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  • Lunedì 1 dicembre 2025

Tra Stati Uniti e Venezuela le cose vanno male da 25 anni

Da quando Chávez instaurò l'attuale regime in Venezuela e interruppe una collaborazione basata sul petrolio

Una sostenitrice di Nicolás Maduro con una foto di Hugo Chávez nel 2019 (AP Photo/Ariana Cubillos)
Una sostenitrice di Nicolás Maduro con una foto di Hugo Chávez nel 2019 (AP Photo/Ariana Cubillos)
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Da settembre gli Stati Uniti compiono attacchi a presunte barche di narcotrafficanti al largo del Venezuela, a novembre hanno spostato una portaerei e altre navi militari nel mar dei Caraibi, lunedì scorso hanno designato il presidente Nicolás Maduro come il capo di un’organizzazione terroristica. Nonostante un colloquio telefonico fra Donald Trump e Maduro, di cui non si conoscono i contenuti, è probabile che le tensioni fra i due paesi aumenteranno ulteriormente: le relazioni sono diventate particolarmente delicate da gennaio, con il ritorno di Trump alla presidenza statunitense, ma sono complesse da oltre 25 anni, cioè dalla prima elezione a presidente di Hugo Chávez.

Chávez fu predecessore di Maduro e autore della svolta in senso socialista del paese, con la cosiddetta «rivoluzione bolivariana» contro quelli che definiva il «liberismo selvaggio» e «l’imperialismo degli Stati Uniti d’America». Da allora i rapporti tra i due paesi sono quasi continuamente peggiorati, sia con le amministrazioni Repubblicane che Democratiche.

Il Venezuela ha denunciato il sostegno americano a un colpo di stato tentato nel 2002 e gli Stati Uniti hanno promosso sanzioni verso il regime di Maduro, che governa dal 2013 in modo sempre più autoritario. Il presidente venezuelano ha mobilitato la popolazione dicendo che esiste la minaccia di un’invasione per destituirlo.

Nicolás Maduro il 12 ottobre 2025 (AP Photo/Ariana Cubillos)

Da oltre un secolo le relazioni fra Stati Uniti e Venezuela si basano soprattutto sul petrolio: il paese latinoamericano ha le maggiori riserve al mondo, e gli Stati Uniti sono stati a lungo il principale compratore.

Compagnie statunitensi hanno investito nei pozzi di estrazione venezuelani sin dagli anni Venti del Novecento, e poi in maggior misura durante gli anni della dittatura di Marcos Pérez Jiménez, che prese il potere con un colpo di stato nel 1948 e lo mantenne fino al 1958. Il suo regime anticomunista fu violento e repressivo, ma l’amministrazione Repubblicana di Dwight Eisenhower lo sostenne e conferì a Pérez Jiménez anche la Legione al merito (un’onorificenza militare). Le compagnie Exxon e Mobil aumentarono in quel decennio la propria presenza nel paese.

Il presidente Marcos Pérez Jiménez poco prima di cedere il potere, nel 1958 (AP Photo)

Anche con il ritorno dei governi democratici l’influenza statunitense restò decisiva: nel pieno della Guerra Fredda, il Venezuela era considerato un alleato importante nella crescente contrapposizione al governo comunista dell’Unione Sovietica, che aveva trovato in Cuba un alleato nell’area caraibica.

Nel 1976 il governo venezuelano fondò la PDVSA (Petróleos de Venezuela Sociedad Anónima), nazionalizzando l’industria petrolifera: la nuova azienda pubblica mantenne grandi collaborazioni con le imprese statunitensi e dopo qualche anno si aprì a investimenti stranieri. La PDVSA divenne enorme e potente, si garantì anche una certa autonomia dalle decisioni del governo e fu in grado di influenzare la politica: la produzione crebbe progressivamente, fino ad arrivare a 3-3,5 milioni di barili al giorno alla fine degli anni Novanta.

Nel 1998, in un momento in cui il Venezuela si trovava in una crisi economica, e in cui molti cittadini cominciavano a mettere in discussione l’egemonia dei partiti tradizionali, Hugo Chávez vinse le elezioni. Era un ex militare che qualche anno prima aveva perfino tentato un colpo di stato, e che aveva fondato un movimento politico promettendo di rivoluzionare la politica venezuelana attraverso un programma di sinistra, incentrato sulla lotta alla corruzione e alla povertà. Diceva che la sua azione politica era ispirata a Simón Bolívar, eroe rivoluzionario di origini venezuelane (in realtà di idee liberali più che socialiste) che all’inizio del Diciannovesimo secolo aveva contribuito a liberare buona parte dell’America Latina dalla colonizzazione spagnola.

Chávez si avvicinò a Russia, Cina e Iran e la sua retorica era fortemente antiamericana. PDVSA continuò a vendere petrolio agli Stati Uniti, ma ridusse l’influenza delle compagnie statunitensi.

Murales per le strade di Caracas, il 22 gennaio 2022 (AP Photo/Matias Delacroix)

Nel 2002 alcuni dei generali che guidavano l’esercito organizzarono un colpo di stato per esautorare Chávez, che venne prima portato in una base militare, poi su un’isola venezuelana. Intanto il presidente di Fedecámaras, Pedro Carmona, si autoproclamò presidente. Fedecámaras riunisce dal 1944 le principali imprese private del Venezuela (commercio, industria, agricoltura, servizi) e per decenni è stata un attore politico importante, in difesa di politiche di segno liberista.

Il colpo di stato durò due giorni, poi Chávez tornò al potere, anche grazie a partecipate manifestazioni popolari di protesta contro il nuovo governo e di sostegno al leader destituito. In quei due giorni l’amministrazione di George W. Bush prima riconobbe Carmona, poi tornò sulla sua decisione. Non ci sono prove di un sostegno diretto statunitense al tentativo di golpe, ma i contatti politici con chi lo promosse o sostenne erano consolidati.

Il tentato colpo di stato, per cui Chávez incolpò direttamente gli Stati Uniti, diede il via a un ulteriore peggioramento delle relazioni. Fra il 2002 e il 2003 Chávez rispose a uno “sciopero petrolifero” (cioè al blocco della produzione deciso dalle opposizioni e da PDVSA) trasformando l’azienda petrolifera statale attraverso 18mila licenziamenti. Aumentò il controllo del governo sull’azienda: di pari passo, PDVSA divenne anche meno efficiente, e la produzione giornaliera calò progressivamente.

Un pozzo di petrolio vicino al complesso di El Tigre, nel 2015 (AP Photo/Fernando Llano)

Quando nel 2013 Maduro succedette a Chávez, le cose non migliorarono: nel 2014-15 arrivarono le prime sanzioni da parte del governo statunitense, in risposta alle denunce di violazioni dei diritti umani e a crescenti proteste per le misure repressive del nuovo presidente. Le sanzioni aggravarono la crisi economica, che durava già da alcuni anni e in Venezuela cominciò una massiccia emigrazione.

Le prime sanzioni erano state approvate da Barack Obama, ma Donald Trump ne aggiunse altre fra il 2017 e il 2019, isolando anche finanziariamente il paese e riducendo l’acquisto di petrolio. Nel 2018 Maduro, che governava in modo sempre più autoritario, venne confermato presidente dopo elezioni molto contestate e con chiari brogli. Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale e leader dell’opposizione, giurò come presidente ad interim: gli Stati Uniti e molti paesi occidentali lo riconobbero come legittimo presidente, ma Maduro riuscì a mantenere il controllo sull’esercito e sui settori fondamentali del paese, rimanendo in carica.

Un comizio di Juan Guaidó a Barquisimeto, Venezuela, il 26 maggio 2019 (AP Photo/Leonardo Fernandez)

Negli anni seguenti, soprattutto dopo la fine del primo mandato di Trump, le diplomazie statunitensi e venezuelane tornarono a parlarsi e a ridurre parzialmente le sanzioni sulla base di una promessa di elezioni democratiche nel 2024. Maduro non la rispettò, vietò alla leader dell’opposizione María Corina Machado (a ottobre premiata col Nobel per la Pace) di candidarsi, incarcerò molti oppositori politici: si autoproclamò vincitore di quelle elezioni, benché l’opposizione avesse portato importanti prove di brogli generalizzati. Il segretario di Stato americano Antony Blinken disse che esistevano “prove schiaccianti” che avesse vinto Edmundo González, candidato delle opposizioni.

Condanne e pressioni internazionali non hanno avuto effetti. Trump e Maduro si sono insediati per un nuovo mandato a poche settimane di distanza l’uno dall’altro e dopo un’iniziale breve collaborazione per il rimpatrio di venezuelani espulsi dagli Stati Uniti le cose sono peggiorate quasi subito, a partire da febbraio. L’intento quasi apertamente dichiarato degli Stati Uniti è rovesciare il regime di Maduro, utilizzando accuse di narcotraffico che, seppur non del tutto infondate, spesso sembrano poco più che una scusa per giustificare gli attacchi.