I teli che coprono il ghiacciaio della Marmolada non lo salveranno

Servono più che altro a proteggere le piste da sci, e intanto diffondono microplastiche in alta montagna

I teli che coprono una parte del ghiacciaio della Marmolada (Luigi Casanova di Mountain Wilderness)
I teli che coprono una parte del ghiacciaio della Marmolada (Luigi Casanova di Mountain Wilderness)
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A fine giugno in Trentino si è risolto con l’intervento del TAR di Trento un conflitto amministrativo sull’uso di teli protettivi per rallentare la fusione del ghiacciaio della Marmolada. Questi teli si usano su una parte del ghiacciaio dal 2012 e durante la stagione estiva ne coprono circa 30mila metri quadrati. Il conflitto era relativo a quali enti avessero le competenze per autorizzare gli interventi sulla Marmolada, e ora che si è risolto la superficie potrà essere ampliata. Ma non bisogna pensare che siano un modo per conservare il ghiacciaio a lungo termine: i teli sono solo uno strumento per proteggere le piste da sci e ridurre la necessità di usare l’innevamento artificiale lungo gli impianti.

Oggi il ghiacciaio della Marmolada ha una superficie complessiva di circa 900mila metri quadrati, che si è molto ridotta rispetto al passato a causa del cambiamento climatico: nel 1888 si estendeva per 5 milioni di metri quadrati e solo dal 2019 la sua superficie è diminuita di 700mila metri quadrati. Secondo uno studio del 2019 scomparirà del tutto entro il 2050 e già nel 2040 potrebbero continuare a esistere solo alcune parti molto piccole e sottili del ghiacciaio, quelle all’ombra delle cime e sul lato della montagna che dà verso nord.

I teli protettivi vengono installati in primavera e poi rimossi a settembre, prima delle nevicate autunnali. Sono fatti di polimeri, cioè di materiale plastico, e riducono la fusione di ghiaccio e neve perché sono bianchi e riflettono la luce solare, diminuendone così la quantità che viene assorbita dal ghiacciaio. Larghi cinque metri e lunghi 70 ciascuno, vengono fissati sul ghiacciaio con alcune funi metalliche.

L’uso di teli del genere come protezione dei ghiacciai non è una novità, la pratica esiste dai primi anni Duemila ed è piuttosto diffusa in Svizzera. Per esempio sul ghiacciaio del Rodano, nel Canton Vallese, sono usati per preservare l’accesso a una grotta artificiale di ghiaccio, che è un’importante attrazione turistica. In Italia sono stati usati per la prima volta nel 2008 sul ghiacciaio Presena, sempre in Trentino. Nel caso della Marmolada, i teli usati finora sono stati installati in zone dove passano piste da sci e che sono difficili da coprire con la neve artificiale per la quota a cui si trovano.

– Leggi anche: Il ghiacciaio della Marmolada ci sarà ancora per 30 anni

Uno studio condotto da un gruppo di ricerca svizzero ha sfruttato i dati sulla fusione dei ghiacciai coperti da teli tra il 2005 e il 2019 per stimarne l’efficacia: possono ridurre la fusione di neve e ghiaccio del 50-70 per cento, quindi hanno un’effettiva utilità, ma finora hanno consentito di preservare una quantità «insignificante» di ghiaccio rispetto a quello che si perde ogni anno a causa dell’aumento delle temperature globali. Visto il loro costo, oltre alle difficoltà di installarli su tante superfici glaciali, è impensabile che possano essere usati su scale più ampie: per questo non possono essere considerati come una vera soluzione al problema dello scioglimento dei ghiacciai.

Negli scorsi anni tuttavia è successo spesso che i media e le società che gestiscono gli impianti sciistici presentassero i teli proprio come uno strumento per “salvare” i ghiacciai. Per questo, nel 2022, 44 scienziate e scienziati italiani, svizzeri e francesi che studiano la glaciologia e i cambiamenti climatici hanno firmato una lettera aperta, per spiegare esattamente la funzione dei teli e chiedere ai media di evitare messaggi fuorvianti sui loro obiettivi, soprattutto quando si parla di richieste di finanziamenti per il loro impiego.

«Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato», dice la lettera. «È anche un tentativo di greenwashing [il marketing che presenta qualcosa come positivo per l’ambiente in modo ingannevole, ndr] per descrivere un intervento impattante sull’ambiente da numerosi punti di vista, come sostenibile e anzi addirittura auspicabile».

La lettera spiega anche che l’uso dei teli non si può considerare privo di un impatto ambientale, per varie ragioni. La prima è che produrre i teli e installarne periodicamente di nuovi comporta emissioni di gas serra, che sono la causa del cambiamento climatico. Chiaramente si tratta di una quantità irrisoria rispetto al totale delle emissioni globali che stanno provocando l’aumento delle temperature medie della Terra, ma visto che i ghiacciai si stanno riducendo proprio per questo, proporre i teli come soluzione è quantomeno contraddittorio.

Un altro problema è che, usurandosi, i teli diffondono nel ghiaccio grandi quantità di fibre plastiche: non si conoscono ancora gli effetti di questa forma di inquinamento, ma di certo contribuisce alla dispersione di microplastiche in alta montagna. Infine i teli hanno un impatto sulla vita dei piccoli organismi che vivono nei ghiacciai, per esempio quelli che fanno la fotosintesi: se vengono coperti dalla luce del sole non possono farla.