Non ve li state immaginando, quei rincari al supermercato

Come mai il prezzo del cibo è in forte aumento se l'inflazione è sotto controllo?

L'Esselunga di viale Lombardia a Cologno Monzese (Alessandro Bremec/LaPresse)
L'Esselunga di viale Lombardia a Cologno Monzese (Alessandro Bremec/LaPresse)
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È da almeno un anno che l’inflazione viene considerata generalmente un problema risolto. Ed è vero che l’eccezionale e preoccupante aumento dei prezzi che ci fu tra il 2021 e il 2023 – anche di più del 10 per cento – ora è molto meno intenso. Nonostante questo il costo della vita sta continuando a salire, e non di poco. Non è solo una percezione che si potrebbe avere andando al supermercato o al ristorante, lo dicono i dati.

Innanzitutto perché un’inflazione in calo non significa una riduzione dei prezzi, ma che i prezzi aumentano meno. Prima aumentavano del 10 per cento, ora di poco meno del 2, ma comunque crescono. In più continuano a esserci rincari significativi e oltre la media di quelle cose che compriamo più di frequente, cioè il cibo e tutti i prodotti da supermercato, quelli raccolti nell’indice che l’Istat chiama il “carrello della spesa”.

Gli ultimi dati dell’Istat dicono che a giugno in Italia l’inflazione generale è stata dell’1,7 per cento su base annua, il che significa che se a giugno dell’anno scorso un prodotto costava 100 euro oggi costa 101,7. È una crescita in linea con quella degli scorsi mesi e considerata coerente con un’economia sana, quindi né troppo accentuata da creare problemi ai consumatori né troppo stagnante a indicare un’economia ferma: il consenso economico e le banche centrali – cioè quelle istituzioni che hanno il compito di tenere d’occhio proprio l’andamento dei prezzi – auspicano che l’inflazione sia sempre in media intorno al 2 per cento.

Il problema è appunto che il prezzo del cibo e dei beni di prima necessità è aumentato di più: i prodotti alimentari in generale sono cresciuti nello stesso periodo del 3,7 per cento, e il “carrello della spesa”, che comprende anche i prodotti per la cura della casa e della persona, è aumentato del 3,1 per cento. Sono valori doppi rispetto all’inflazione media, quindi mentre sulla carta l’andamento dei prezzi è quasi ideale, nel mondo reale le cose sono molto diverse. La questione è particolarmente critica per le persone con redditi bassi, che spendono una parte ampia dei loro soldi proprio per questi acquisti di base.

Ma perché il prezzo del cibo cresce più dell’inflazione?

Il fatto è che l’inflazione misura l’aumento dei prezzi a livello generale, quindi è una media sull’andamento dei prezzi di una serie di prodotti che gli istituti di statistica chiamano “paniere di beni”, e che è rappresentativo degli acquisti di un consumatore medio.

Alcuni di questi prezzi scendono, e abbassano la media, e altri aumentano, alzandola. Come si vede dal grafico i prezzi dei prodotti alimentari contribuiscono a farla salire, come tutti quelli in blu, mentre quelli dei prodotti in rosso a farla scendere, come nel caso dei trasporti e delle comunicazioni. La media viene poi aggiustata dall’Istat sulla base della rilevanza e della frequenza che queste componenti hanno nelle abitudini di consumo: il cibo per esempio pesa sicuramente di più rispetto alle comunicazioni. Ma oltre a questa ragione statistica ce n’è un’altra, più sostanziale.

Il prezzo dei prodotti alimentari, come anche quello dell’energia, segue tendenze tutte sue: risente della stagionalità e di cose imprevedibili come i grandi eventi climatici, che possono compromettere i raccolti, o delle guerre, che invece compromettono le spedizioni. È così da sempre. Un esempio sono l’aumento del costo del cacao degli ultimi due anni – innescato da eventi climatici nei paesi produttori e aggravato da cause strutturali – e quello del grano a causa della guerra in Ucraina, uno tra i maggiori produttori al mondo.

A giugno in Italia il caffè costava il 25 per cento in più di un anno prima, il burro il 20, la frutta il 7, i derivati animali (latte, formaggi e uova) il 5,4 per cento, la carne il 4,5 per cento, il riso il 4,8. In generale la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari è in aumento da gennaio, quando era del 2,1 per cento: a giugno era del 3,7. L’indice che più rappresenta come va l’andamento dei prezzi che si trovano quando si va al supermercato, il “carrello della spesa”, segue lo stesso andamento: a gennaio cresceva dell’1,7 per cento rispetto a un anno prima, a giugno del 3,1, quasi il doppio.

Secondo uno studio della Banca Mondiale il prezzo dei beni definiti commodity – tra cui non ci sono solo le classiche materie prime come gas e petrolio, ma anche quelle alimentari, come il grano o l’olio – risente di variazioni sempre più estreme, al rialzo o al ribasso, a causa del cambiamento climatico e degli eventi sempre più frequenti ed estremi che produce; e a causa delle guerre e dell’instabilità politica internazionale.

È anche per questo che in realtà le valutazioni che la politica e le istituzioni fanno sull’inflazione si basano di più sull’andamento della cosiddetta “inflazione di fondo”, cioè l’inflazione generale al netto degli aumenti dei prezzi di cibo ed energia: i quali, essendo troppo volatili e legati ad avvenimenti del breve periodo, falsano le tendenze di lungo periodo, quelle su cui si prendono le decisioni. Per esempio quelle delle banche centrali sui tassi di interesse, lo strumento che usano per condizionare l’andamento dei prezzi.

Il lato positivo di questo approccio è che in questo modo i provvedimenti sono meno erratici ed effettivamente motivati da tendenze consolidate, ma dall’altro lato lasciano fuori un grosso pezzo della vita delle persone, a cui interessa poco di come l’economia è sulla carta. Il problema è poi molto accentuato in Italia, dove gli stipendi non tengono il passo dell’aumento dei prezzi, e quindi chi ha un reddito fisso si trova il proprio potere d’acquisto sempre più basso.

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