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  • Venerdì 19 dicembre 2025

Trump ha un problema con l’economia

Il suo tasso di approvazione è in calo costante, e tutto ruota attorno a una parola: “affordability”

Donald Trump con dei cartelli sull'economia americana alla Casa Bianca, agosto 2025
Donald Trump con dei cartelli sull'economia americana alla Casa Bianca, agosto 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein)

Mercoledì sera il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tenuto un discorso in TV in cui ha incolpato il suo predecessore Joe Biden per lo stato dell’economia statunitense, sostenendo di avere «ereditato un casino» e che soltanto grazie a lui adesso la situazione è migliorata. Il fatto che Trump abbia tenuto questo discorso mostra quanto si senta vulnerabile sulla questione: il suo tasso di gradimento è in calo e secondo alcuni sondaggi è sceso sotto il 40 per cento, un valore molto basso per gli standard statunitensi. Il suo punto debole è proprio la gestione dell’economia, ritenuta insoddisfacente.

Il problema principale di Trump ruota attorno alla parola affordability, che si traduce come “accessibilità economica” ma che ormai è diventata una specie di parola-chiave della politica statunitense per indicare il problema del carovita. Secondo i sondaggi ormai da anni, prima con Biden e ora con Trump, la maggior parte degli abitanti del paese ritiene che i prezzi di beni e servizi siano troppo alti, cosa che fa aumentare il malcontento.

Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2024 Trump puntò molto sull’affordability, promettendo che se fosse tornato a essere presidente i prezzi si sarebbero abbassati. «Se l’affordability ti sta a cuore, VOTA REPUBBLICANO», scriveva allora sui social. Poi Trump è diventato presidente, i prezzi non sono calati (anzi il tasso di crescita dell’inflazione è aumentato leggermente rispetto agli ultimi mesi di Biden) e i ruoli si sono invertiti.

Ora sono i Democratici, cioè l’opposizione, a parlare ossessivamente di affordability. Zohran Mamdani è stato eletto sindaco di New York grazie a una campagna elettorale quasi esclusivamente incentrata sui prezzi troppo alti. In generale alle elezioni locali dello scorso novembre i Democratici sono andati molto bene anche perché hanno attaccato Trump e i Repubblicani sulla questione. Al contrario, Trump ha cambiato approccio. Di recente ha detto ai giornalisti: «Non voglio sentir parlare di affordability!» e l’ha definita «una truffa dei Democratici».

– Leggi anche: Da sconosciuto a sindaco di New York in un anno

Donald Trump e il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, luglio 2025

Donald Trump e il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, luglio 2025 (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

Per capire il problema dell’affordability, e le difficoltà di Trump, bisogna anzitutto chiedersi: come sta andando l’economia statunitense? La risposta è: abbastanza bene; anzi, sorprendentemente bene, se si considerano le aspettative di molti economisti all’inizio del secondo mandato di Trump. Il Prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe crescere di circa il 2 per cento nel 2025; la disoccupazione è leggermente aumentata rispetto agli ultimi mesi di Biden ma è ancora abbondantemente sotto controllo; i mercati finanziari, dopo alcuni mesi difficili, stanno crescendo in maniera abbastanza sostenuta.

Anche i dati relativi all’affordability, cioè all’aumento dei prezzi, sono all’apparenza abbastanza buoni. Negli Stati Uniti come in altri paesi, compresa l’Italia, l’inflazione era cresciuta enormemente tra il 2021 e il 2023. Poi l’amministrazione Biden era riuscita a riportarla a livelli accettabili all’inizio del 2024. Da allora, sotto Trump, è aumentata di qualche decimo di punto percentuale rispetto agli ultimi mesi di Biden, ed è attualmente attorno al 3 per cento (a dicembre è scesa al 2,7 per cento, a causa delle distorsioni economiche provocate dal lungo shutdown del mese scorso). Non è ancora al livello ritenuto ideale (il 2 per cento) ma è comunque accettabile, soprattutto perché negli Stati Uniti, al contrario di paesi come l’Italia, i salari hanno tenuto il passo dell’inflazione e hanno compensato almeno in parte l’aumento dei prezzi, anche se con grandi differenze tra categorie e settori.

Nonostante questo, c’è grande malcontento. Secondo un recente sondaggio di Politico il 46 per cento degli statunitensi ritiene che il livello dei prezzi sia il peggiore da quando ne ha memoria, e questo dato comprende il 37 per cento delle persone che hanno votato per Trump nel 2024. Soltanto il 31 per cento della popolazione approva il modo in cui il presidente sta gestendo l’economia.

Da questo punto di vista, Trump si trova in una situazione simile a quella di Biden: i dati economici generali dicono che le cose vanno abbastanza bene (anche se sotto Biden andavano meglio), ma la gente è scontenta.

Questo dipende in parte da una questione di percezione e di aspettative: una volta che le persone si convincono che i prezzi sono troppo alti è molto difficile far cambiare loro idea, anche se i dati macroeconomici (cioè quelli sull’economia nel suo complesso) dicono il contrario. Trump inoltre ha a lungo generato aspettative sul fatto che sotto la sua amministrazione i prezzi si sarebbero abbassati, cosa che in realtà anziché risolvere i problemi li avrebbe peggiorati: il modo per compensare l’inflazione è aumentare i salari, mentre se i prezzi si abbassano significa che c’è un problema. Ancora durante il suo discorso di mercoledì, per esempio, ha detto che aveva fatto abbassare il prezzo dei farmaci del 400 per cento, cosa che è matematicamente impossibile.

Inoltre vari politici Democratici, tra cui Mamdani, sono stati abili a legare la questione dell’affordability non soltanto alla percezione sul livello momentaneo dei prezzi, ma a una realtà di più ampio periodo legata al fatto che sempre più persone negli Stati Uniti faticano a vivere una vita dignitosa. Secondo il centro studi American Compass, nel 1985 il lavoratore mediano maschio americano doveva lavorare 40 settimane all’anno per garantire le spese di una famiglia di quattro persone. Nel 2020 le settimane sono diventate 62, cioè dieci più di quelle presenti in un anno. American Compass peraltro è un centro studi conservatore diretto da Oren Cass, un economista abbastanza vicino a Trump.

Un data center costruito in Virginia

Un data center costruito in Virginia (AP Photo/Ted Shaffrey, File)

Questo disallineamento tra la situazione macroeconomica e la percezione della popolazione aveva danneggiato enormemente Biden, e ora sta colpendo anche Trump. Se si guarda un po’ più in profondità, però, la situazione dell’economia statunitense è più preoccupante di quanto sembrino suggerire i dati. In questo la situazione di Biden e quella di Trump divergono: se Biden aveva presieduto a un’economia energica e in crescita, l’economia sotto Trump ha una china discendente.

L’esempio più notevole riguarda la crescita del PIL. Secondo molte stime, il grosso della crescita statunitense nel 2025 è dovuta agli enormi investimenti che le aziende tecnologiche stanno facendo nel settore dell’intelligenza artificiale, principalmente per la costruzione di data center: si parla di centinaia di miliardi di dollari investiti in pochi mesi. Senza questi investimenti, gli Stati Uniti crescerebbero a meno dell’1 per cento.

Ciò significa che, per le persone non coinvolte nel lavoro nei data center (cioè la stragrande maggioranza della popolazione statunitense), l’economia è molto più stagnante di quello che sembrerebbe dai dati. Significa anche che se gli investimenti nell’intelligenza artificiale sono una bolla, come molti temono, al suo scoppio l’economia statunitense sarà in grossi guai.

Un altro esempio riguarda il mercato del lavoro: è vero che il tasso di disoccupazione è cresciuto molto poco nell’ultimo anno e ha ancora livelli invidiabili per molti paesi europei (4,6 per cento, contro per esempio il 6 per cento dell’Italia), ma al tempo stesso il numero di nuove assunzioni nell’ultimo anno è calato in maniera notevole. L’economista Paul Krugman ha parlato in questo senso di un «mercato del lavoro congelato».

Le politiche economiche di Trump hanno in parte contribuito a questa situazione. Prendiamo i dazi. Quando Trump li annunciò ad aprile, molti economisti dissero che avrebbero provocato disastri e devastato l’economia statunitense. Non è andata così, principalmente perché molti paesi hanno accettato di fare accordi commerciali convenienti per gli Stati Uniti, costretti dalle minacce economiche del presidente.

Nonostante questo, il livello medio dei dazi sulle importazioni statunitensi è di circa il 17 per cento, il più alto dagli anni Trenta e in fortissimo aumento rispetto all’1,5 per cento del 2022. Questi dazi non sono (ancora) sufficienti per danneggiare pesantemente l’economia, ma lo sono abbastanza per colpire alcuni settori importanti, come quelli della manifattura e dell’agricoltura, che impiegano milioni di persone.

Altri effetti si sentiranno nei prossimi mesi: i Repubblicani al Congresso, per esempio, hanno fatto scadere una serie di esenzioni sulla sanità che aumenteranno notevolmente il costo dell’assicurazione per milioni di persone, soprattutto della classe media.

Tutti questi sintomi preoccupanti non sono sufficienti per fare andare gli Stati Uniti in recessione, ma mostrano come l’economia sia molto meno dinamica di quello che indicano i dati. Le difficoltà di Trump e il malcontento degli elettori potrebbero durare ancora a lungo.