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  • Lunedì 22 settembre 2025

Per Netanyahu la creazione di uno stato palestinese non è un’opzione

Lui e il suo governo l'hanno ribadito più volte, minacciando l'annessione di gran parte della Cisgiordania e ritorsioni contro i paesi occidentali

Benjamin Netanyahu il 13 agosto 2025 (Ronen Zvulun/Pool Photo via AP)
Benjamin Netanyahu il 13 agosto 2025 (Ronen Zvulun/Pool Photo via AP)
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Domenica Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno riconosciuto formalmente lo stato di Palestina, unendosi a un gruppo di paesi che già lo avevano fatto e a cui molto probabilmente se ne aggiungeranno altri nei prossimi giorni, tra cui la Francia, che dovrebbe annunciarlo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Il riconoscimento è una misura per lo più simbolica e una forma di pressione politica su Israele per fermare i gravi crimini commessi nella Striscia di Gaza e accettare un cessate il fuoco.

Della proposta di creare uno stato palestinese si discute da decenni, senza risultati. Nel 1993, con gli storici accordi di Oslo, i leader palestinesi e quelli israeliani si riconobbero per la prima volta come legittimi interlocutori e concordarono sulla necessità di fondare uno stato palestinese indipendente e sovrano, che esistesse a fianco di Israele. Non è mai stato fatto, e anzi a luglio del 2024 il parlamento israeliano ha formalmente rigettato la “soluzione dei due stati”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, di estrema destra, si è sempre opposto in modo inequivocabile: l’ha ribadito anche domenica, con l’ennesimo video su X in cui ha detto che «non ci sarà uno stato palestinese».

È una posizione condivisa dai membri più estremisti del suo governo. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha detto che il riconoscimento annunciato dai paesi occidentali «richiede contromisure immediate», e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha detto che Israele dovrebbe annettere più dell’80 per cento del territorio della Cisgiordania, proprio in risposta ai vari riconoscimenti da parte dei paesi occidentali. Smotrich ha aggiunto che l’obiettivo sarebbe «eliminare, una volta per tutte, l’idea di uno stato palestinese».

Sempre con questo scopo, a fine agosto il governo israeliano aveva approvato la costruzione di una nuova colonia per dividere in due la Cisgiordania. Anche in quel caso, Smotrich aveva detto che Israele avrebbe così «seppellito l’idea di uno stato palestinese» e che «lo stato palestinese sta venendo cancellato dalla mappa». La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi, ma che da decenni Israele occupa illegalmente tramite la costruzione di colonie, dove vivono circa 500mila persone.

Il ministro israeliano Bezalel Smotrich mostra una mappa della colonia che dovrebbe dividere la Cisgiordania, il 14 agosto 2025 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Netanyahu non ha chiarito quali conseguenze ci saranno per il riconoscimento annunciato o formalizzato in questi giorni dai paesi occidentali, rimanendo volutamente vago. Ha comunque fatto capire che ci saranno conseguenze, dicendo per esempio che la comunità internazionale «ci sentirà nei prossimi giorni». Stanno circolando alcune ipotesi, come la chiusura del consolato francese a Gerusalemme, l’espulsione dei diplomatici e la confisca dei beni francesi.

Non è un caso: la Francia è uno dei paesi che stanno guidando l’iniziativa per il riconoscimento della Palestina. A luglio aveva presentato insieme all’Arabia Saudita una risoluzione con un piano in 42 punti per attuare la “soluzione dei due stati” dopo il raggiungimento di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza tra Israele e Hamas. A settembre la risoluzione è stata approvata da 142 paesi membri dell’ONU (compresa l’Italia), con 10 voti contrari e 12 astenuti. Il piano però dipende dal sostegno degli Stati Uniti e di Israele, che hanno votato contro. Se ne riparlerà oggi a un evento in programma alle Nazioni Unite.

Gli Stati Uniti sono uno storico alleato di Israele, e Trump in particolare è molto vicino a Netanyahu. Durante una visita a Gerusalemme della scorsa settimana, il segretario di Stato Marco Rubio (l’equivalente del ministro degli Esteri) aveva detto che il riconoscimento della Palestina rafforzerà Hamas e causerà ritorsioni da parte di Israele, senza dire quali.

L’amministrazione Trump tra l’altro ha negato il visto ai rappresentanti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), tra cui il presidente Mahmoud Abbas, che quindi non potranno partecipare all’Assemblea Generale dell’ONU. L’ANP è l’entità che governa in modo semiautonomo alcune zone della Cisgiordania, ed è riconosciuta da gran parte della comunità internazionale come il governo legittimo del popolo palestinese (è però un ente malfunzionante e in crisi da tempo).

Benjamin Netanyahu e Marco Rubio a Gerusalemme, il 16 settembre 2025 (Nathan Howard/Pool Photo via AP)

Altri paesi occidentali, tra cui la Spagna, la Norvegia e l’Irlanda, avevano già riconosciuto la Palestina nel 2024, più o meno con le stesse motivazioni dei paesi che lo stanno facendo ora (ossia mettere pressione su Israele e come forma di opposizione agli abusi e ai crimini compiuti nella Striscia).

Il governo spagnolo del primo ministro socialista Pedro Sánchez, in particolare, nei mesi successivi è diventato uno dei principali critici della guerra condotta da Israele a Gaza: dopo il riconoscimento della Palestina, i rapporti tra Spagna e Israele si sono sostanzialmente azzerati, e l’ambasciatrice israeliana in Spagna è stata sostituita da un diplomatico di livello più basso.