Altre storie notevoli di unici superstiti in incidenti aerei
Per quanto raro, il caso del sopravvissuto al disastro del volo Air India è il più recente di una serie piuttosto incredibile

Giovedì un cittadino britannico, Vishwash Kumar Ramesh, in poche ore è diventato famoso in tutto il mondo per essere sopravvissuto, lui soltanto, a un disastro aereo in cui sono morte almeno 270 persone ad Ahmedabad, in India. Il suo volo, su un Boeing 787 della compagnia Air India, era partito da pochi secondi ed era diretto a Londra, nel Regno Unito. «È stato un uomo molto, molto sfortunato a salire su quell’aereo, ma anche molto, molto fortunato a uscirne», ha detto un esperto di sicurezza dei trasporti consultato dal Guardian.
Per quanto eccezionale e apparentemente inspiegabile, il caso di Ramesh non è l’unico nella storia dell’aviazione civile. È però il più incredibile, considerato che tra i casi noti lui è il sopravvissuto all’incidente aereo con il maggior numero di morti: 279 persone, incluse 38 che non erano sull’aereo, da una stima provvisoria.
La sua storia ha fatto tornare in mente il film del 2000 Unbreakable, diretto da M. Night Shyamalan, in cui il protagonista sopravvive a un disastro ferroviario perché indistruttibile a sua insaputa. Nella realtà storie del genere sono rare ma capitano, e lasciano spesso traumi psicologici difficili da superare per chi sopravvive, come raccontarono alcuni superstiti di questo tipo nel documentario del 2013 Sole Survivor, prodotto da CNN.
Alcune di loro erano troppo piccole per ricordarlo, tra cui Cecelia Cichan, che aveva 4 anni quando la sera del 16 agosto 1987 sopravvisse alla morte dei suoi genitori, di suo fratello e di altre 153 persone in un incidente aereo a Detroit, negli Stati Uniti. L’aereo su cui viaggiava, un MD-80 della compagnia Northwest Airlines diretto a Phoenix, precipitò poco dopo essere decollato dall’aeroporto, come nel caso del recente disastro in India. Raggiunse un’altezza di poco meno di 15 metri, prima di cominciare a oscillare ed entrare in stallo: colpì un palo della luce e poi un edificio fuori dalla pista, si capovolse e si schiantò su una strada vicina, a Romulus, dove prese fuoco. Morirono anche due persone che erano nelle macchine coinvolte nell’incidente.

Un gruppo di poliziotti e altre persone intorno ai resti dell’aereo MD-80 della Northwest Airlines precipitato due giorni prima, vicino al cavalcavia di una strada di Romulus, in Michigan, il 18 agosto 1987 (AP Photo/Amy Sancetta)
Le indagini successive stabilirono che a provocare il disastro era stato un errore umano dei piloti aggravato da un malfunzionamento elettrico, durante la configurazione delle ali in fase di decollo. Cichan e la sua famiglia stavano tornando a casa loro a Tempe, in Arizona, dopo aver visitato dei parenti. Lei fu ritrovata ancora legata al sedile e molto distante dai suoi genitori, con gravi ustioni e fratture in diverse parti del corpo. Il suo caso attirò molte attenzioni mediatiche, che portarono a una raccolta fondi.
Nel documentario raccontò che, crescendo con i suoi zii, si chiese a lungo perché fosse sopravvissuta: «ricordo di aver provato rabbia e senso di colpa. Perché io? Perché mio fratello no?». Ha un tatuaggio di un aereo sul polso sinistro: «come promemoria delle mie origini», disse. Tra i suoi amici c’è anche il capitano dei vigili del fuoco intervenuti la sera dell’incidente, che cercò poi da adulta e con il quale rimase in contatto.
– Leggi anche: La tragedia e il “miracolo” delle Ande
Cichan non è la più giovane unica superstite: un cittadino thailandese, Chanayuth Nim-anong, aveva appena 14 mesi quando sopravvisse a un incidente aereo in cui morirono 65 persone, in Cambogia, il 3 settembre 1997. Il Tupolev 134 della Vietnam Airlines su cui viaggiava era partito dall’aeroporto di Tan Son Nhat, in Vietnam: si schiantò durante l’atterraggio, finendo circa 800 metri fuori dalla pista dell’aeroporto di Phnom Penh, per un errore di valutazione del pilota in condizioni di scarsa visibilità. Un altro bambino, un vietnamita di 4 anni, arrivò vivo in ospedale ma morì per le gravi ferite alla testa che aveva subìto nell’incidente.
Mediamente i superstiti unici di disastri aerei sono piuttosto giovani. Aveva 12 anni, per esempio, un’altra protagonista del documentario di CNN: Bahia Bakari, una cittadina francese sopravvissuta il 30 giugno 2009 a un grave incidente nell’arcipelago delle Comore, tra il Madagascar e il Mozambico. Morirono 152 persone, tutte quelle a bordo fuorché lei, che all’epoca sapeva a malapena nuotare. Riuscì a salvarsi rimanendo aggrappata in mare per circa nove ore a uno dei rottami dell’aereo, un Airbus A310-324 della compagnia Yemenia, partito da Sana’a, nello Yemen, e precipitato quando era vicino alla sua destinazione.
Le indagini accertarono che l’aereo era entrato in stallo a causa di diversi errori dei piloti, che non avevano reagito in modo appropriato a condizioni di volo rese più difficili da raffiche di vento molto forti. Le ricerche dell’aereo non furono semplici, perché le Comore avevano capacità limitate di soccorso in mare aperto. Alle operazioni parteciparono aerei militari francesi e imbarcazioni provenienti dalle vicine isole di Réunion e Mayotte.

Un gruppo di soccorritori si prepara per perlustrare la zona dopo l’incidente del volo Yemenia 626, in una spiaggia di Moroni, nelle Comore, il 1° luglio 2009 (AP/Sayyid Azim)
Bakari, che viaggiava con sua madre per passare insieme una vacanza alle Comore, fu trovata viva al largo della città di Mitsamiouli da una barca di pescatori locali, senza giubbotto di salvataggio, tra i rottami e i corpi di persone morte nell’incidente. Era in ipotermia, dopo aver trascorso la notte alla deriva: fu soccorsa in un ospedale locale e poi trasportata con un jet privato del governo francese a Parigi, dove fu ricoverata con fratture al bacino e alla clavicola, ustioni alle ginocchia e tagli superficiali al volto. Fu dimessa tre settimane dopo l’incidente.
– Ascolta anche: In qualche modo sono sopravvissuto
Una storia nota di questo genere, peraltro oggetto del documentario del 1998 Ali di speranza, diretto da Werner Herzog, risale alla vigilia di Natale del 1971. Juliane Koepcke, una cittadina tedesca di origini peruviane di 17 anni, era salita con sua madre su un aereo diretto da Lima a Pucallpa, un volo interno in Perù. Era un vecchio Lockheed L-188 Electra della compagnia peruviana LANSA, con 92 persone a bordo, in ritardo di sette ore: il padre di Koepcke aspettava moglie e figlia a Pucallpa, dove però l’aereo non arrivò mai.
Per una scelta affrettata e imprudente dei piloti l’aereo aveva attraversato un’area con temporali e forti turbolenze. Le sollecitazioni durante il volo, oltre a un fulmine che aveva colpito l’ala destra e provocato un incendio, avevano portato a un cedimento strutturale dell’aereo, infine precipitato in una zona sperduta della foresta amazzonica peruviana. Non è chiaro come Koepcke sopravvisse all’incidente, ma l’ipotesi più accreditata è che sia stata sbalzata fuori prima che l’aereo si schiantasse, e che sia sopravvissuta a una caduta libera da una grande altezza. «Non è stata lei a lasciare l’aereo, è stato l’aereo a lasciare lei», commenta Herzog nel documentario.
Raccontò di essere precipitata tra gli alberi, di aver perso coscienza nell’impatto e di essersi risvegliata con le cinture ancora allacciate, da sola in una fila di tre sedili. Aveva una frattura a una clavicola, un taglio al braccio destro, una ferita a un occhio e altri tagli alle gambe. Riuscì comunque a camminare per dieci giorni e a incontrare infine un gruppo di boscaioli che la soccorse. In seguito si scoprì che inizialmente altre 14 persone erano sopravvissute al disastro, inclusa la madre di Koepcke, ma erano morte in attesa dei soccorsi.

Juliane Koepcke all’aeroporto di Francoforte, in Germania, il 7 aprile 1972 (AP Photo)
Figlia di due stimati zoologi, per un anno e mezzo prima dell’incidente Koepcke aveva vissuto insieme a loro in un’isolata stazione di ricerca che avevano fondato in un’area protetta in Perù, alle pendici di una catena montuosa a est delle Ande. Studiò anche lei zoologia, da grande, specializzandosi nei mammiferi. In un’intervista del 2012 raccontò di avere pianto e pensato per anni a sua madre e alle cose importanti di cui non aveva avuto l’opportunità di parlare con lei.
Disse anche di non apprezzare granché il panettone: alcuni mollicci e inzuppati, che aveva recuperato sparsi tra i detriti dell’aereo dopo il disastro, furono parte della sua alimentazione nei giorni successivi in cui camminò nella foresta.