L’inizio dei negoziati tra Israele e Hamas in Egitto
Si concentreranno sulle condizioni del rilascio degli ostaggi e del ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia, a partire dalla proposta di Trump

Lunedì pomeriggio sono cominciati i nuovi negoziati indiretti tra Israele e Hamas per la fine della guerra nella Striscia di Gaza. I negoziati si stanno tenendo a Sharm el Sheikh, in Egitto, sulla base del piano proposto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sostenuto da Israele e accettato in parte anche da Hamas. Restano diverse condizioni da chiarire: anzitutto quelle per il rilascio degli ostaggi, nonostante la fretta mostrata da Trump di arrivare a un accordo.
In questa prima fase, che non si sa ancora quanto durerà, i negoziati sono indiretti nel senso che Hamas e Israele non si parlano direttamente, ma riferiscono le loro richieste ai paesi che stanno mediando le trattative: Stati Uniti, Egitto e Qatar (è stata la formula prevalente anche dei negoziati tra Russia e Ucraina, che però ne hanno fatti anche di diretti inconcludenti).
Il capo della delegazione israeliana è il ministro agli Affari strategici, Ron Dermer, uno stretto alleato del primo ministro Benjamin Netanyahu. Non è detto che Dermer partecipi da subito e direttamente ai negoziati: probabilmente dipenderà da come andranno. La delegazione di Hamas invece è guidata da Khalil al Hayya, uno dei leader che Israele aveva cercato di uccidere a inizio settembre con un attacco aereo su Doha, in Qatar. È arrivata a Sharm el Sheikh attorno alle 18 locali (le 17 italiane).
Per gli Stati Uniti partecipano l’inviato speciale Steve Witkoff, che si sta occupando dei negoziati in Ucraina e in Medio Oriente, e il genero di Trump Jared Kushner, che ha partecipato all’ideazione del piano. Per il Qatar c’è Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al Thani, che è sia primo ministro sia ministro degli Esteri.

Sharm el Sheikh, in Egitto, il 6 ottobre (AP Photo/Ahmed Hassan)
In questa fase i mediatori non sono intervenuti soltanto tra Israele e Hamas, ma anche tra di loro. Per esempio tra giovedì e venerdì scorsi erano stati i governi di Qatar ed Egitto a trasmettere agli Stati Uniti la richiesta di Hamas di ottenere chiarimenti sul piano, che era stato modificato senza il loro coinvolgimento su richiesta di Netanyahu, mentre Trump dava al gruppo ultimatum sempre più minacciosi.
A sua volta Trump ha fatto pressione sia sui negoziatori, chiedendo loro di «muoversi velocemente» (sul suo social Truth lo ha scritto in tutto stampatello), sia su Netanyahu, con una telefonata. Domenica ha detto ai giornalisti di aspettarsi che le trattative durino «un paio di giorni».

Donald Trump, il 5 ottobre, alla Joint Base Andrews, nel Maryland (AP Photo/Luis M. Alvarez)
Non è affatto scontato, però, che ci voglia così poco perché i due principali aspetti ancora da chiarire sono molto rilevanti. Uno è il rilascio dei 20 ostaggi ancora vivi e la restituzione di corpi di una trentina di altri; l’altro è il ritiro delle truppe israeliane.
Il piano prevede che gli ostaggi vengano liberati entro 72 ore dall’approvazione dell’accordo. Ci sono dubbi sulla realizzabilità di questi tempi, che ha espresso anzitutto Hamas. Tra l’altro non è ancora stata concordata la lista dei quasi 2mila prigionieri palestinesi che verrebbero rilasciati in cambio. La Croce Rossa intanto si è offerta di collaborare alle operazioni di liberazione degli ostaggi, come per gli scambi durante il cessate il fuoco durato da metà gennaio a marzo, quando Israele lo aveva violato.

Un bambino nel campo profughi di Deir al Balah, nella Striscia di Gaza, il 6 ottobre (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Il secondo punto è il ritiro graduale dell’esercito israeliano, su cui il piano non indica tempi né termini precisi. Hamas chiede che sia completo e che i tempi vengano definiti prima di liberare gli ostaggi. Una mappa della Striscia di Gaza pubblicata la scorsa settimana dall’amministrazione Trump mostra invece più di metà della Striscia occupata durante la prima fase del piano, più del 40 per cento durante la seconda, e quindi una “zona cuscinetto” più ampia di quella attuale a ridosso dei confini.
In passato inoltre Hamas ha sempre rifiutato sia il disarmo sia un’esclusione dal futuro governo di Gaza: entrambe condizioni della proposta di Trump. È possibile però che vengano discusse in una seconda fase, successiva alla liberazione degli ostaggi.
L’obiettivo di Netanyahu, secondo fonti dei media internazionali, sarebbe infatti spacchettare l’accordo – cioè trovarne uno subito per il rilascio degli ostaggi, e discutere il resto dopo – mentre quello di Hamas sarebbe farne uno complessivo, che includa garanzie per il futuro. Durante il fine settimana, il primo ministro israeliano ha detto di sperare che la liberazione degli ostaggi avvenga «nei prossimi giorni». Ha anche sostenuto, però, che Hamas sarà disarmato «diplomaticamente, secondo il piano, o militarmente da noi».
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