La legge italiana sulla fecondazione assistita ha ancora molti problemi

Fu approvata 20 anni fa e da allora alcuni limiti sono stati superati, ma è rimasta discriminatoria per molte persone

(Annette Riedl/dpa/ANSA)
(Annette Riedl/dpa/ANSA)
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Il 10 febbraio 2004, 20 anni fa, fu approvata in via definitiva in parlamento la legge sulla fecondazione assistita, cioè l’insieme di tecniche che permettono di avere figli a chi non può averli in modo spontaneo. Viene spesso chiamata col numero di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di quell’anno, “legge 40”. Fin dall’inizio fu criticata e contestata per i molti divieti che conteneva, che negli ultimi vent’anni sono stati progressivamente rimossi da sentenze di tribunali e della Corte Costituzionale perché ritenuti in contrasto col diritto alla salute e con alcune libertà fondamentali, tra le altre cose. Ancora oggi però la legge 40 contiene diversi divieti, ritenuti discriminatori e infondati da giuristi, medici e associazioni per i diritti civili, e che il governo di Giorgia Meloni vorrebbe inasprire ulteriormente.

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La legge 40 fu approvata durante il secondo governo di Silvio Berlusconi, da un parlamento a maggioranza di centrodestra, e in un clima politico e culturale già allora ostile ad alcuni ambiti della ricerca scientifica e alle nuove tecnologie che rendono possibile riprodursi a chi non riesce o non può farlo. Già nella sua forma originaria la legge 40 rendeva possibile l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita alle sole coppie eterosessuali, con una serie di altri divieti e limitazioni, e ancora oggi è tra le più restrittive d’Europa.

Nel corso degli ultimi vent’anni diverse parti problematiche sono state rimosse e la legge è stata più volte modificata, con sentenze di tribunale arrivate soprattutto grazie a iniziative e ricorsi di coppie e singoli, sostenuti volta per volta da medici, esperti e associazioni per i diritti civili e dei pazienti, tra cui soprattutto l’associazione Luca Coscioni.

Un primo tentativo di modificare la legge venne fatto già l’anno successivo alla sua approvazione, nel 2005, con un referendum abrogativo che proponeva di rimuovere una serie di divieti legati alla ricerca scientifica sugli embrioni, ai requisiti per poter accedere alle tecniche di fecondazione assistita e alla possibilità di realizzare in Italia le tecniche di fecondazione eterologa (quelle che prevedono la donazione esterna di gameti, cioè le cellule sessuali, ovuli o spermatozoi). Non fu raggiunto il quorum (50 per cento) perché votò solo il 25,9 per cento degli aventi diritto (e come spesso accade in questi casi, fra questi la stragrande maggioranza votò a favore della rimozione di quei divieti, circa l’80 per cento).

Il primo divieto della legge a essere dichiarato illegittimo, nel 2008, riguardò la cosiddetta diagnosi preimpianto: è un’indagine clinica che si fa nelle fasi molto precoci di sviluppo dell’embrione, prima del suo impianto in utero, per individuare eventuali malattie genetiche e dare la possibilità di decidere di non procedere con l’impianto e la successiva gravidanza. È una tecnica utilizzata per esempio da persone portatrici sane di gravi malattie genetiche che decidano di avere figli: il divieto di ricorrervi, contenuto nelle linee guida ministeriali, comportava di fatto la scoperta di eventuali patologie solo a gravidanza già iniziata, e costringeva quindi a procedere a una sua eventuale interruzione in un momento successivo.

Nel 2008 il Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio, dopo una serie di altre sentenze di singoli tribunali che volta per volta avevano disapplicato le linee guida e permesso ad alcune coppie di accedere alla tecnica, annullò definitivamente quel divieto. Nel 2012 intervenne anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che dichiarò quel divieto in contrasto con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Oggi possono accedere alle tecniche di fecondazione assistita e poi alla diagnosi preimpianto le coppie eterosessuali infertili, sterili, o le coppie fertili portatrici di malattie genetiche (grazie a un’altra sentenza della Corte Costituzionale, del 2015), ma non le coppie fertili non portatrici di malattie genetiche.

Nel 2009 la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo un altro divieto, quello di produrre al massimo tre embrioni e, soprattutto, l’obbligo di impiantarli eventualmente tutti insieme contemporaneamente nell’utero della donna. Era un obbligo in contrasto con la tutela della salute della donna: oggi la migliore pratica clinica prevede l’impianto di un solo embrione alla volta, per evitare gravidanze multiple e altri rischi sia per la salute della donna che del figlio o della figlia.

La rimozione del divieto di produrre più di tre embrioni e di trasferirli tutti insieme in utero comportò la caduta di un altro divieto: quello di congelare gli embrioni non impiantati. Questa possibilità permette di pianificare una gravidanza in un momento successivo, in casi in cui per esempio una persona si deve sottoporre a cure mediche che potrebbero compromettere la sua fertilità.

Nel 2014, poi, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa, quindi di avere figli grazie alla donazione di gameti esterni. La tecnica, comunque, è possibile ancora oggi solo per le coppie eterosessuali, sposate o conviventi: i single e le coppie omosessuali devono andare all’estero se vogliono ricorrere a questo tipo di tecniche, oppure accedere a canali clandestini e non regolamentati, come già succede in alcuni casi, con rischi legali e sanitari. Ci sono inoltre grossi limiti e problemi nell’approvvigionamento degli stessi gameti perché ci sono pochi donatori: dipende anche dal fatto che il ministero della Salute non ha mai promosso un’adeguata campagna informativa sulla possibilità di donare i gameti, nonostante esista da oltre 10 anni.

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Altri divieti rimossi nel corso degli anni hanno riguardato l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita non solo alle coppie infertili o sterili, ma anche, come detto, a quelle fertili ma portatrici di malattie genetiche, e il divieto di selezione degli embrioni per motivi terapeutici e diagnostici, entrambi rimossi sempre dalla Corte Costituzionale.

Nel frattempo, grazie alle tecniche di procreazione assistita, dal 2010 a oggi sono nati ogni anno mediamente 14mila bambini, secondo le stime dell’associazione Luca CoscioniSecondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), i nati dal 2004 a oggi grazie a queste tecniche sono oltre 217mila. Sempre secondo l’ISS il ricorso alla fecondazione assistita è inoltre in progressivo aumento, ed è quasi raddoppiato nel periodo 2005-2022. I dati italiani riguardano solo le coppie eterosessuali, le uniche a poter accedere alla fecondazione assistita: il numero sarebbe molto più alto se si tenesse conto anche di tutti i nati in famiglie formate da due uomini, da due donne e da persone single, moltissime delle quali per avere figli in questo modo vanno all’estero, sempre a causa dei divieti.

L’aumento dell’infertilità e il cambiamento dei modelli di famiglia sono infatti le due principali ragioni per cui oggi è così diffusa la fecondazione assistita, e presumibilmente quelli per cui lo sarà sempre di più in futuro.

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Oggi la legge 40 è molto diversa da quella approvata 20 anni fa, ma restano ancora in vigore alcuni divieti che di fatto non rendono le tecniche permesse dalla legge una possibilità per tutte le persone che hanno bisogno di farvi ricorso per riprodursi.

Il divieto di accesso alla fecondazione assistita per le persone single e le coppie omosessuali costringe moltissime di queste persone ad andare all’estero, con percorsi economicamente costosi e burocraticamente difficili, e con conseguenze che nel caso delle coppie dello stesso sesso colpiscono soprattutto i bambini e le bambine nate da queste tecniche.

Semplificando molto: dal momento che è vietato l’accesso alla fecondazione assistita per le coppie omosessuali, in Italia non è regolamentato neanche il riconoscimento del legame di parentela tra i figli concepiti all’estero e il genitore non biologico, cioè la madre che non ha partorito o l’uomo che non ha donato il seme per la nascita. In entrambi i casi sono persone che i figli considerano propri genitori al pari di quelli con cui hanno legami biologici, ma in Italia l’unico genitore riconosciuto è quello biologico: l’altro dalla legge è considerato un estraneo.

È una situazione con molte conseguenze concrete: il genitore non biologico può aver bisogno di una delega per poter prendere i figli a scuola o fare alcune scelte, come firmare un permesso per una gita scolastica, un modulo per fare un vaccino, ma anche per fare un viaggio insieme. Si può ottenere una qualche forma di riconoscimento, ma è un processo che può richiedere anni. Ci sono vari modi per farlo, ma quello più usato è chiedere l’adozione del proprio stesso figlio, con tempi molto lunghi. È la cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione permessa in casi particolari al genitore non biologico.

È ormai un anno che la questione del riconoscimento dei figli di coppie omosessuali è al centro della cronaca e dell’attualità, anche perché l’attuale governo di Giorgia Meloni ha in vari modi ostacolato e contrastato i modi in cui si poteva ottenere il riconoscimento una volta tornati dall’estero, per esempio chiedendo la registrazione del legame di parentela all’anagrafe dei singoli comuni.

Per effetto di queste azioni alcuni genitori non biologici sono stati inoltre retroattivamente rimossi dai certificati di nascita dei loro figli. L’anno scorso a Padova la procura impugnò 33 certificati di nascita tutti insieme con l’intenzione di rimuovere i genitori non biologici. La stessa procura, sotto la guida di un’altra procuratrice, di recente ha chiesto al tribunale locale di rinviare la questione alla Corte Costituzionale, che già in passato e in più occasioni si è espressa su questa questione evidenziando un vuoto di tutela per i minori e invitando il parlamento a fare una legge sul riconoscimento, al di là dei divieti della legge 40 (il parlamento non ha ancora mai fatto nulla).

La legge 40 prevede inoltre il divieto di ricorrere alla gestazione per altri (GPA), la forma di procreazione assistita che prevede che la gravidanza sia portata avanti da una persona per conto di altre che non possono avere dei figli, per condizione o per ragioni mediche. In questo caso il governo si è già mosso non solo per difendere questo divieto, ma per inasprirlo, con una proposta di legge che ha buone possibilità di essere approvata nei prossimi mesi e che prevede di rendere la GPA un cosiddetto “reato universale”, cioè perseguibile in Italia anche se praticata all’estero da un cittadino o da una cittadina italiana. Se venisse approvata la legge avrà conseguenze molto negative su chi in futuro dovesse decidere di ricorrere a questa tecnica, e soprattutto su chi nascerà. La GPA è una tecnica ampiamente utilizzata soprattutto da coppie eterosessuali, e in molti casi per ragioni mediche.

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La legge 40 contiene inoltre ancora il divieto di utilizzare nella ricerca gli embrioni congelati e inutilizzati per le gravidanze: è una possibilità ampiamente sfruttata da altri paesi e ritenuta molto promettente non solo dal punto di vista scientifico, ma anche clinico.

In diversi paesi del mondo, soprattutto (ma non solo) negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in alcuni paesi del nord Europa, sono già in corso decine di sperimentazioni cliniche che utilizzano le cellule staminali embrionali per patologie oggi incurabili o molto difficilmente curabili. Una di queste è il morbo di Parkinson, patologia cerebrale che secondo i dati più recenti dell’organizzazione mondiale della Sanità, del 2019, colpisce attualmente oltre 8 milioni di persone ed è in aumento. In Italia tra l’altro è possibile importare le cellule embrionali per fare ricerca dall’estero, cosa che secondo vari scienziati è in palese contraddizione col divieto in vigore.

Resta inoltre impossibile, per gli uomini, togliere il consenso al ricorso alla fecondazione assistita dopo che l’ovulo è già stato fecondato (qui una spiegazione più estesa). Secondo la legge 40, se un uomo e la compagna hanno creato un embrione con la fecondazione assistita, lo hanno congelato per usarlo in un momento successivo e poi si separano, la donna può impiantarlo nel proprio utero per iniziare una gravidanza anche contro la volontà del suo ex compagno, e chi nascerà sarà giuridicamente figlio di entrambi. Anche questo è un limite molto contestato da tempo, perché di fatto può obbligare una persona a diventare genitore contro la propria volontà.

In Italia ci sono grosse disuguaglianze territoriali nella qualità dell’accesso alla fecondazione assistita per le coppie che possono farlo: alcune tecniche sono rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, altre no. Non tutte le regioni sono dotate di cliniche e centri per ricorrere alle tecniche, e in generale è ancora per moltissime persone un percorso estremamente costoso.

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