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  • Lunedì 20 ottobre 2025

Cosa fanno i calciatori in Cisgiordania

Da più di due anni il campionato palestinese è sospeso, mancano gli sponsor e quindi si allenano da soli

di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

Mahdi Assi e Iyad Falana
(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Mahdi Assi e Iyad Falana (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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Come i territori palestinesi, anche i campionati di calcio palestinesi sono due e separati: uno a dodici squadre nella Striscia di Gaza e uno a dodici squadre in Cisgiordania. I migliori giocatori di entrambi i tornei contribuiscono alla nazionale palestinese, che invece è una.

Dal 7 ottobre del 2023, il giorno delle stragi di israeliani compiute da Hamas, i due campionati palestinesi si sono fermati. Nella Striscia ha cessato di esistere. In Cisgiordania invece è sospeso. Lì la violenza non è al livello apocalittico di Gaza, ma la vita è complicata. Gli spostamenti regolari delle squadre da una parte all’altra non sono sempre possibili, la sicurezza delle partite non è garantita e gli sponsor non sono entusiasti di mettere soldi mentre la situazione attorno è così incerta.

Il calcio in Cisgiordania tira avanti in forme minori, gli allenamenti di squadra continuano e ci sono partitelle e tornei locali. Questo per chi è di livello basso. Chi è di livello alto si allena da solo. I calciatori professionisti che sono rimasti perché non hanno trovato posto in squadre all’estero, in Egitto o in Qatar, non giocano perché rischiano di farsi male e sarebbe una violazione delle clausole nei loro contratti – per chi li ha ancora dopo due anni di inattività.

Un bambino con una maglia con disegnato un fucile d’assalto M16 a un torneo di calcetto a Saffa, vicino a Ramallah (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Il 10 giugno la nazionale palestinese ha sperato di qualificarsi per la prima volta ai Mondiali, che si giocheranno nel 2026. Stava vincendo uno a zero una partita decisiva contro l’Oman e se avesse vinto sarebbe passata al turno successivo delle qualificazioni. Non era mai arrivata così avanti. Come tutte le partite della nazionale, anche quella si giocava fuori dai Territori palestinesi occupati e quella sera era allo stadio di Amman, capitale della Giordania.

Al 90esimo minuto l’arbitro iraniano ha concesso un recupero generoso, perché la partita era stata ferma per l’infortunio di un giocatore. Al 97esimo minuto un calciatore palestinese ha trattenuto un avversario per la maglia. L’arbitro ha dato rigore, l’Oman ha pareggiato e la partita è finita. I palestinesi sono rimasti con le mani nei capelli davanti al giubilo degli omaniti. Le qualificazioni si sono interrotte così.

– Leggi anche: In Cisgiordania i coloni stanno cercando di prendersi tutto

Iyad Falana, 48 anni, fisico da pugile mediomassimi, è il preparatore atletico dei portieri palestinesi che hanno partecipato alle qualificazioni. Squadra italiana preferita: «il Napoli di Maradona». Giocatore preferito: «Roberto Baggio». Mentre risponde alle domande sta facendo una sessione di preparazione con Mahdi Assi nella metà campo all’ombra dello stadio di Saffa, quindici chilometri a ovest di Ramallah. Assi ha 21 anni ed è un portiere della nazionale che in questo periodo non ha una squadra.

Iyad Falana (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Entrambi, il preparatore Falana e il portiere Assi, dicono che queste sessioni extra di allenamento personalizzato sono l’unica via. Non soltanto adesso che il campionato è fermo e tocca mantenersi allenati, ma anche in tempi normali – diciamo normali – perché gli allenamenti standard delle squadre palestinesi non bastano per raggiungere un livello di bravura internazionale. Ci vogliono sedute specifiche.

Falana dice che per gli atleti la sospensione del campionato «è devastante. Il calcio è allenamento continuo: se i giocatori non giocano, perdono forma fisica, sensibilità, ritmo. Ma non è solo questo. Le partite sono anche una vetrina: senza le partite, i giocatori non vengono notati e perdono la possibilità di giocare all’estero. E il calcio, per molti di loro, è l’unica fonte di reddito».

Iyad Falana e Mahdi Assi (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

«Ci sono giocatori palestinesi di alto livello», dice Falana. Cita l’attaccante della nazionale palestinese Wessam Abou Ali, che ha giocato nell’Al Ahly del Cairo, la squadra più forte in Africa, e oggi gioca nella MLS negli Stati Uniti, dove «ha già segnato tre gol in tre partite». Oppure Oday Dabbagh, sempre della nazionale palestinese, punta centrale che ha giocato nell’Arouca in Portogallo e nello Charleroi in Belgio. «Il talento palestinese è grande, ma molti giocatori si perdono perché la nostra nazionale non può giocare o allenarsi regolarmente».

Falana sostiene che Israele dovrebbe essere escluso dai tornei di calcio internazionali e le sue squadre non dovrebbero poter partecipare alle competizioni europee. Ricorda che la Russia è stata esclusa e in passato anche le squadre di Jugoslavia e Iraq. Aggiunge: «Il sistema israeliano è unico e totalizzante. Alcuni dirigenti e giocatori dell’Associazione israeliana di calcio sono anche soldati o ufficiali dell’esercito. Sono le stesse persone che combattono e uccidono i nostri giovani a Gaza e in Cisgiordania. È lo stesso apparato, sportivo e politico».

Ragazzi palestinesi guardano un torneo di calcetto vicino allo stadio di Saffa (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Lo stadio di Saffa è ordinato, pulito, l’erba sintetica è in condizioni perfette, i ragazzini che arrivano per allenarsi indossano divise precise fino all’ultimo dettaglio. Dietro la rete del campo si vedono le colline della Cisgiordania, il profilo di una moschea e l’arrivo continuo degli aerei in atterraggio all’aeroporto internazionale di Tel Aviv, al di là del muro di separazione con Israele. A trecento metri c’è un altro campo da gioco ben tenuto, dove è in corso un torneo di calcetto.

Viene da pensare questo: ogni comunità umana tende verso una vita normale, quando gode di un minimo di condizioni stabili. E quindi tende anche verso l’organizzazione di partite di calcio e tornei sportivi.

Un torneo di calcetto (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Il pubblico a un torneo di calcetto (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Mahdi Assi è il secondo portiere della nazionale ed è allenato da Falana. Squadra italiana preferita: «AC Milan». Giocatore preferito: «Donnarumma». Arriva alla sessione di allenamento in Suv e continua a tenersi in forma, ma vive in uno stato sospeso.

Assi spiega di avere ricevuto offerte per giocare in Giordania, Libia, Egitto e Qatar, ma che il trasferimento all’estero è difficile per un palestinese. In sintesi: il fatto che Israele controlli i confini della Cisgiordania e decida chi entra e chi esce complica la vita dei palestinesi e i calciatori non fanno eccezione. C’è bisogno di uno speciale documento di autorizzazione per andare a giocare fuori, ma ci possono volere mesi per ottenerlo e il ritmo del calciomercato è molto più rapido.

C’è di più. Assi racconta che le difficoltà burocratiche vengono anche dal lato degli stati arabi dove in teoria potrebbe andare a giocare. Le burocrazie arabe del Golfo, in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, sono le più recalcitranti. Un portiere che aspetta tre mesi per sapere se può trasferirsi all’estero perde tutte le occasioni, perché i suoi diretti rivali possono spostarsi subito e lui no.

Mahdi Assi (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Quando l’allenatore della nazionale palestinese convoca i giocatori deve tenere presente che alcuni dei convocati non riusciranno ad arrivare, perché non otterranno in tempo l’autorizzazione, spiega Assi. Il ritiro di due giorni prima di una partita non è mai in Cisgiordania ma altrove, spesso in Giordania. Da lì la squadra, formata dai giocatori palestinesi che sono riusciti a presentarsi, si muove per andare a giocare.

– Leggi anche: I cinque modi di Israele per fare male all’economia della Cisgiordania

Vale per tutte le cose e vale anche per il calcio: i problemi dei palestinesi in Cisgiordania sembrano poca cosa rispetto ai problemi dei palestinesi nella Striscia di Gaza. I bombardamenti israeliani hanno distrutto la maggioranza degli impianti sportivi di Gaza e hanno ucciso giocatori talentuosi. Tra loro il più celebre e amato era Suleiman al Obeid, che il New York Times e il Guardian, tra gli altri, definirono «il Pelè palestinese».

Alcuni grandi stadi rimasti in piedi seppur danneggiati, come quello municipale di Khan Yunis, sono diventati tendopoli che ospitano sfollati. Lo stadio di Rafah, nel sud della Striscia, è stato trasformato in un ospedale da campo. Lo stadio Yarmouk di Gaza City è stato colpito dai bombardamenti subito all’inizio della guerra, è diventato un rifugio per sfollati, poi un centro per interrogatori dell’esercito israeliano e infine anch’esso, senza più un intero lato, una tendopoli. Una bomba ha distrutto la casa del custode, Adel al Fasih, e ha ucciso sua moglie e i suoi cinque figli.