Daniela Santanchè, la resistente
Meloni ha auspicato le sue dimissioni mesi fa, ma la ministra del Turismo è ancora lì nonostante molti problemi giudiziari

La prima volta che sui giornali si parlò delle possibili dimissioni di Daniela Santanchè era il novembre del 2022. Il governo di Giorgia Meloni aveva appena giurato al Quirinale, la senatrice di Fratelli d’Italia aveva appena assunto il ruolo di ministra del Turismo, e già la sua permanenza in carica veniva messa in discussione per via dei guai giudiziari legati alla società da lei fondata e diretta per anni, la Visibilia Editore, per la quale la procura di Milano chiese la procedura giudiziale, certificandone il fallimento.
Quasi tre anni più tardi, Santanchè è ancora lì. Nel frattempo, le sue vicende giudiziarie sono diventate più numerose e più gravi, il suo stesso partito le ha chiesto in varie occasioni, e anche in modo perentorio, di lasciare il suo incarico. Altri membri del governo Meloni, nel frattempo, si sono dimessi, ma lei no. Anzi, si mostra certa di terminare la legislatura da ministra del Turismo, e nei suoi colloqui privati con altri parlamentari ipotizza per sé futuri ruoli ancora al governo del paese o della sua regione, la Lombardia.
Nata a Cuneo nel 1961, Santanchè iniziò a fare politica nel 1995 come assistente di Ignazio La Russa, l’attuale presidente del Senato a cui è sempre rimasta molto legata. In Fratelli d’Italia è entrata nel 2017, e ne è subito diventata una delle esponenti più importanti: un po’ grazie proprio a La Russa e un po’ per le sue grandi disponibilità economiche. Santanchè ha infatti spesso finanziato le attività e le campagne elettorali di FdI.

Daniela Santanchè e Ignazio La Russa, insieme alla Camera nell’ottobre del 2006 (DANILO SHIAVELLA/ANSA)
Anche questo spiega perché Meloni assecondò la richiesta della stessa Santanchè di nominarla ministra del Turismo, a dispetto di possibili conflitti d’interesse. Infatti la presenza al governo di Santanchè generò fin dall’inizio qualche imbarazzo: lei che era tra i proprietari di uno dei più celebri beach club della Versilia, il Twiga, si sarebbe dovuta ritrovare a gestire la delicata faccenda delle concessioni balneari. E così, per stemperare le critiche, prima Meloni sottrasse le deleghe sulle spiagge al ministero del Turismo; poi, quando divenne evidente che in ogni caso Santanchè sarebbe stata direttamente coinvolta in alcune decisioni sul settore, fu la stessa ministra a cedere le proprie quote del Twiga al suo amico e socio Flavio Briatore.
Ma la gestione delle sue aziende, in particolare la Visibilia Editore che pubblica riviste e settimanali e la Ki Group che controlla società attive nel comparto della cosmesi, continuò ad alimentare polemiche nei mesi seguenti. La gestione poco accorta dei bilanci e i trattamenti imposti ai dipendenti, negli anni in cui queste aziende erano gestite da Santanchè (e cioè fino al 2022), furono oggetto di indagini giornalistiche e giudiziarie fin dall’inizio del 2023.
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Santanchè a giugno di quell’anno escluse in modo categorico di dimettersi, nonostante anche alcuni importanti dirigenti della Lega e di Forza Italia, come Riccardo Molinari e Giorgio Mulè, le avessero chiesto dei chiarimenti. Che in effetti Santanchè fornì, in parlamento, con un’informativa al Senato che si tenne il 5 luglio. Il suo discorso non valse però a chiarire granché, e anzi generò ulteriore confusione.
La sua versione fu ritenuta dalle opposizioni poco credibile, e per questo i partiti del centrosinistra presentarono una mozione di sfiducia: com’era scontato, la mozione fu respinta dall’aula del Senato, ma questo non placò le proteste nei suoi confronti.
Anche perché, nel frattempo, oltre che il suo ruolo di imprenditrice svolto prima di andare al governo, le venne contestata anche la campagna Open to Meraviglia, quella avviata dal suo ministero nell’aprile del 2023 per promuovere le attrazioni turistiche italiane attraverso una Venere di Botticelli che fa cose da influencer. Per quella campagna, che venne sospesa quasi subito, la Corte dei conti aprì un’indagine per un possibile danno erariale causato da Santanchè, indagine che poi non ebbe alcun esito.
Col passare dei mesi, però, gli sviluppi giudiziari che riguardavano Santanchè generarono sempre maggiori fastidi anche nel suo partito. In particolare, fu imbarazzante il procedimento per truffa aggravata ai danni dell’INPS (l’istituto nazionale di previdenza sociale): secondo l’accusa, Visibilia chiese indebitamente la cassa integrazione in deroga durante la pandemia di Covid (la cosiddetta “cassa Covid”) per 13 dipendenti che, contrariamente a quanto dichiarato, non erano in cassa a zero ore (cioè senza lavorare) ma furono messi a lavorare in smart working. All’epoca a capo di Visibilia c’era Santanchè.
Peraltro, la stessa Visibilia ha definito un accordo con l’INPS, risarcendolo di oltre 170mila euro, e in sostanza ammettendo che ci sia stato quantomeno un errore nella gestione della cassa Covid.
Non a caso, negli ultimi mesi anche Meloni ha iniziato a prendere le distanze da Santanchè. La prima volta, in modo neanche troppo velato, ha dato consistenza alle ipotesi delle dimissioni della ministra nella conferenza stampa del 4 gennaio. Poi, in modo sempre più insistente, ha iniziato a dire che spettava alla ministra valutare se e quanto questi problemi giudiziari le consentissero di esercitare al meglio la propria funzione.
Santanchè però non ha mai davvero vacillato: neppure quando a chiederle di dimettersi fu proprio La Russa.
Ha anche liquidato in modo sbrigativo il rinvio a giudizio per il falso in bilancio deciso a gennaio dalla giudice per l’udienza preliminare, dicendo però che un eventuale rinvio a giudizio sul caso della truffa all’INPS la indurrebbe a valutare le sue dimissioni. Ma in ogni caso, ha adottato tutti gli espedienti consentiti per allungare più o meno strumentalmente l’iter giudiziario nei procedimenti che la riguardano.
Ha ottenuto il rinvio a metà settembre delle udienze del processo per falso in bilancio. Quanto alla truffa all’INPS, Santanchè ha prima chiesto (invano) il trasferimento del processo da Milano a Roma, con l’obiettivo di tirarla in lungo; poi ha cambiato i suoi avvocati, così da ottenere il rinvio delle udienze da marzo a ottobre.
All’inizio di agosto la ministra ha chiesto alla Giunta per le autorizzazioni del Senato di valutare se è lecito, da parte dei magistrati milanesi che la accusano, utilizzare alcune registrazioni fatte da uno dei suoi ex dipendenti, che dimostrerebbero come Santanchè fosse consapevole di stare utilizzando illecitamente la cassa Covid. L’obiettivo sarebbe di coinvolgere la Corte costituzionale, che si esprime sui conflitti tra poteri dello Stato (in questo caso governo e magistratura). Tutto ciò produrrebbe ulteriori lungaggini.
Santanchè si sta così garantendo una permanenza al governo, anche grazie a due fattori che la avvantaggiano. Il primo è il fatto che un suo eventuale avvicendamento non sarebbe indolore, per FdI: Santanchè sa molte cose del partito e dei suoi dirigenti, ha condiviso con La Russa varie fasi tribolate del centrodestra, e c’è chi teme che se si sentisse scaricata potrebbe in qualche modo vendicarsi. In secondo luogo, Meloni teme per la stabilità del suo governo: le dimissioni di Santanchè per un rinvio a giudizio metterebbero in difficoltà altri politici indagati a loro volta, come il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, e potrebbero dare adito alle richieste di Forza Italia e Lega di modificare la composizione del governo.
Anche per questo, nelle conversazioni avute con parlamentari di maggioranza e di opposizione nelle ultime settimane, Santanchè si è detta sicura di restare al suo posto fino alla fine della legislatura. E non ha escluso di ricandidarsi in parlamento nel 2027, o magari di proporsi come candidata per un posto di rilievo nella giunta regionale in Lombardia.



