Le sparate di Salvini non fanno più effetto
Ci siamo abituati ai suoi toni e anche all'estero non ci cascano più, anche perché la Lega è sempre più irrilevante

Il 7 marzo scorso Matteo Salvini dette del «matto» a Emmanuel Macron. La cosa generò trambusto sia in Italia sia all’estero: i giornali francesi, di ogni orientamento, misero in risalto le parole del leader della Lega, e il 13 marzo il ministero degli Esteri francese convocò l’ambasciatrice italiana a Parigi, Emanuela D’Alessandro, per protestare formalmente. Un vicepresidente del Consiglio italiano che insultava pubblicamente il presidente della Repubblica francese era un fatto grave, che richiedeva un chiarimento diplomatico. E non era nemmeno la prima volta: già nel giugno del 2024, sul finire della campagna elettorale per le europee, Salvini aveva utilizzato toni ingiuriosi verso Macron.
Salvini: “Macron si attacchi al tram. Vada lui a combattere in Ucraina” 👉 https://t.co/gkqpxN9bqB pic.twitter.com/oNqUKizV5U
— Tg La7 (@TgLa7) August 20, 2025
Mercoledì Salvini si è di nuovo rivolto a Macron in modo insolente: lo ha invitato, in milanese, ad attaccarsi al tram. L’argomento è sempre lo stesso: la proposta di Macron di inviare truppe europee in Ucraina per costruire solide “garanzie di sicurezza” cosiddette contro un futuro attacco da parte della Russia, una volta che si dovesse raggiungere un accordo di pace tra i due paesi. «Vacci tu, se vuoi. Ti metti il giubbetto, il caschetto, il fucile e vai in Ucraina», ha detto Salvini durante un evento pubblico a Milano. Stavolta, però, non ci sono state reazioni: né sui giornali francesi né a livello diplomatico.
Le parole di Salvini hanno perso efficacia. L’abuso di toni sempre esasperati, la ripetitività quasi ossessiva di dichiarazioni provocatorie e oltraggiose nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni europee, alla lunga hanno generato un’assuefazione, hanno tolto a quelle affermazioni apparentemente sopra le righe la loro dirompenza. Il Salvini provocatore è diventato semplicemente il solito Salvini.
Il tutto, peraltro, in un gioco delle parti tra i partiti di governo che è, pure quello, sempre lo stesso: la Lega che diffonde dichiarazioni veementi contro l’Europa, Forza Italia che si contrappone risolutamente ribadendo una posizione più moderata, Fratelli d’Italia che sta un po’ nel mezzo. Anche questo non fa più notizia, come si dice in gergo: se fino a qualche tempo fa queste divergenze potevano sembrare un fatto politico rilevante, quasi fossero la premessa di possibili divisioni nella maggioranza di destra, ora vengono liquidate da opinionisti e giornali in modo abbastanza sbrigativo.
Succede qualcosa di simile anche sulle questioni finanziarie. Anni fa, quando la Lega era nel governo di Giuseppe Conte insieme al Movimento 5 Stelle, tra il 2018 e il 2019, ogni volta che Salvini e i suoi principali consiglieri economici, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, dicevano qualcosa contro l’Europa o contro l’euro, i mercati reagivano con preoccupazione, e la conseguenza era un innalzamento piuttosto repentino dello spread, il divario di rendimento tra i buoni del tesoro decennali italiani e quelli tedeschi. Era insomma come se davvero gli investitori temessero che le parole dei dirigenti leghisti potessero avere un impatto negativo sulla gestione della finanza pubblica italiana, e al limite potessero preludere a un’uscita dall’euro. Di conseguenza, comprare titoli di Stato italiani diveniva più rischioso, e quindi era necessario un tasso di interesse maggiore.
Perfino Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio ed esponente della corrente moderata della Lega, nel giugno del 2019, commentando con fastidio una delle molte proposte scombiccherate di Borghi (i minibot, cioè dei titoli di Stato di piccolo taglio), si spazientì: «Ma c’è ancora qualcuno che gli crede?», disse ai giornalisti riferito al compagno di partito, definendo poi i minibot «non verosimili». Erano gli stessi dirigenti della Lega a meravigliarsi di come le parole di alcuni loro colleghi venissero prese sul serio.
Ora non è più così. Quando Borghi e Bagnai fanno proposte di grande rottura, e si scagliano contro le regole di bilancio europee, i mercati non reagiscono in alcun modo: è stato evidente, per esempio, lo scorso maggio a proposito del MES, il Meccanismo europeo di stabilità che serve a proteggere gli Stati o le grandi banche da eventuali crisi finanziarie. Borghi e Bagnai invocarono l’uscita dell’Italia dal MES, che sarebbe stata una cosa enorme, il preludio dell’uscita dall’euro. Ma lo spread non ne risentì in alcun modo.
In questi giorni, peraltro, proprio riguardo allo spread il governo di Giorgia Meloni ha raggiunto un risultato importante: è stato sostanzialmente azzerato il differenziale tra i buoni del tesoro decennali italiani e quelli francesi, tradizionalmente considerati più affidabili. Ciò è stato possibile in gran parte perché la Francia sta attraversando una stagione molto tribolata sul piano politico e finanziario, ma è comunque il segno di una gestione cauta e responsabile dei conti pubblici da parte del governo italiano, e in particolare proprio da parte di Giorgetti che ora è ministro dell’Economia. Ebbene, questo buon risultato è stato raggiunto nei giorni in cui Salvini insolentiva la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dicendo che in un incontro tra Trump e Putin lei «può portare da bere».
Ma in una certa misura questo depotenziamento delle parole di Salvini vale anche nella politica interna. Un esempio, tra i molti possibili, ha a che vedere con la retorica delle «ruspa». Nell’estate del 2019, quando Salvini, in risposta a una donna rom che gli aveva augurato la morte, rispose dandole della «zingaraccia» e dicendole «preparati che arriva la ruspa», si generò una polemica molto accesa, che andò avanti per giorni e giorni. La scorsa settimana, in seguito all’omicidio di Cecilia De Astis a Milano, investita da un’auto rubata su cui stavano quattro ragazzini, Salvini ha proposto di «radere al suolo» il campo rom abusivo da cui provenivano. La dichiarazione è stata criticata da alcuni esponenti dell’opposizione, e riportata dai media, ma senza portare a chissà quale dibattito o indignazione. Il ciclo delle news è rapidamente passato ad altro.
Non è solo assuefazione a una retorica razzista e violenta, c’è anche un significato politico dietro a questa crescente indifferenza per le parole di Salvini. Sia all’estero sia in Italia, sia tra gli investitori sia tra i parlamentari di opposizione, tra i giornali stranieri come quelli nazionali, c’è la consapevolezza di una certa irrilevanza di lui e del suo partito dentro al governo: la Lega non sembra in grado di influenzare davvero le scelte di Meloni, perciò le dichiarazioni più o meno esasperate dei suoi esponenti sono diventate rumore di fondo che non produce conseguenze concrete.
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