Uno dei problemi più sottovalutati dal governo riguarda le persone malate di Alzheimer
Le sentenze che hanno scaricato tutti i costi di assistenza sullo Stato rischiano di mandare all’aria il bilancio pubblico

Nelle ultime settimane molte residenze sanitarie per anziani hanno dovuto fare i conti con nuove richieste di rimborso presentate dai familiari di pazienti affetti da Alzheimer. Le famiglie smettono di pagare le rette e chiedono rimborsi di quelle pagate finora perché alcune sentenze hanno scaricato sul servizio sanitario nazionale tutte le spese relative all’assistenza. In attesa di un chiarimento normativo chiesto al governo dalle associazioni di categoria, sono le stesse residenze sanitarie a farsi carico dei mancati incassi.
È un problema molto sottovalutato, che rischia di mandare all’aria il bilancio del servizio sanitario nazionale e quindi dell’intero Stato.
Le rette delle residenze per anziani, chiamate anche RSA, sono composte da due voci: quella sanitaria e quella sociale o alberghiera, cioè la quota pagata per la camera, i pasti, la lavanderia. Da sempre il servizio sanitario nazionale copre le spese sanitarie nei casi in cui ritiene idoneo un progetto residenziale, mentre la quota sociale è a carico dei famigliari. Solo se una famiglia dimostra di non avere abbastanza soldi può ricevere un aiuto economico dai comuni attraverso i servizi sociali.
La prima sentenza che ha messo in discussione questo sistema è arrivata nel 2023 dalla Corte di Cassazione. I giudici hanno stabilito che nei casi di Alzheimer o altre malattie legate alla demenza i costi sanitari e quelli sociali sono «inscindibili», cioè inseparabili, e per questo devono essere sostenuti interamente dallo Stato. La sentenza non ha cambiato automaticamente la legge, ma da allora molte famiglie si sono rivolte ai tribunali per non pagare le rette, e la maggior parte dei giudici ha dato loro ragione facendo riferimento alla prima sentenza della Cassazione.
Il costo medio giornaliero a carico delle famiglie è di circa 70 euro. Considerando che in Italia le persone ospitate nelle residenze sanitarie sono circa 300mila, applicando il principio sostenuto dalla Cassazione lo Stato dovrebbe sostenere una spesa di circa 21 milioni di euro al giorno, quasi 7,7 miliardi di euro all’anno, pari a circa il 15 per cento dell’intero fondo sanitario nazionale.
Dalla fine di giugno nella sola Lombardia circa 300 persone hanno chiesto di sospendere il pagamento delle rette. «Ma il numero sta crescendo ogni giorno in tutte le regioni italiane», dice Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, l’unione nazionale di istituzioni e iniziative di assistenza sociale. «In molti casi basta un solo ospite che smette di pagare la retta per mandare in crisi il bilancio di una residenza sanitaria, e spesso sono gestite da enti senza scopo di lucro».
Il governo ha previsto nella legge di bilancio 100 milioni di euro per l’assistenza delle persone malate di Alzheimer: è un modo per sostenere almeno temporaneamente le residenze sanitarie, che tuttavia non risolve i problemi destinati ad aumentare col passare del tempo. Le associazioni hanno sollecitato il governo a intervenire con un provvedimento chiamato di “interpretazione autentica”, ovvero una nuova legge per chiarire in modo inequivocabile il significato nella norma precedente (naturalmente l’interpretazione scelta sarebbe quella favorevole al governo).
Negli ultimi mesi sono stati segnalati diversi casi di residenze sanitarie che non accettano più nuovi pazienti nel timore di doversi sobbarcare interamente i costi. È un grave danno per le famiglie, visto che già prima non era facile trovare un posto. Alcune residenze sanitarie hanno presentato ricorso, ma per via dei tempi della giustizia civile potrebbero essere discussi tra molto tempo.
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