La proposta per la fine della guerra a Gaza non piace all’ultradestra israeliana
Il sostegno dei ministri estremisti Smotrich e Ben-Gvir è molto importante per Netanyahu, che però ora rischia di doverne fare a meno

Il sostegno dato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al piano del presidente statunitense Donald Trump per la fine della guerra nella Striscia di Gaza non è condiviso dai membri più estremisti del suo governo. Il piano è molto favorevole a Israele, ma nonostante questo il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, estremista nazionalista e religioso, lo ha definito «un fallimento diplomatico e una tragedia a livello di leadership». Ci si aspetta che lo respinga anche il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir.
Smotrich e Ben-Gvir sono gli alleati principali di Netanyahu al governo. In questi due anni di guerra si sono opposti a ogni ipotesi di pace, sono usciti dal governo dopo il primo cessate il fuoco a gennaio e tornati a marzo, quando sono ripresi i bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Per Netanyahu il loro appoggio politico è molto importante, ma il sostegno al piano di pace di Trump – che non è ancora stato approvato da Hamas – rischia di mettere fine all’alleanza.
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Smotrich è il leader del Partito Sionista Religioso, Ben-Gvir di quello di estrema destra Potere Ebraico: insieme hanno 14 seggi sui 120 della Knesset, il parlamento ebraico. Sono sempre stati decisivi per avere la maggioranza e da qualche mese lo sono ancora di più perché a luglio gli alleati ultraortodossi di Netanyahu (i partiti Shas ed Ebraismo della Torah Unito) sono usciti dal governo, non avendo ottenuto risposte alla richiesta di prolungare l’esenzione degli ebrei ultraortodossi dal servizio militare (una questione di cui si discute da tempo e che è diventata più pressante con l’inizio della guerra a Gaza).
Il governo è quindi già ora di minoranza, anche se Shas ed Ebraismo della Torah Unito continuano a sostenerlo su questioni specifiche.
Se Smotrich e Ben-Gvir dovessero passare all’opposizione il governo sarebbe in grande difficoltà. È però improbabile che cada, anche perché se Netanyahu ha approvato l’accordo di pace su Gaza è credibile che prima si sia assicurato di avere il sostegno politico necessario per farlo. L’approvazione dell’accordo non sarà sottoposta al voto del “gabinetto di guerra” o del parlamento. I ministri dovranno invece esprimersi solo sullo scambio di prigionieri per ostaggi, per questioni legali. In questa votazione Netanyahu potrebbe contare sul sostegno di formazioni di centrodestra o centriste ora all’opposizione, che potrebbero anche diventare alleate di governo più a lungo termine.
In questo momento per Netanyahu rimanere al potere è fondamentale. Se in Israele ci fossero ora le elezioni non sarebbe scontata la sua riconferma, e senza la protezione del suo incarico politico rischia di essere condannato nei molti processi per corruzione in cui è imputato, per i quali rischia anche lunghe pene detentive.

Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich a Gerusalemme Est nel 2021 (AP Photo/Sebastian Scheiner)
Ben-Gvir non si è ancora espresso ufficialmente sul piano di pace, ma ha molto criticato la decisione di Netanyahu di scusarsi con il Qatar per l’attacco compiuto a Doha a inizio settembre, il cui obiettivo erano i funzionari di Hamas impegnati nelle trattative di pace. Smotrich ha invece scritto sui propri profili social che il piano statunitense scambierebbe «risultati concreti sul campo con illusioni politiche» e che approvarlo significherebbe «chiudere gli occhi e voltare le spalle alle lezioni del 7 ottobre», ossia all’attacco terroristico di Hamas in Israele. Ha sostenuto che la guerra a Gaza dovrebbe continuare, e sulla questione lui e Ben-Gvir l’hanno sempre pensata allo stesso modo.
L’accordo non piace per evidenti motivi: Smotrich dice che Israele dovrebbe annettere la Striscia di Gaza, sfruttarla a fini immobiliari e creare anche lì delle colonie (Smotrich stesso vive in una colonia israeliana in Cisgiordania, territorio palestinese che Israele occupa illegalmente dal 1967). L’accordo proposto da Trump e approvato da Netanyahu non prevede nulla di tutto ciò.

Donald Trump e Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca il 29 settembre 2025 (AP Photo/Evan Vucci)
Netanyahu sta comunque cercando di presentare l’accordo ai cittadini israeliani in modo un po’ diverso e più favorevole alle posizioni dell’estrema destra.
Rispondendo ad alcune domande dei giornalisti in ebraico ha puntualizzato che il testo non prevede la nascita di uno stato palestinese, e che l’esercito israeliano resterebbe nella «gran parte di Gaza». Sono affermazioni che almeno in parte contraddicono ciò che c’è nel testo dell’accordo e che è stato presentato alla stampa internazionale, dove ad esempio si parla di una “presenza perimetrale” dell’esercito. Netanyahu potrebbe voler sfruttare le molte parti ancora non chiare o poco definite dell’accordo per renderlo più accettabile ai suoi alleati dell’ultradestra. Nel piano per esempio non si parla dei tempi né dei modi del ritiro dell’esercito dalla Striscia, e il citato «percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità palestinese» è subordinato a una serie di condizioni ancora tutte da stabilire.
Se Netanyahu riuscirà a far sopravvivere il suo governo, la prospettiva è quella di governare un altro anno, prima delle elezioni previste per ottobre del 2026, a cui si presenterebbe definendosi vincitore della guerra e artefice di una pace a buone condizioni per Israele. Secondo un sondaggio pubblicato martedì dall’Israel Democracy Institute, il 66 per cento degli israeliani ritiene che sia arrivato il momento di finire la guerra.
A questo si aggiunge la possibilità concreta per Netanyahu di ottenere una grazia presidenziale per i processi per corruzione in cui è imputato. Lunedì il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto di considerare questa possibilità. Netanyahu finora è riuscito a rinviare i processi per le questioni legate alla guerra e per gli impegni imposti dal suo ruolo di primo ministro. Una grazia presidenziale eliminerebbe la necessità di restare al potere per scongiurare la possibilità di finire in carcere.
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