Leone XIV troverà una Curia con molti più laici
È l’effetto più visibile della riforma di papa Francesco, che ha cambiato parecchio il governo della Chiesa per migliorarne i conti e non solo
di Francesco Gaeta

Papa Leone XIV troverà una Curia romana profondamente diversa da quella lasciata da Benedetto XVI nel 2013. La riforma voluta e realizzata da Francesco con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, firmata nel 2022, ha cambiato parecchio il governo centrale della Chiesa cattolica e ha portato alle posizioni di maggiore rilievo alcuni laici, e per la prima volta alcune donne. L’organigramma prevede attualmente suor Simona Brambilla al vertice del Dicastero per la Vita consacrata, l’ufficio che si occupa degli ordini religiosi, e suor Raffaella Petrini presidente del Governatorato vaticano, l’ente che si occupa dei servizi che il Vaticano gestisce per i dipendenti.
La Curia romana è, in sostanza, l’apparato amministrativo e di governo attraverso cui il papa governa la Chiesa. Oggi si articola in 16 dicasteri – l’equivalente dei ministeri – affiancati da organismi economici e giuridici e dalla Segreteria di Stato, che cura i rapporti diplomatici. Ci lavorano circa 2mila persone, su un totale di 5mila dipendenti della Santa Sede. La riforma ha snellito la mappa degli uffici e portato alcune modifiche anche nelle loro gerarchie.
Il percorso però non è stato privo di ostacoli, al punto che negli incontri che hanno preceduto il conclave – quelle che si chiamano Congregazioni generali – qualche cardinale ha parlato di un riassetto “disordinato”. Sono passati circa tre anni dalla riforma di papa Francesco, e probabilmente servirà tempo per assorbirne l’impatto.
Francesco aveva ereditato una Curia logorata da anni di scandali finanziari, lotte intestine e opacità gestionale. Il Vatileaks, le dimissioni inaspettate di Benedetto XVI e le tensioni tra fazioni avevano messo in evidenza un sistema rigido, poco trasparente e spesso autoreferenziale, scosso anche da scandali finanziari. In un celebre discorso del 2014 Bergoglio elencò le «15 malattie spirituali» della Curia, tra cui «l’Alzheimer spirituale», il «terrorismo delle chiacchiere» e la «schizofrenia esistenziale» di chi separa il proprio ruolo dalla vita concreta del Vangelo.

Fotografie di papa Francesco e papa Leone XIV in Vaticano (Christopher Furlong/Getty Images)
In un’intervista a Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica, fu ancora più diretto: «La corte è la lebbra del papato». In un’altra occasione riassunse la cosa in una battuta per lui almeno piuttosto amara: «Fare le riforme a Roma è come pulire la sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti».
Per riuscirci Bergoglio creò nel 2014 un Consiglio dei cardinali, noto come C9. Nelle intenzioni dichiarate, dare un’impronta collegiale avrebbe attenuato le resistenze interne. Il C9 era infatti composto da cardinali provenienti da diversi continenti e aveva il compito di consigliare il papa sulla riorganizzazione. L’esito è stato un processo segnato da incontri periodici e bozze riscritte più volte, che ha reso l’azione condivisa ma molto lenta: il testo definitivo ha richiesto oltre sei anni di lavoro.
L’aspetto più innovativo – e più discusso – della riforma di Bergoglio è la possibilità per un pontefice di nominare laici e donne ai vertici della Curia. Presentando il documento, il Vaticano ha affermato che «la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione ricevuta dal Papa»: per avere ruoli di governo nella Chiesa non bisogna essere sacerdoti, insomma.
Questa formula ha consentito, ad esempio, la nomina del giornalista Paolo Ruffini a prefetto per la Comunicazione, avvenuta addirittura prima della riforma stessa. Non tutti però hanno accolto favorevolmente questa apertura: qualcuno ha richiamato il Codice di diritto canonico, secondo cui solo i chierici possono esercitare la potestà di governo. Il canonista Gianfranco Ghirlanda, che ha seguito l’iter del documento, ha chiarito che l’autorità non deriva dal grado gerarchico, ma dalla delega ricevuta. In altre parole: chi ha un ruolo di governo lo fa in nome del papa che lo ha scelto, cosa avvenuta indipendentemente da criteri di qualifica o di genere.
Oggi nei ruoli di vertice nella Curia ci sono anche alcune donne: oltre Brambilla e Petrini, ci sono suor Alessandra Smerilli come segretaria al Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, l’ufficio che si occupa di diritti umani e salute, e suor Nathalie Becquart, la prima donna sottosegretaria al Sinodo dei vescovi. A loro si aggiungono tre donne — due religiose e una laica — nominate al Dicastero per i Vescovi, l’organismo che partecipa alla selezione dei nuovi vescovi nel mondo. «Il loro punto di vista è un arricchimento», disse all’epoca delle nomine il cardinale che ha guidato il Dicastero, Robert Francis Prevost, che oggi è papa Leone XIV: «Introduce un’altra prospettiva. Non è un gesto simbolico, è partecipazione vera, reale e significativa».
Un secondo aspetto della riforma è stato l’accorpamento di uffici prima separati e una nuova scala gerarchica tra di essi. Il segnale più forte è stato lo spostamento al primo posto in termini di rilevanza del Dicastero per l’Evangelizzazione, che papa Francesco ha voluto guidare personalmente, con l’aiuto di due pro-prefetti. Nelle intenzioni di Bergoglio è stata una scelta simbolica: al centro della Curia non c’è più il controllo dottrinale – centrale nel pontificato di Benedetto XVI – ma la missione. La “Chiesa in uscita”, espressione ricorrente nel magistero di Francesco, indica una Chiesa meno chiusa su sé stessa. È in questa logica che si inserisce il rafforzamento della sezione della Segreteria di Stato, l’ufficio diplomatico del Vaticano, nella sezione che si occupa delle nunziature e delle relazioni con le Chiese locali: dovrebbe funzionare come una specie di rete di antenne sui territori per ascoltare i bisogni che arrivano dalle periferie.
Nella ristrutturazione c’è un terzo punto: riguarda i minori, e dunque il modo in cui il Vaticano sta faticosamente provando a organizzarsi per dare seguito alle denunce di abusi da parte di sacerdoti ed essere più efficace nel perseguire gli autori delle molestie. La Commissione per la Tutela dei Minori, istituita nel 2014 e che fino al 2022 aveva un carattere un po’ periferico negli assetti interni, è stata integrata nel Dicastero per la Dottrina della Fede, con l’idea che questo possa rafforzare la risposta istituzionale agli abusi. La Commissione, presieduta dal cardinale Sean O’Malley e composta da membri in gran parte laici (attualmente 10 su 17), conserva una certa autonomia, ma ora opera all’interno di una struttura vaticana con poteri esecutivi.

(Simone Risoluti – Vatican Media via Vatican Pool/Getty Images)
La riforma della Curia è stata probabilmente la cosa più complessa, più simbolicamente rilevante e anche più contrastata del pontificato che si è appena concluso. Ha dovuto tenere conto tra l’altro dello stato delle finanze vaticane, che da anni è piuttosto disastrato per effetto di investimenti per così dire azzardati. Anche per questo Francesco aveva creato la Segreteria per l’Economia, che ha potere di veto sui bilanci dei dicasteri ed è guidata da un laico, lo spagnolo Maximino Caballero Ledo. Francesco aveva anche tolto l’autonomia di spesa alla Segreteria di Stato. L’obiettivo era ridimensionarne il peso politico, che nell’ultima fase dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI era considerevolmente cresciuto, con effetti negativi sulle finanze del Vaticano.
Secondo Antonio Spadaro, gesuita che è stato uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco, la necessità di fare efficienza nei conti è stata secondaria in tutta questa opera di riforma. «La ristrutturazione e l’accorpamento dei vari dicasteri risponde a una logica missionaria più che di sostenibilità economica», dice. «L’intento di Francesco era rendere la Curia romana meno autoreferenziale e ripiegata su sé stessa. Voleva una Curia che fosse di aiuto alla Chiesa e non al contrario».
Il fatto che il nuovo papa Leone XIV abbia avuto un’esperienza nella Curia e si consideri “un missionario” farebbe pensare che potrebbe consolidare la ristrutturazione avviata dal suo predecessore. Come è prassi all’inizio di un pontificato, Leone XIV ha per ora confermato tutte le cariche: per capire come intende procedere sulla Curia basterà aspettare conferme e revoche.