Perché Santanchè non sapeva di essere indagata

In Senato aveva detto di non aver ricevuto nessun avviso di garanzia, dopo poche ore ha cambiato versione in una nota alle agenzie

(Roberto Monaldo/LaPresse)
(Roberto Monaldo/LaPresse)
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Mercoledì sera la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, ha inviato alle agenzie di stampa una nota in cui dice di aver saputo di essere indagata, dopo che nel pomeriggio davanti al Senato lo aveva invece negato nel tentativo di smentire una notizia di cui scrivono da mesi molti giornali. L’accusa a suo carico sarebbe di falso in bilancio nella gestione tra il 2016 e il 2020 della società Visibilia Editore (che pubblica tra le altre le riviste Novella 2000 Visto), di cui Santanchè è stata presidente e amministratrice delegata fino a gennaio del 2022.

Nel pomeriggio di mercoledì Santanchè, che è senatrice, aveva tenuto un’informativa in Senato per difendersi dalle accuse sulla gestione delle sue attività imprenditoriali, emerse dopo un’inchiesta mandata in onda due settimane fa dal programma di Rai 3 Report. Santanchè si era soffermata molto sulla questione di un’eventuale indagine a suo carico da parte della procura di Milano, spiegando con toni molto combattivi di non essere «stata raggiunta da alcun avviso di garanzia». Santanchè aveva poi specificato, come aveva già detto in passato, che anche i suoi avvocati non avevano ricevuto conferme dalla procura di un’indagine a suo carico.

Una persona viene messa sotto indagine quando ci sono forti indizi che abbia commesso un reato di cui il pubblico ministero abbia notizia o di cui abbia saputo per «propria iniziativa». In gergo giornalistico si dice impropriamente che una persona viene “iscritta nel registro degli indagati”, anche se un registro simile non esiste (esiste il registro delle notizie di reato). L’avviso di garanzia, noto anche come informazione di garanzia, è invece la comunicazione che una procura fa a una persona sotto indagine, ed è quello che Santanchè dice di non aver ricevuto. La procura però non è tenuta a mandare l’informazione in ogni caso, ma solo quando «deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere», per esempio un interrogatorio o una perquisizione. È insomma possibile che Santanchè non l’avesse ricevuta.

Anche il fatto che i suoi avvocati non avessero ricevuto conferme ha una spiegazione: nella nota inviata alle agenzie mercoledì sera, Santanchè ha scritto che le verifiche dei suoi avvocati erano state fatte a dicembre del 2022, ma in base al codice di procedura penale (comma 3-bis dell’articolo 335) i pubblici ministeri possono decidere di rendere segreta l’indagine su una persona per un periodo non superiore a tre mesi, ritardando così anche la comunicazione dell’indagine stessa.

In sostanza, è plausibile che gli avvocati di Santanchè a dicembre non potessero sapere delle indagini perché segrete, ma se avessero fatto le stesse verifiche solo poche settimane dopo probabilmente avrebbero potuto saperlo. Che le cose siano andate così lo ha poi confermato la stessa Santanchè nella nota di mercoledì sera.

La notizia dell’indagine a carico di Santanchè era stata data dai giornali il 2 novembre del 2022, ma l’indagine stessa era stata aperta alcune settimane prima: come ha spiegato l’esperto cronista giudiziario Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, la conferma di quell’informazione era stata possibile sulla base degli atti con cui la procura aveva chiesto al tribunale fallimentare di mettere in liquidazione le quattro società del gruppo Visibilia (che erano di proprietà di Santanchè fino al 2022) per debiti col fisco.

Le accuse di Report a Santanchè in ogni caso non riguardavano l’indagine, che la trasmissione aveva dato per certa: l’inchiesta la accusava tra le altre cose di aver gestito le sue aziende in modo poco trasparente, licenziando alcuni dipendenti senza poi riconoscere loro il trattamento di fine rapporto (tfr) e in almeno un caso violando la legge, per aver imposto a una dipendente la cassa integrazione a zero ore a sua insaputa, facendola così continuare a lavorare (i dipendenti in cassa integrazione a zero ore vengono pagati interamente a spese dello Stato, e per legge non dovrebbero lavorare).

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