Non è tempo di arroccarsi

Per noi non è tanto importante Della Valle. Non è importante Profumo, non è importante Montezemolo e in un certo senso neanche il Governatore Draghi. Per noi è importante il Partito democratico, la sua autonomia, la sua forza e soprattutto, in questo momento, la fiducia in se stesso che sembra venir meno diremmo sul più bello.

La direzione che si è riunita ieri è stata la prima dalla fondazione del Pd in cui ci sia stata una aperta e accesa discussione politica: mai capitato fin qui, con nessun segretario. E anche se tutti hanno parlato di argomenti disparati – il referendum elettorale, il giudizio sulla lettera della Bce al governo italiano, l’opzione (che peraltro non spetta al Pd, purtroppo) tra elezioni anticipate e governo d’emergenza – in realtà il nocciolo della questione, trasversale ai singoli temi, è se il Pd si senta abbastanza solido e sicuro di sé da assumere dei rischi nell’interesse del paese.

È un rischio, rispetto alla propria stretta convenienza, non correre al voto nonostante l’attuale vantaggio nei sondaggi, ma lavorare davvero per una transizione. È un rischio, rispetto alla propria costituency elettorale, riconoscere come fondate e non frutto di cieca furia neoliberista le esigenze di riforma rappresentate da Draghi nella lettera scritta insieme a Trichet (ma già dal Governatore sollevate, più analiticamente, dozzine di volte in passato). È un rischio, infine, sfidare il bricolage delle alleanze dando ai cittadini il potere di decidere sul sistema elettorale, impegnandosi in un confronto più duro ma più sincero con i partner che vorrebbero superare il maggioritario.

Bersani ieri è stato criticato, anche nella propria maggioranza, per un eccesso di staticità. A stare ai retroscena ci sarebbero dubbi sulla sua leadership in prospettiva elettorale: se ci sono, non possono nascere da un giudizio sulla persona ma casomai da questo difetto politico. Che diventa difetto collettivo, quando il Pd per difendere la propria posizione sceglie la scorciatoia della denuncia ansiosa e ansiogena di complotti antipolitici annidati dietro ogni angolo. Non è un buon segno, quando all’offensiva in campo aperto si preferiscono l’arroccamento ideologico e la caccia all’intruso.

Sull’arroccamento ideologico abbiamo scritto parecchio su Europa in questi giorni: evidentemente non erano assurdità, alla luce del dibattito che s’è svolto ieri in direzione tra Letta, Gentiloni, Fassina, Visco e altri. E che Bersani ha chiuso come altrimenti non poteva, e come ci eravamo permessi di prevedere: il Pd non può essere il partito che respinge al mittente la ricetta di Draghi per l’Italia assimilandola alla furia neoliberista. Tutte quelle osservazioni su qualità e quantità della spesa pubblica, inefficienza e peso della pubblica amministrazione, iniquità del mercato del lavoro e distorsioni della spesa pensionistica fanno parte del bagaglio acquisito dai riformisti. Che infatti si candidano meglio della destra a garantire il pareggio di bilancio e crescita, naturalmente con le proprie ricette e priorità. Bersani sul punto non ha solo convinzioni acquisite negli anni da ministro di Ciampi e Prodi: sa anche, in Italia, quale sia l’idea in merito del presidente Napolitano. E quale saranno le strettoie da affrontare da parte di qualsiasi governo di ampia maggioranza, prima o dopo le elezioni.

Quanto alla caccia all’intruso. Della Valle in questo weekend s’è già preso i rimbrotti dell’intero arco parlamentare, più Marcegaglia, Fiat e sindacati. Verrebbe da commentare: non una gran mossa politica, a giudicare dalle reazioni.
Bersani però ha detto bene ieri: non è importante se quella denuncia generica sia condivisibile o no, il fatto è che è condivisa. E questo è il problema, in vista del debutto sul mercato politico-elettorale di nuove offerte: rischiano di rispondere a una domanda, che magari non sarà quella di Elkann e Camusso ma di molta molta più gente.
È un’ottica tardo-berlusconiana? Può darsi. Allora diciamo che s’è già visto nel ’94 che l’orgoglio di partito non basta come antidoto e che l’inerzia può risultare suicida. I tre mesi da qui al varo del programma annunciato da Bersani devono essere davvero, come lui stesso dice, caratterizzati da una grande apertura e, come dice Letta, da forti novità «senza tabù». Forse anche il segretario ha capito, ieri, che la parola d’ordine «non vi muovete» propalata dai suoi comunicatori negli ultimi giorni avrebbe una sola vittima sicura: lui stesso.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.