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  • Giovedì 11 settembre 2025

La violenza politica negli Stati Uniti è sempre più frequente

L’omicidio di Charlie Kirk non è un caso isolato: negli ultimi anni ci sono stati vari attentati, aggressioni e complotti, in un clima politico e sociale molto polarizzato

(AP Photo/Lindsey Wasson)
(AP Photo/Lindsey Wasson)
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L’omicidio di Charlie Kirk, assassinato mercoledì alla Utah Valley University, non è un caso isolato. Negli ultimi anni la politica statunitense è stata caratterizzata da una radicale polarizzazione, con il ricorso sempre più frequente a una retorica aggressiva e conflittuale fra avversari politici, talvolta apertamente identificati come “nemici”. Nello stesso periodo sono aumentati anche i casi di violenza politica, compresi omicidi e tentati omicidi.

I due più recenti, noti e raccontati sono stati i tentati omicidi che avevano come obiettivo Donald Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2024, ma ce ne sono molti altri. Nel 2020 fu sventato un piano per rapire la governatrice Democratica del Michigan Gretchen Whitmer e nel 2022 quello per uccidere il giudice conservatore della Corte Suprema Brett Kavanaugh. Nello stesso anno un uomo entrò nella casa dell’allora speaker della Camera, la Democratica Nancy Pelosi, e aggredì con un martello suo marito. Quest’anno ad aprile è stata incendiata la casa del governatore Democratico della Pennsylvania Josh Shapiro; a maggio sono stati uccisi due membri dell’ambasciata israeliana a Washington; a giugno Melissa Hortman, deputata statale del Minnesota, è stata uccisa con il marito Mark, mentre un altro parlamentare statale, il senatore John Hoffman, è stato ferito insieme alla moglie (l’autore degli attacchi aveva una lista di politici progressisti da eliminare).

A questi si aggiungono altri episodi di violenze e omicidi, di natura diversa ma comunque alimentati da ragioni ideologiche e politiche: dall’assalto al Congresso da parte dei sostenitori di Trump del 6 gennaio del 2021 all’omicidio di Brian Thompson, l’amministratore delegato di UnitedHealthcare, per il quale è stato arrestato Luigi Mangione (a dicembre del 2024).

Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di violenza politica, i cui esempi più noti sono gli omicidi del presidente John Fitzgerald Kennedy nel 1963 e del leader per i diritti civili degli afroamericani Martin Luther King, nel 1968. Più in generale, il paese ha un consolidato problema di violenza legata alle armi: negli Stati Uniti è molto semplice comprare e possedere una pistola, un fucile o un’arma semiautomatica, e i casi di omicidi di massa compiuti da singole persone con armi da fuoco sono di molto superiori a quelli di ogni altro paese sviluppato, anche rapportandoli al numero degli abitanti.

La frequenza dei casi di violenza politica negli ultimi anni è ritenuta allarmante dalla maggior parte dei media americani. Ci sono però interpretazioni diverse su quanto il clima politico generale, la criminalizzazione degli avversari e la retorica aggressiva stiano davvero contribuendo ad alimentare una giustificazione della violenza.

Il cortile della Utah Valley University, a Orem, Utah, dove Kirk è stato ucciso (Tess Crowley/The Deseret News via AP)

Il Wall Street Journal ha scritto in un editoriale sull’omicidio di Kirk: «Gli autori di questi attacchi hanno diversi gradi di malattia mentale e delirio, ma la società americana ha progressivamente smantellato le barriere civili e sociali che un tempo impedivano a menti così disturbate di allontanarsi in modo tanto disastroso dalle norme sociali civili». Secondo l’editoriale la maggior parte delle persone interpreta demonizzazioni degli avversari e toni allarmati come normale dialettica fra partiti, ma «destinatari disturbati di quei messaggi sono meno capaci di separare la retorica dalla realtà».

I risultati di un sondaggio dello scorso maggio riportati dal New York Times descrivono bene l’ampia contrapposizione politica che c’è nel paese: il 39 per cento dei sostenitori dei Democratici intervistati riteneva giustificabile rimuovere Trump dalla presidenza con la forza, mentre un quarto dei Repubblicani era d’accordo con l’uso dell’esercito per reprimere le proteste contro le sue politiche.

Charlie Kirk in un evento del 2021 (AP Photo/Jackson Forderer)

Il clima di contrapposizione e di violenza verbale e ideologica è parecchio alimentato anche dai media, dagli attivisti e dagli influencer politici. Nelle ore immediatamente successive all’assassinio di Kirk, Matthew Dowd, commentatore politico di MSNBC, canale progressista e antitrumpiano, ha commentato: «Non puoi continuare ad avere questi pensieri terribili e poi dire cose terribili senza aspettarti che accadano cose terribili». Parlava di Kirk all’interno di un discorso in cui voleva descrivere il clima politico attuale: la MSNBC si è scusata per le «frasi insensibili» e lo ha licenziato.

Sul canale conservatore Fox News il conduttore Jesse Watters ha invece parlato in modo animato di una possibile vendetta: «Siamo stufi, siamo tristi, siamo arrabbiati, siamo risoluti e vendicheremo la morte di Charlie nel modo in cui Charlie avrebbe voluto che fosse vendicata». Negli ambienti degli influencer di destra, di cui lo stesso Kirk era uno degli esponenti più importanti, si è parlato invece apertamente dell’inizio di «una guerra».