «Ogni quattro ore diminuivamo la velocità e aprivamo l’oblò per far entrare un po’ d’aria fresca per un minuto esatto, poi acceleravamo di nuovo». I quattro uomini che erano con lui si davano il cambio, mentre Alonso continuava a restare al timone e controllare la rotta. Nessuno riusciva a dormire per il rumore dei motori e per il puzzo. Dovevano bere molta acqua per compensare tutti i liquidi che perdevano sudando in continuazione per il caldo. La loro principale fonte di sostentamento era il latte condensato, della marca peruviana “Leche Gloria”. Il puzzo delle feci, che non potevano essere scaricate fuori dal sommergibile, iniziò a diventare presto insopportabile.

I narcos colombiani hanno centinaia di imbarcazioni di questo tipo, tutte fabbricate negli ultimi anni. La polizia è riuscita a confiscarne solo 53, venti solo nell’ultimo anno. Il trasporto della droga è molto remunerativo. Costruire un sommergibile di questo tipo costa circa mezzo milione di dollari, ma il valore di mercato di un carico di droga può essere cento volte tanto. Spesso i trafficanti affondano la loro nave una volta che la consegna è stata effettuata. Dozzine di queste imbarcazioni destinate a viaggi a senso unico sono probabilmente sul fondale dell’oceano lungo la costa messicana. La polizia ha iniziato a multare severamente chiunque venga trovato a lavorare alla costruzione di queste barche. Se poi a bordo si trova anche della droga, chi viene arrestato può rischiare dagli otto ai quattordici anni di carcere. Spesso sono gli stessi trafficanti a lavorare alla costruzione.

Quelli che accettano di compiere questi viaggi partecipano a una missione estremamente pericolosa. Il più piccolo errore di costruzione può essere fatale per una barca che passa gran parte del suo viaggio 1.500 km a largo della costa. «Se qualcosa va storto è tutto finito», dice Alonso. Lui ha sentito diverse storie di equipaggi affondati in mezzo all’oceano. «Anche se riesci a raggiungere la superficie, sei comunque da solo in mezzo all’oceano, senza un giubbotto di salvataggio o una scialuppa». Il suo primo viaggio durò dieci giorni  e raggiunse la destinazione finale senza nessun incidente, passando sotto i radar della guardia costiera colombiana senza essere intercettato. Alonso sapeva quali erano i buchi della sorveglianza della guardia costiera. Raggiunsero la destinazione finale in Messico, dove iniziarono a comunicare via radio usando informazioni in codice trasmesse su frequenze prestabilite. Quando i narcos messicani arrivarono, l’equipaggio aprì lo sportello superiore del sommergibile e uscì all’aria per liberarsi del puzzo.

Impiegarono quattro ore a scaricare la droga, ogni pacco pesava dai venti ai quaranta chilogrammi. In cambio, ebbero venti pacchi di soldi, per un totale di otto milioni di dollari in banconote da venti. Soldi che avrebbero dovuto consegnare ai loro capi colombiani. La paga media per gli uomini dell’equipaggio varia dai trenta ai centomila dollari. Alonso fu pagato molto meno, perché doveva ancora finire di saldare il suo debito con i narcos.

I soldi sono il motore di questo traffico. Un chilo di cocaina costa circa 2.500 dollari in Colombia, ma in Europa viene venduta per trentamila. Pochi mesi fa, la polizia ha trovato ventinove milioni di dollari e poi diciassette milioni di dollari in uno dei rifugi in cui il boss dei narcos “El Loco” nascondeva i suoi soldi. Si stima che circa cinque milioni di colombiani siano direttamente o indirettamente coinvolti nel traffico di droga. È questo il motivo per cui il governo sta conducendo una lotta così dura contro i ribelli delle FARC, che non sono solo avversari politici ma anche i principali trafficanti di droga del paese. La lotta comporta l’uso da parte della polizia di elicotteri che bruciano interi laboratori di produzione di cocaina nella giungla e aerei che spruzzano gas erbicidi sulle piantagioni di coca. Con questo metodo, dal novembre del 2009, le autorità colombiane hanno già distrutto 7.500 ettari di piantagioni di coca in un’area controllata dalle FARC.

Lo scorso luglio, la polizia ecuadoriana ha sequestrato un sottomarino vicino al confine con la Colombia. Era lungo trenta metri ed equipaggiato con un periscopio e un tipo di motori che gli consentivano di raggiungere fino a venti metri di profondità. A differenza dei sommergibili descritti da Alonso, quello doveva per forza essere stato costruito da dagli ingegneri e poteva solo essere pilotato da un capitano con molta esperienza su quel tipo di imbarcazioni. Si stima che il costo di produzione fosse di quattro milioni di dollari.