È vivo, è in Venezuela, è detenuto ingiustamente
Sono le poche certezze che abbiamo su Alberto Trentini, che è da un anno in un carcere di Caracas senza accuse: le speranze nei negoziati sono ancora fragili

Il 15 novembre è un anno che Alberto Trentini, cooperante italiano incarcerato a novembre del 2024, è detenuto in Venezuela senza che siano state comunicate accuse formali contro di lui. Trentini si trova nel carcere El Rodeo I, nella capitale Caracas, noto per le frequenti violazioni dei diritti umani. Di lui si sa poco altro, se non che è vivo e che c’è una trattativa in corso tra l’Italia e il Venezuela per liberarlo.
Sulle negoziazioni c’è molto riserbo, sia perché chi le conduce teme che la diffusione di notizie possa ostacolarle, sia perché ci sono state varie fasi di stallo. Negli ultimi mesi tuttavia alcuni episodi hanno fatto pensare a segnali di apertura da parte del regime venezuelano del presidente Nicolás Maduro, che governa il paese in modo autoritario dal 2013.
Sabato durante una conferenza stampa al comune di Milano l’avvocata della famiglia Trentini Alessandra Ballerini ha confermato che nelle scorse settimane c’era stato ottimismo sulla liberazione di Trentini, perché «si erano palesati dei negoziatori che però probabilmente hanno millantato un potere che non avevano». Questo, ha spiegato Ballerini, ha fatto svanire le possibilità di liberare Trentini che sembrava fossero emerse. Ballerini non ha voluto specificare se questi negoziatori siano italiani o venezuelani, ha detto: «Un mix».

L’avvocata Alessandra Ballerini e la madre di Alberto Trentini, Armanda Colusso, reggono insieme uno striscione il cooperante italiano incarcerato da un anno in Venezuela nel cortile di palazzo Marino, la sede del comune di Milano, 15 novembre 2025 (il Post)
Si sa che Maduro usa la prigionia di cittadini stranieri, pretestuosamente accusati di far parte di un complotto per rovesciare il suo regime, per ottenere qualche forma di riconoscimento e legittimità politica da parte di altri paesi (la cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”). L’Italia, come gran parte della comunità internazionale, non ha riconosciuto la sua vittoria alle ultime elezioni, dunque il riconoscimento politico o comunque l’avvio di un dialogo istituzionale hanno un peso nelle trattative.
Ci sono varie indicazioni del fatto che il Venezuela abbia anche altre richieste per il governo italiano, ma le persone coinvolte nelle trattative usano molta cautela nel condividerle e preferiscono non renderle pubbliche. Ballerini si è limitata a confermare che le trattative «non sono su un solo piano», e che non è possibile parlarne per non comprometterle. Nel caso di Trentini comunque non c’è un’altra evidente contropartita al centro della trattativa, come invece era successo per Cecilia Sala, la giornalista italiana imprigionata per 21 giorni nel carcere iraniano di Evin in Iran (in quel caso la contropartita evidente era l’ingegnere iraniano Mohammed Abedini).

Alberto Trentini (ANSA)
Trentini ha 46 anni ed è di Venezia. A ottobre del 2024 era in Venezuela per la ong internazionale Humanity & Inclusion, che aiuta le persone con disabilità. Quando è stato arrestato, stava andando per lavoro da Caracas a Guasdualito, al confine con la Colombia. La madre di Trentini, Armanda Colusso, aveva ricevuto messaggi da lui mentre era ancora all’aeroporto di Caracas il 15 novembre, poi non l’aveva più sentito. La sera del 16 novembre la famiglia aveva saputo che era stato fermato.
Da allora le notizie su di lui sono sempre state piuttosto frammentarie: i genitori gli hanno potuto parlare al telefono soltanto sei mesi dopo che era stato incarcerato, diverse settimane dopo aver ottenuto una prova che loro figlio era ancora vivo. In tutto Trentini e i suoi genitori si sono parlati al telefono tre volte. A settembre il cooperante italiano ha potuto incontrare per la prima e unica volta l’ambasciatore italiano a Caracas, Giovanni Umberto De Vito, che ha definito le condizioni di Trentini tutto sommato «buone».
La sua avvocata Alessandra Ballerini ha parlato più volte del suo caso come di una «sparizione forzata», così com’è avvenuto per decine di altri cittadini stranieri detenuti in Venezuela. Secondo Foro Penal, una delle principali associazioni per i diritti umani del paese, nelle carceri venezuelane ci sono almeno 853 prigionieri politici di cui 81 stranieri. Per Human Rights Watch, una delle più importanti ong internazionali che si occupano di diritti umani, tra di loro ci sono cittadini spagnoli, francesi, colombiani e cechi.
Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha confermato che tra i detenuti ci sono anche persone italo-venezuelane, ciascuna con situazioni diverse e difficili da paragonare. Trentini è l’unico che ha solo la cittadinanza italiana: è il motivo fondamentale per cui il governo ha arrestato lui e decine di cittadini stranieri senza formalizzare accuse a loro carico, per usarli come merce di scambio coi rispettivi governi.
Negli ultimi mesi però sono stati liberati alcuni detenuti stranieri nelle carceri venezuelane. Dopo che a maggio era stato liberato Alfredo Schiavo, in carcere dal 2020, a luglio erano stati liberati anche dieci prigionieri statunitensi in cambio di 250 persone venezuelane espulse nei mesi precedenti dagli Stati Uniti e mandate a El Salvador. Dall’inizio di settembre però gli Stati Uniti hanno intensificato la loro campagna di pressione contro Maduro con l’obiettivo di rovesciarlo, bombardando decine di barche al largo del Venezuela (in teoria per fermare i narcotrafficanti). Non è chiaro quanto e come le forti tensioni attuali tra i due paesi possano influenzare negativamente le trattative di liberazione dei detenuti stranieri, compreso Trentini. Di certo non le facilitano.
– Leggi anche: Come e perché gli Stati Uniti stanno provando a rovesciare Maduro
Tra le persone liberate quest’estate c’era anche un cittadino svizzero che ad Avvenire aveva raccontato di avere conosciuto Alberto Trentini. I due si erano incontrati prima nella sede della direzione di controspionaggio militare (DGCIM) e poi a El Rodeo I. «Mi è parso simpatico sin dal primo momento: è un grande fumatore. Essendo figlio unico il suo pensiero era rivolto ai genitori, che hanno una certa età», aveva detto.
L’uomo, che ha chiesto di restare anonimo, ha raccontato che dentro a El Rodeo I le condizioni sono «orribili» e che a lui erano concessi 45 minuti d’aria per tre volte alla settimana. Ha raccontato che gli agenti lo legavano a una sedia con la testa incappucciata per obbligarlo a confessare un presunto complotto per rovesciare Maduro: «Mi hanno costretto a firmare un documento in cui ammettevo reati inesistenti. Altrimenti non sarei uscito». Ha aggiunto che l’oggetto della trattativa per la sua liberazione è rimasto riservato, e di aver saputo solo che era costata cara al governo svizzero.

Da sinistra don Luigi Ciotti, l’avvocata Alessandra Ballerini, Armanda Colusso (madre di Alberto Trentini), Paola Deffendi e Claudio Regeni (i genitori di Giulio Regeni) con uno striscione per la liberazione di Alberto Trentini davanti al tribunale di Roma, dove è in corso il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, 15 luglio 2025 (ANSA/FABIO FRUSTACI)
Un altro elemento interpretato come positivo è stata la nomina da parte del ministero degli Esteri di un inviato speciale per i detenuti italiani in Venezuela, Luigi Vignali. Vignali è un diplomatico esperto e la sua nomina era stata ritenuta da chi segue la questione uno sviluppo importante, perché serviva ad aprire un canale di dialogo più diretto tra il governo italiano e quello venezuelano. In più, la nomina era arrivata dopo mesi in cui il governo non aveva fatto praticamente sapere più niente su Trentini, salvo ripetere in qualche rara occasione che le trattative stavano proseguendo, per quanto complicate. Ad agosto Vignali aveva tentato una missione in Venezuela, ma non aveva avuto successo: era stato respinto senza che gli fosse consentito di incontrare funzionari del governo venezuelano.
A inizio settembre poi il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha parlato esplicitamente del caso di Alberto Trentini durante un’intervista con l’emittente CNN. Era la prima volta che un esponente del regime venezuelano lo nominava. Tra le altre cose Gil ha sostenuto che Trentini sia sotto processo, ma non aveva detto di cosa era accusato, e finora all’ambasciata italiana non risulta un processo a suo carico. Due settimane dopo l’ambasciatore italiano De Vito ha però potuto fare finalmente visita sia a Trentini che a Mario Burlò, imprenditore italiano che è sotto processo a Torino per reati fiscali ed è in carcere in Venezuela (e questo era un altro segnale positivo).
Infine il 19 ottobre papa Leone XIV ha proclamato santi, tra gli altri, due venezuelani, José Gregorio Hernández Cisneros e María Carmen Rendiles Martínez. Alla cerimonia di proclamazione erano presenti alcune persone che stanno lavorando al caso di Trentini (De Vito, Vignali e il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli) e una delegazione diplomatica venezuelana di cui faceva parte la ministra delle Donne e delle Pari opportunità Yelitza Santaella. Non si sa se si siano parlati, ma è da tempo che chi segue le trattative per liberare Trentini punta a coinvolgere anche il Vaticano come mediatore.



