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  • Martedì 17 giugno 2025

Cosa vuole fare Israele

Quali obiettivi ha davvero la guerra contro l'Iran, cosa c'entrano gli Stati Uniti e cos'è il "paradosso di Fordo"

di Daniele Raineri

Persone guardano alcuni edifici colpiti dai bombardamenti iraniani a Ramat Gan, Israele, 14 giugno
(Amir Levy/Getty Images)
Persone guardano alcuni edifici colpiti dai bombardamenti iraniani a Ramat Gan, Israele, 14 giugno (Amir Levy/Getty Images)
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha davanti alcuni scenari possibili sulla guerra che ha cominciato cinque giorni fa con l’Iran. Potrebbe finire presto con un negoziato tra iraniani e statunitensi. Potrebbe continuare con l’aggiunta di un intervento militare degli Stati Uniti. E potrebbe anche trascinarsi a lungo e senza risultati, con un aumento progressivo della distruzione e delle vittime civili. Vediamo come.

Dal punto di vista di Netanyahu, Israele ha ottenuto alcuni successi nei primi giorni di guerra. Un primo successo è che ha ucciso i leader militari iraniani più esperti e importanti e anche alcuni scienziati civili che lavoravano al programma di ricerca nucleare. Un secondo risultato è che ha ottenuto il controllo pieno dello spazio aereo dell’Iran: gli aerei israeliani ormai bombardano con facilità la capitale Teheran e altri luoghi perché le difese aeree iraniane sono state distrutte nelle prime ore della guerra. Da quando è cominciata la guerra gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 224 persone iraniane e gli attacchi iraniani di risposta hanno ucciso almeno 24 israeliani.

Sono risultati temporanei, per Israele. L’Iran sta rimpiazzando i generali uccisi e prima o poi riuscirà a sostituire anche gli scienziati che lavoravano al programma di ricerca nucleare. Inoltre uno degli obiettivi principali di questa guerra era distruggere i siti della ricerca nucleare, ma uno dei più importanti, quello di Fordo, è dentro a un tunnel scavato nel fianco di una montagna e quindi è protetto da uno strato di roccia molto spesso. A Fordo ci sono migliaia di centrifughe che arricchiscono l’uranio e lo trasformano nel materiale necessario a costruire una bomba atomica.

Un palazzo distrutto dai bombardamenti israeliani a Teheran, in Iran (Majid Saeedi/Getty Images)

Non c’è soltanto Fordo: scorte di uranio arricchito dovrebbero essere già stoccate in profondità in una base sotterranea a Isfahan, anch’essa non colpita per adesso dai bombardamenti aerei. Vuol dire che l’Iran ha del materiale che, lavorato ancora, potrebbe servire a fare una bomba atomica e nel caso servisse potrebbe produrne altro. Quindi vuol dire che Netanyahu non ha ancora ottenuto quello che voleva. Se il suo obiettivo dichiarato era eliminare ogni possibilità che l’Iran avesse armi atomiche, allora non è stato raggiunto e forse non è raggiungibile.

Una nota importante: avere del materiale che serve a fare una bomba atomica non vuol dire avere immediatamente la bomba atomica. L’uranio a disposizione dell’Iran per uso militare è arricchito al 60 per cento e andrebbe arricchito ulteriormente fino al 90 per cento; la bomba andrebbe assemblata e poi montata su un vettore – per esempio un missile progettato apposta – capace di portarla sul bersaglio. Per costruire un’arma effettivamente utilizzabile all’Iran servirebbero ancora diversi mesi: non è chiaro esattamente quanti perché molte informazioni sul programma nucleare non sono pubbliche.

Se vuole superare l’impasse militare, Netanyahu deve riuscire a coinvolgere il presidente statunitense Donald Trump. Per distruggere il sito nucleare di Fordo gli aerei israeliani hanno bisogno delle bombe bunker-buster più potenti, cioè quelle capaci di penetrare attraverso spessi strati di roccia e cemento armato e poi esplodere in profondità, ma soltanto gli Stati Uniti hanno a disposizione quelle bombe e non le hanno fornite a Israele, per adesso.

Come scrive il commentatore Peter Wildeford in una sua analisi intitolata “The Fordow Paradox” (“Il paradosso di Fordo”): gli Stati Uniti possono distruggere Fordo, mentre Israele non può; Israele vuole che Fordo venga distrutta, mentre gli Stati Uniti per adesso no. Senza quelle bombe cosiddette bunker-buster agli israeliani resterebbe la possibilità di mandare un contingente di soldati a Fordo per fare irruzione nel sito nucleare, ma sembra remota per adesso.

Benjamin Netanyahu e Donald Trump nello Studio ovale, lo scorso aprile (Pool via AP)

Considerata tutta questa situazione, la «guerra preventiva di autodifesa», come la definisce il governo di Israele, potrebbe trasformarsi in una sequenza di bombardamenti israeliani a tempo indefinito, su un paese lontano e controllato da un regime inferocito per le uccisioni e per l’umiliazione militare. L’Iran è grande cinque volte l’Italia e ha 90 milioni di abitanti, non si può controllare soltanto con una campagna aerea. Del resto l’esercito israeliano non ci è riuscito di recente contro Hamas nella Striscia di Gaza e contro Hezbollah nel sud del Libano, territori molto più piccoli, e ha dovuto mandare truppe di terra.

Per questi motivi, Netanyahu vorrebbe che succedessero alcune cose. Una è che gli Stati Uniti entrassero in guerra a fianco degli israeliani e «finissero il lavoro», come scrive il quotidiano israeliano Haaretz: ma non è scontato che il presidente Trump lo farà davvero. Gli Stati Uniti potrebbero colpire i siti della ricerca nucleare con la loro potenza di fuoco superiore. Trump però è stato eletto anche perché in campagna elettorale aveva promesso agli americani una politica isolazionista, raccontando che con lui al governo gli Stati Uniti si sarebbero fatti coinvolgere molto meno da quello che succede nel mondo. Entrare in una guerra cominciata da Israele non piacerebbe a molti dei suoi stessi elettori.

Il presidente statunitense però ieri ha spiegato che «America First», il motto degli isolazionisti in politica estera che ha fatto suo in campagna elettorale, vuol dire anche un Iran senza bomba atomica, come se volesse rispondere in anticipo alle critiche che riceverebbe se decidesse di intervenire.

L’Iran teme questa possibilità e sta mandando messaggi agli Stati Uniti attraverso intermediari, per dire di essere pronto a riprendere i negoziati sul nucleare in cambio dell’assicurazione da parte dell’amministrazione Trump che gli Stati Uniti non entreranno in guerra al fianco di Israele, ha scritto ieri il Wall Street Journal. È un ripensamento notevole, perché gli iraniani avevano annunciato due giorni fa la fine dei negoziati.

In Iran si sospetta, non senza ragioni solide, che gli Stati Uniti abbiano favorito l’attacco a sorpresa di Israele di venerdì 13 giugno. L’incontro tra negoziatori iraniani e statunitensi fissato per domenica 15 giugno potrebbe essere stato un grande inganno per convincere gli iraniani che Israele non avrebbe attaccato, almeno non fino a quella data. Invece Israele ha attaccato e nella prima ondata di bombardamenti ha ucciso molti capi militari dell’Iran che dormivano come d’abitudine nelle loro case e non si erano nascosti in qualche bunker segreto, a dispetto delle numerose voci che circolavano su un imminente attacco israeliano. Ma agli iraniani non restano più altre opzioni: riprendere i negoziati potrebbe interrompere i bombardamenti israeliani.

L’ayatollah Ali Khamenei nel 2024 (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)

Un’altra cosa che Netanyahu vorrebbe che succedesse è che ci fosse una sollevazione di massa da parte degli iraniani contro il regime dell’ayatollah Ali Khamenei, la massima autorità politica e religiosa dell’Iran. Nell’intervista fatta domenica sulla rete tv statunitense Fox News, il giornalista Bret Baier gli ha chiesto: «Un regime change [ossia il cambio di regime in Iran] è parte di questo sforzo?». Netanyahu ha risposto: «Potrebbe essere certamente il risultato, perché il regime iraniano è molto debole».

Esiste la possibilità che una parte degli iraniani si ribelli al regime, almeno in teoria. Le minoranze sistematicamente maltrattate, come i curdi, i beluci e i sunniti del Khuzestan (è una generalizzazione, ma aiuta a capire), potrebbero sfruttare la situazione e tentare di sollevarsi, come anche i dissidenti che da decenni devono sopportare la repressione ottusa e crudele del regime. Ma qui si entra nel campo delle ipotesi. Le bombe e le frasi di minaccia che arrivano da Israele potrebbero invece sortire l’effetto opposto e compattare la popolazione dell’Iran. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha detto per esempio che «gli abitanti di Teheran pagheranno il prezzo per gli attacchi missilistici iraniani». Poi ha ritrattato e ha detto che si riferiva al fatto che dovranno abbandonare le loro case.