L’accordo su Gaza è una grande vittoria per Trump, se reggerà
Il presidente statunitense è riuscito a mettere alle strette il più grande ostacolo alla pace: Benjamin Netanyahu

Il piano di pace nella Striscia di Gaza potrebbe diventare il più grande successo diplomatico della presidenza di Donald Trump. Ci sono ancora molte incertezze, e non sappiamo davvero se e per quanto l’accordo raggiunto nella notte tra mercoledì e giovedì reggerà. Ma se dovesse davvero portare a una fine permanente della guerra nella Striscia di Gaza sarebbe una vittoria importante, e il miglior argomento a favore dell’idea – proposta e gonfiata da Trump stesso – che il presidente degli Stati Uniti sia un grande negoziatore di accordi di pace.
Molte cose possono ancora andare storte. Trump aveva già negoziato un cessate il fuoco a gennaio, che avrebbe dovuto portare a una pace duratura. L’accordo però fallì a marzo a causa delle violazioni ripetute di Israele. Inoltre al momento è stata concordata soltanto la prima fase del piano, quella che prevede la fine dei combattimenti, lo scambio di ostaggi e prigionieri e un ritiro parziale dell’esercito israeliano dalla Striscia. Le prossime fasi, che riguarderanno il futuro politico della Striscia di Gaza e la smilitarizzazione di Hamas, sono più complicate e potrebbero fallire più facilmente.
Già il fatto di aver costretto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad accettare il suo piano di pace, comunque, è un successo per Trump.
Netanyahu è sempre stato noto per la sua abilità di manipolare e, se necessario, ingannare i presidenti americani con cui ha avuto a che fare nella sua lunga carriera. Lo fece con Bill Clinton e con Barack Obama, che a un certo punto era arrivato a detestare il primo ministro israeliano. Lo ha fatto a lungo con Joe Biden, che per mesi tentò di convincere Netanyahu a fermare la guerra, senza successo: secondo il giornalista Bob Woodward, in privato Biden diceva che Netanyahu «è un cazzo di bugiardo» e «una cazzo di persona spregevole».
Con Trump, Netanyahu sperava di aver trovato «il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca», cioè un presidente che gli avrebbe consentito di perseguire i propri interessi a Gaza e nel Medio Oriente senza impedimenti. Ma come ha detto al Financial Times Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, «la regola generale è che gli interessi di Trump vengono per primi».
Trump ha iniziato a vedere nella guerra a Gaza un problema, e nei continui tentativi di Netanyahu di prolungarla una mancanza di rispetto personale. Ha anche cominciato a pensare, legittimamente, che negoziare un accordo di pace che era stato impossibile per il suo predecessore Biden sarebbe stata una grande vittoria diplomatica.

Un manifesto elettorale del Likud, il partito di Netanyahu, a Tel Aviv nel 2019 (AP Photo/Oded Balilty)
Secondo varie ricostruzioni, l’occasione per Trump è arrivata quando Israele ha bombardato il mese scorso un edificio in Qatar dove si trovavano alcuni membri di Hamas. Quel bombardamento è stato considerato un grave errore militare e politico, perché il Qatar è un paese neutrale e fa parte del team dei negoziatori per un accordo su Gaza. La casa reale del Qatar è inoltre molto vicina a Trump, sia a livello personale sia di affari. Il bombardamento ha fatto infuriare i paesi arabi, e Trump stesso ha fatto capire che Israele era andato troppo oltre, e che rischiava di perdere l’appoggio americano.
Trump ha prima costretto Netanyahu a chiedere scusa al Qatar, pubblicando peraltro una foto umiliante in cui si vede il primo ministro israeliano al telefono mentre Trump gli tiene l’apparecchio. Poi ha approfittato del momento di debolezza del primo ministro israeliano per forzarlo ad accettare il suo piano di pace. I due l’hanno annunciato durante una conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca il 29 settembre.
La scommessa di Netanyahu, a quel punto, era che Hamas avrebbe rifiutato il piano, le cui condizioni rimanevano comunque molto favorevoli per Israele. In questo modo Israele avrebbe potuto scaricare le colpe del fallimento del negoziato su Hamas e continuare la guerra. Ma Hamas, indebolito e consapevole di avere un’occasione, ha accettato il piano di Trump, chiedendo di negoziarne soltanto alcune parti.
Secondo Axios, quando Netanyahu ha provato a lamentarsi, Trump gli ha detto: «Non capisco perché cazzo sei sempre così negativo. È una vittoria, prendila».

Una persona vestita da Donald Trump a Tel Aviv, Israele, 9 ottobre 2025 (AP Photo/Emilio Morenatti)
Trump potrebbe andare in Medio Oriente già nel fine settimana, hanno scritto i media statunitensi, per celebrare il raggiungimento dell’accordo e accogliere personalmente gli ostaggi israeliani liberati da Hamas. Sarebbe anche un modo per esaltare pubblicamente la sua grande vittoria diplomatica.
La firma dell’accordo mercoledì notte è avvenuta peraltro a poco più di un giorno dall’annuncio del premio Nobel per la Pace, che sarà reso pubblico venerdì.
È noto quanto Trump aspiri a ottenere il riconoscimento. È probabile che la decisione del comitato per il Nobel sia già stata presa, e che gli eventi di queste ultime ore non la cambieranno. Ma il New York Times, un giornale non certo favorevole a Trump, ha scritto che «se l’accordo di pace va avanti, Trump potrebbe avere degli argomenti per il Nobel non meno validi di quelli dei quattro presidenti americani che l’hanno ricevuto nel passato».



