Il piano degli Stati Uniti per distribuire aiuti a Gaza non è una soluzione
L'ONU lo ha definito «una deliberata opera di distrazione», mentre le condizioni della popolazione palestinese peggiorano giorno dopo giorno

La scorsa settimana l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Mike Huckabee, ha presentato un piano per far riprendere la distribuzione di cibo e medicine all’interno della Striscia di Gaza, bloccata da Israele dal 2 marzo. È un piano deciso proprio da Stati Uniti e Israele, molto contestato, incompleto e secondo molti inapplicabile: prevede che la distribuzione riprenda attraverso organizzazioni private, con nuovi spostamenti di massa per la popolazione palestinese. Martedì Tom Fletcher, che è a capo della sezione aiuti umanitari dell’ONU, ha definito il progetto «una deliberata opera di distrazione».

Una cucina comunitaria nel sud della Striscia (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Il progetto prevede la creazione di un ente privato, la Fondazione umanitaria per Gaza, che dovrebbe occuparsi della distribuzione degli aiuti, sotto la protezione di contractor statunitensi (cioè compagnie militari private) e dell’esercito israeliano, che però resterebbe fuori dalla aree di distribuzione e quindi non interagirebbe con la popolazione palestinese. Secondo il piano, a svolgere il lavoro dovrebbero essere operatori umanitari, anche se non è chiaro di quali organizzazioni: è stato però escluso il coinvolgimento degli operatori delle Nazioni Unite e dell’UNRWA (agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi molto contestata da Israele).
Non sono chiari nemmeno i tempi in cui dovrebbe essere attuato. Da tempo i quasi due milioni di palestinesi della Striscia sono di fatto assediati, oltre che bombardati quotidianamente, e le loro condizioni stanno peggiorando giorno dopo giorno. Le scorte del Programma alimentare mondiale (WFP) sono esaurite, così come quelle dell’UNRWA e delle ong che ancora operano nella Striscia.
All’esterno dei confini della Striscia di Gaza ci sono 116mila tonnellate di aiuti, ma Israele finora non ha ceduto alle pressioni internazionali per farle entrare, sostenendo che il blocco sia uno strumento di pressione su Hamas. Senza fornire prove tangibili, Israele sostiene che Hamas approfitti degli aiuti per rinsaldare il suo controllo sulla Striscia e sulla popolazione: è uno dei modi con cui prova a giustificare l’assedio, che è una netta violazione del diritto internazionale umanitario.
Nei progetti di Israele e Stati Uniti le aree di distribuzione sarebbero complessivamente quattro: ognuna dovrebbe servire 300mila persone, complessivamente potrebbero raggiungere 1,2 milioni di palestinesi, il 60 per cento del totale. I palestinesi dovrebbero andare una volta la settimana al punto di distribuzione, dove otterrebbero un pacco sufficiente per una settimana. Non è chiaro dove sarebbero allestite queste aree, ma probabilmente tutte nella zona meridionale della Striscia, seguendo il progetto dell’esercito israeliano di trasferire nuovamente tutta la popolazione palestinese, stavolta verso sud, per procedere a un’occupazione delle altre aree.

(AP Photo/Jehad Alshrafi)
Le Nazioni Unite e varie ong hanno mosso numerose critiche a questa impostazione: l’ONU ha comunicato che prima dell’esaurimento delle scorte i punti di distribuzione erano 400 e che ridurli a 4 priverebbe di cibo e medicine chi ha meno possibilità di muoversi e costringerebbe gli altri a concentrarsi nelle stesse zone o fare lunghi viaggi. Il piano poi esclude in partenza il 40 per cento della popolazione.
Inoltre per stessa ammissione di Huckabee molti dettagli organizzativi devono ancora essere definiti. Servirebbero almeno due settimane per approntare i primi punti di distribuzione (ma è una stima considerata molto ottimista) e un periodo più lungo per renderli operativi per il numero previsto di palestinesi. Gli operatori che fino a oggi hanno distribuito beni di prima necessità nella Striscia sottolineano che sono tempi troppo lunghi per le terribili condizioni attuali della popolazione.
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