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  • Venerdì 28 novembre 2025

Perché oggi il Post non è aggiornato come al solito

La redazione aderisce allo sciopero nazionale dei giornalisti, non contro l'azienda ma per il mancato rinnovo del contratto nazionale

(Carl Court/Getty Images)
(Carl Court/Getty Images)
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Oggi, venerdì 28 novembre, c’è uno sciopero nazionale dei giornalisti italiani, indetto per protestare contro il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto nel 2016 e mai aggiornato. Significa non solo che gli stipendi sono fermi da quasi dieci anni, ma anche che il contratto non è mai stato adeguato a un settore che nel frattempo è cambiato profondamente, e che spesso protegge vecchi interessi dimenticando una consistente parte di colleghi e colleghe che fanno questo mestiere per pochi euro al mese e senza tutele.

Tutta la redazione del Post ha deciso di aderire per solidarietà alla categoria e non contro l’azienda e la direzione, che si sono dimostrate solidali e comprensive. È per questo che oggi il sito del Post non è aggiornato come al solito: trovate solo una copertura molto essenziale delle notizie; i podcast e le newsletter giornaliere non usciranno e quelli settimanali sono stati preparati in precedenza e pubblicati prima dell’inizio formale dello sciopero. Noi giornalisti e giornaliste del Post siamo consapevoli del disagio e della straordinarietà di una giornata senza notizie sul sito, disagio e straordinarietà che meritano spiegazioni più approfondite e in certi casi diverse rispetto a quelle di un sindacato che da tempo fatica a rappresentare le istanze dell’intera categoria.

Lo sciopero è stato proclamato dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), cioè il sindacato unitario dei giornalisti, dopo l’interruzione della trattativa con gli editori, rappresentati dalla Federazione Italiana Editori Giornali (la FIEG, a cui il Post – per contesto – non aderisce). Ne fanno parte le aziende giornalistiche italiane più grandi e influenti, con maggior potere. E mentre gli scioperi interni ai singoli giornali sono più frequenti, che si fermi l’intera categoria è molto più eccezionale, e non succedeva da almeno dieci anni. Ciò che viene deciso nelle trattative tra FIEG e FNSI alla fine riguarda tutti i giornali e i giornalisti, aderenti o meno a quelle organizzazioni.

La trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei giornalisti – che come ogni contratto collettivo indica le condizioni di base dei rapporti di lavoro, dagli stipendi, agli orari, alle tutele – si è interrotta a causa della grande distanza tra le proposte e le disponibilità del sindacato e quelle dei datori di lavoro.

Semplificando moltissimo: nelle trattative dell’ultimo anno e mezzo i sindacati hanno chiesto aumenti di stipendio per compensare il rincaro del costo della vita degli ultimi anni, negati dagli editori, che gestiscono aziende spesso molto costose in un settore in cui si fanno sempre meno soldi. Nello specifico, a fronte della richiesta di un recupero completo dell’inflazione di questi anni (cioè un aumento di quasi il 20 per cento del costo della vita, rispetto a prima della pandemia) la risposta degli editori è stata un’offerta molto inferiore dal punto di vista economico, oltre a condizioni peggiorative che ridurrebbero in particolare tutele e garanzie per le nuove persone assunte.

Di fatto sarebbero soldi dati da una parte e ripresi da un’altra, soprattutto a discapito della nuova generazione di giornalisti e giornaliste. Il sindacato ha quindi proclamato lo sciopero.

La redazione del Post ne condivide le ragioni principali, e per questo aderisce; allo stesso tempo ritiene necessarie alcune ulteriori valutazioni.

Innanzitutto sul metodo, dato che per uno sciopero così eccezionale è stato scelto lo stesso giorno di una serie di scioperi generali contro il governo. Questo rischia di impoverire e confondere il significato delle specifiche richieste della categoria.

Ma soprattutto la redazione è consapevole che dell’inconcludenza della trattativa degli ultimi dieci anni non sono responsabili solo gli editori, pur reticenti a concedere condizioni migliori e anzi prepotenti nel minacciare peggioramenti delle tutele. Ha contribuito anche una certa inadeguatezza del sindacato, che ha fatto passare molti anni prima di fare davvero sul serio sulle trattative per il rinnovo, talvolta per il timore di perdere vari privilegi, alcuni anacronistici, di cui la categoria dei giornalisti gode da decenni.

Con la crisi del settore le conseguenze di tutto questo sono state pagate soprattutto dalle persone più giovani e da molte colleghe e colleghi che lavorano fuori dalle redazioni, ma che con le redazioni collaborano in modo stabile, e che tuttavia spesso devono fare più mestieri per raggiungere un reddito sufficiente a mantenersi.

Aggiornare e modernizzare il contratto significherebbe non solo aggiungere più tutele per loro (e per nuove figure che sono emerse, come i social media manager e i fact-checker), ma anche adeguarlo a un settore che nell’ultimo decennio è cambiato radicalmente.

Al Post le cose vanno diversamente. Ma oltre a essere giornalisti e giornaliste del Post, siamo giornalisti e giornaliste e basta, convinti che chi lavora altrove debba avere condizioni migliori.

La redazione del Post