Perché sui diritti si fanno progressi solo grazie ai giudici
L'ultima sentenza della Corte costituzionale sulle coppie di madri è l'ennesimo caso in cui hanno sopperito alle mancanze del parlamento

Negli ultimi anni è successo più volte che gli organi più alti della magistratura intervenissero per riconoscere un diritto ancora non garantito dalla legge, con sentenze che riguardano perlopiù coppie dello stesso sesso o il suicidio assistito. L’ultima è di lunedì, quando la Corte costituzionale ha stabilito che anche le coppie di madri hanno diritto al congedo obbligatorio di dieci giorni riservato ai padri, in aggiunta a quello di cinque mesi di “maternità”. È un fenomeno che va avanti da oltre un decennio, dovuto in larga parte all’inerzia della politica, che peraltro contribuisce ad alimentarlo proprio perché sa di potersi appoggiare alla magistratura.
«Quando nel 1975 una sentenza della Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità del reato di aborto di donne consenzienti», dice Irene Pellizzone, professoressa associata di Diritto costituzionale all’Università di Milano, «il parlamento impiegò tre anni per intervenire con la legge 194 del 1978 che consente di interrompere le gravidanze. In questi anni non è successa la stessa cosa né riguardo al suicidio assistito né alle coppie omosessuali femminili che hanno figli all’estero».
In Italia il suicidio assistito, la pratica con cui a certe condizioni ci si autosomministra un farmaco per morire, è legale dal 2019, cioè dalla storica sentenza con cui la Corte costituzionale stabilì che Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni non era punibile per aver aiutato Fabiano Antoniani (noto come “dj Fabo”, paralizzato e cieco a causa di un incidente) a suicidarsi. In quell’occasione, e in altre successive, la Corte chiese al parlamento di fare una legge per regolamentare il suicidio assistito, ma in questi sei anni il parlamento non ha fatto nulla. Nel frattempo la stessa Corte costituzionale è intervenuta sul tema con nuove sentenze che di volta in volta hanno indicato con maggiori dettagli come e a chi dovrebbe essere garantito il diritto di morte assistita: di fatto sta scrivendo una legge al posto del parlamento.
Per quanto riguarda le famiglie, a maggio la Corte aveva dichiarato illegittimo il fatto che nelle coppie di donne con figli non venisse automaticamente riconosciuta come madre quella delle due che non ha partorito. A marzo invece la Corte aveva dichiarato incostituzionale il divieto per le persone singole di adottare bambini all’estero. Nel 2022 si era espressa su una questione apparentemente molto più semplice, stabilendo l’incostituzionalità delle norme che imponevano di dare ai figli il cognome del padre in modo automatico.
Le ragioni dei ritardi della politica sono facilmente intuibili. I partiti conservatori, ma anche il Partito Democratico che pur essendo di centrosinistra ha una corrente cattolica non trascurabile, temono che occupandosi di questi argomenti in senso progressista, cioè garantendo più diritti, perderebbero consensi. Peraltro è poco probabile che si facciano grandi passi avanti in questa legislatura, nella quale la maggioranza che sostiene il governo è molto di destra: lo si sta vedendo con il disegno di legge sul cosiddetto “fine vita”, che è in discussione al Senato e sta facendo venire dubbi persino a Forza Italia.
Nel frattempo ci sono persone e famiglie con «esigenze concrete di usufruire di certi progressi della scienza o della tecnologia», spiega Pellizzone, e che quindi «vanno all’estero per fare quello che in Italia non si può fare», come accedere alla procreazione medicalmente assistita (PMA), «o violano le regole stando qui». Quando succede i loro casi finiscono per essere esaminati dalla magistratura, che così si trova a dover risolvere le questioni controverse sul piano etico e politico di cui il parlamento non si occupa.
È un circolo vizioso: il parlamento scarica sulla Corte costituzionale la responsabilità di riempire i vuoti legislativi, e allo stesso tempo il fatto che negli ultimi anni la Corte stia prendendo decisioni nette, come quella sul suicidio assistito, in qualche modo permette alla politica di ignorare quegli stessi vuoti e aspettare che facciano le sentenze.
Questa tendenza deriva da un percorso lungo e progressivo, ma per le questioni eticamente controverse ha avuto una svolta più o meno nel 2009, e si è affermata soprattutto dopo il 2014. Nel 2009 la Corte si espresse sulla legge 40 del 2004 che regola la fecondazione assistita: in quel caso il parlamento aveva fatto una legge, che però poi si era rivelata incostituzionale. Più precisamente la Corte dichiarò illegittimo il limite di produrre al massimo tre embrioni e, soprattutto, l’obbligo di impiantarli eventualmente tutti insieme contemporaneamente nell’utero della donna. Nel 2014 invece dichiarò illegittimo il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa, quindi di avere figli grazie alla donazione di gameti esterni.
«Non si può dire propriamente che la Corte costituzionale faccia delle leggi», precisa Pellizzone. «Ma sicuramente c’è un attivismo frutto di una visione culturale più o meno prevalente tra i giudici, che si sviluppa in certi periodi». Peraltro è un attivismo per certi versi assimilabile a quello del presidente della Repubblica, che negli ultimi anni ha assunto un ruolo più largo e interventista dovuto alla litigiosità tra i partiti (questo cambiamento sta avvenendo su un periodo più lungo, diciamo dai primi anni Novanta in poi).
Un ruolo molto importante ce l’hanno anche le organizzazioni che sostengono le lotte per la conquista di certi diritti. Possono essere vere e proprie associazioni di avvocate e avvocati come Rete Lenford che senza scopo di lucro assiste le persone della comunità LGBTQ+, «individuando e sostenendo le azioni giudiziarie che possono provocare un cambiamento delle norme giuridiche in senso più avanzato». La sentenza di lunedì sul congedo di “paternità” alle coppie di madri è stata ottenuta anche con il coinvolgimento di questa associazione.
In questi casi si parla di contenziosi strategici, cioè azioni legali intraprese allo scopo specifico di ottenere cambiamenti normativi e stimolare la politica inerte. È una pratica che si è sviluppata nel contesto anglosassone ed è sempre più presente anche in Italia, pur con modalità diverse. Non tutte le sentenze della Corte costituzionale arrivano alla fine di processi del genere (ad esempio la sentenza sulle adozioni internazionali è dovuta allo sforzo di una singola donna), ma le associazioni sono sempre più esperte nel trovare casi molto concreti che si prestano a permettere un progresso generale, e a evitare invece quelli che potrebbero portare a un fallimento politico.



