Israele sta espandendo la sua occupazione della Striscia di Gaza
Gli attacchi contro le principali città si fanno sempre più intensi e la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno

Nella notte tra venerdì e sabato Israele ha attaccato diverse città lungo tutta la Striscia di Gaza: Gaza e Beit Lahia, a nord, Deir el Balah, al centro, e Rafah e Khan Yunis, a sud. Secondo fonti di Al Jazeera l’esercito israeliano ha ucciso più di 100 persone palestinesi. Tra le altre cose ha colpito persone che dormivano nelle loro tende nel campo per sfollati vicino all’ospedale Martiri di Al Aqsa, a Deir el Balah, uno dei pochi che ancora riescono a offrire un minimo di assistenza ai feriti. L’esercito israeliano ha anche detto di aver occupato diverse nuove «aree strategiche», e sta avanzando via terra verso la città di Deir el Balah, una delle poche in cui le truppe di terra non sono ancora entrate dall’inizio della guerra.
Domenica l’esercito ha poi annunciato di avere avviato una «ampia operazione di terra» in tutta la Striscia di Gaza, proseguendo il suo piano di occuparne militarmente tutto il territorio a tempo indeterminato. Negli ultimi giorni Israele ha bombardato ospedali, scuole, moschee e rifugi umanitari.
Nei piani di Israele, la popolazione palestinese dovrebbe essere costretta per l’ennesima volta a spostarsi nella parte meridionale della Striscia, oppure andarsene definitivamente. Non è però chiaro dove dovrebbe andare, dal momento che tutta la Striscia è assediata e la popolazione palestinese è già stata costretta a spostarsi varie volte.
Sabato Israele e Hamas hanno confermato la ripresa dei negoziati indiretti mediati da Stati Uniti, Qatar ed Egitto a Doha, in Qatar, per porre fine alla guerra. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha attribuito la decisione di Hamas di ritornare ai negoziati, dopo mesi in cui le iniziative diplomatiche erano state praticamente nulle, proprio alla nuova offensiva israeliana nella Striscia. Nel corso del conflitto le trattative precedenti hanno portato a risultati limitati e fragili.
Venerdì l’esercito israeliano ha emanato diversi nuovi ordini di evacuazione (quelli cioè con cui intima alla popolazione palestinese di lasciare alcuni territori, citando motivi di sicurezza e non offrendo quasi mai una valida alternativa). Non solo a nord, ma anche a sud: per esempio ha ordinato alle persone di lasciare Bani Suheila, una cittadina meridionale da cui sostiene siano partiti degli attacchi con dei razzi.

Il campo per sfollati nei pressi dell’ospedale Martiri di Al Aqsa, distrutto dagli attacchi aerei israeliani di questa notte, 17 maggio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Sin dall’inizio dell’invasione, nell’ottobre del 2023, Israele aveva occupato quella che aveva chiamato una “zona cuscinetto”, un’area lungo il confine che doveva servire, nelle intenzioni dichiarate dall’esercito, a proteggere Israele da eventuali attacchi. Quest’area inizialmente era larga circa 300 metri, ma nel corso della guerra si è espansa notevolmente, fino a inglobare alcune cittadine e raggiungere la periferia di due importanti città: Gaza, a nord, e Rafah, a sud.
La stessa cosa è avvenuta con il corridoio Netzarim, una linea di circa 6 chilometri che divide il nord della Striscia di Gaza dal resto del territorio: inizialmente era ampia 500 metri, ma col tempo è stata allargata fino a raggiungere gli 8 chilometri. Tutto quello che c’era in quell’area (case, edifici, strade) è stato distrutto, e l’esercito ha costruito delle strutture semi-permanenti.
A partire dallo scorso 18 marzo, con la fine del cessate il fuoco con Hamas, l’esercito ha significativamente aumentato l’occupazione, allargando la “zona cuscinetto” (un termine ormai improprio) e aumentando i territori sottoposti a ordine di evacuazione. Lo scorso 5 maggio aveva poi ufficializzato di voler occupare il territorio della Striscia, con un piano approvato all’unanimità dal gabinetto di sicurezza.
Intanto la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza ha raggiunto uno degli stadi peggiori dall’inizio della guerra. La protezione civile palestinese dice da giorni che l’intensità degli attacchi degli ultimi giorni non permette ai propri operatori di soccorrere le persone finite sotto le macerie. Da inizio marzo, poi, Israele ha bloccato l’ingresso di acqua potabile, cibo e medicine all’interno della Striscia, ed è diventato difficilissimo trovarle. Le principali organizzazioni che si occupano di fornire cibo nella Striscia, il World Food Programme dell’ONU e l’ong World Central Kitchen, dicono di aver finito le scorte.

La popolazione palestinese costretta in fila per ore per ottenere una scarsa razione di cibo, Khan Yunis, 16 maggio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
La scorsa settimana gli Stati Uniti avevano presentato un piano per distribuire gli aiuti a Gaza deciso insieme a Israele, che però era stato molto contestato dalle Nazioni Unite e da diverse ong perché è incompleto e secondo molti inapplicabile. Prevede che la distribuzione riprenda attraverso organizzazioni private, con nuovi spostamenti di massa per la popolazione palestinese, le cui condizioni peggiorano di giorno in giorno.
Venerdì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva commentato la situazione a Gaza dicendo: «Stiamo guardando Gaza. E ce ne occuperemo. Molte persone stanno morendo di fame. Stanno succedendo molte cose brutte»: sebbene non dica nulla di nuovo o concreto, era stata un’affermazione molto commentata perché era stata interpretata come parte di una serie di segnali di allontanamento che Trump sta lanciando al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a cui non sembra più disposto a dare sostegno incondizionato per via della tendenza di Netanyahu a sabotare ogni tentativo negoziale statunitense di ottenere un cessate il fuoco a Gaza.
A gennaio i negoziati mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar erano faticosamente riusciti a produrre un accordo per un cessate il fuoco. A marzo però quell’accordo era stato di fatto rotto da Israele, che aveva ripreso l’invasione della Striscia e imposto ad Hamas condizioni molto sfavorevoli che il gruppo palestinese non intendeva accettare: fra le altre cose il rilascio di metà degli ostaggi nella Striscia di Gaza in cambio di una tregua di 40 giorni, senza prospettive concrete di trattative per un’interruzione duratura delle ostilità. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che le proposte israeliane per una tregua sono sostanzialmente invariate, ma Hamas ha ribadito di non voler accettare tregue temporanee che non prevedano poi un cessate il fuoco più stabile.
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