Nelle regioni il centrodestra si fa i dispetti
Dal Veneto alla Basilicata, passando per Lazio e Trentino, ci sono passaggi da un partito all'altro, minacce e ripicche in vista delle prossime elezioni locali

Lunedì due consiglieri regionali veneti hanno annunciato il loro passaggio dalla Lega a Fratelli d’Italia. Pochi giorni prima due esponenti di Fratelli d’Italia nel consiglio provinciale trentino avevano comunicato la loro uscita da Fratelli d’Italia dopo aver votato, in dissenso dal loro gruppo, a favore di un disegno di legge voluto dalla Lega. Sono solo gli ultimi sommovimenti all’interno del centrodestra: una serie di atti ostili, con dispetti e ripicche, legati in parte a specifiche ragioni territoriali, e in parte a questioni più generali che hanno a che vedere con i rapporti di forza dei tre partiti al governo del paese.
Il 21 marzo il deputato leghista barese Davide Bellomo ha ufficializzato il suo passaggio a Forza Italia, denunciando la deriva estremista del partito. I suoi malumori nei confronti dei dirigenti pugliesi della Lega, e in particolare verso il coordinatore Roberto Marti, erano noti, e già in passato si era vociferato di una sua possibile rottura. Però i tempi sono stati invece imprevisti, perché è successo tutto a pochi giorni dal congresso federale della Lega del 5 e 6 aprile, appuntamento al quale il leader Matteo Salvini, pur certo della rielezione, voleva arrivare senza alcun inciampo mediatico.
A loro volta, però, i dirigenti pugliesi di Forza Italia lamentavano uno sgarbo subito dai leghisti poche settimane prima: il 20 febbraio Napoleone Cera, importante consigliere regionale di Forza Italia, dopo mesi di grosse tensioni con il deputato salentino Mauro D’Attis, era passato nella Lega. Salvini ne aveva dato notizia con grande enfasi, e la cosa aveva infastidito il leader di Forza Italia Antonio Tajani.
Non è così sorprendente che scaramucce apparentemente trascurabili in giro per l’Italia abbiano ricadute a Roma, e che dalle cose “romane” siano a loro volta alimentate. Quando Salvini si era sentito rimproverare da Meloni per la sua eccessiva tendenza a creare scompiglio nel governo con iniziative di politica estera non concordate, mesi fa, aveva risposto che a inaugurare le ostilità tra alleati era stata Forza Italia. E nel farlo, aveva citato proprio due fatti locali.
Uno è l’operazione con cui Tajani nell’aprile del 2024 convinse il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo, un partito locale siciliano, a rinnegare un accordo con la Lega e ad allearsi con Tajani in vista delle elezioni europee di giugno, contribuendo all’ottimo risultato di Forza Italia in quella regione. L’altro è la nascita del comitato Forza Nord, fondato nel dicembre scorso dall’europarlamentare Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e a lungo dirigente di rilievo della Lega prima di passare in Forza Italia, dove ora cerca di attrarre elettori e amministratori leghisti delusi da Salvini, e lo fa polemizzando con una certa costanza.
Del resto proprio il Veneto è uno dei luoghi dove la conflittualità tra i partiti del centrodestra è maggiore. Tutto ruota intorno alle rivendicazioni della Lega per mantenere la guida della regione con un proprio esponente, anche a dispetto del fatto che lì Fratelli d’Italia dal 2022 è di gran lunga il partito più votato. In particolare, la Lega ha cercato in ogni modo di consentire a Luca Zaia di ricandidarsi, nonostante sia in carica ininterrottamente dal 2010. Ed è proprio su questo tema che si sono sviluppati i dissidi di queste ultime settimane.
Il 9 aprile scorso la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge approvata dal Consiglio regionale campano per consentire di alzare a tre il limite attuale dei due mandati consecutivi da presidente: il presidente della Corte Giovanni Amoroso ha ribadito che il divieto a un terzo mandato vale anche per tutte le altre 14 regioni a statuto ordinario. Lo stesso giorno, con una coincidenza che però si è caricata di significato politico, il Consiglio provinciale del Trentino ha approvato un disegno di legge che invece ha introdotto la possibilità per un terzo mandato consecutivo, cosa di cui potrà giovarsi il leghista Maurizio Fugatti, che presiede la Provincia autonoma dal 2018, se effettivamente la Corte costituzionale riconoscerà questa facoltà alle regioni e alle province a statuto speciale (come lo è il Trentino).
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L’iniziativa trentina era del consigliere Mirko Bisesti, segretario locale della Lega, che per realizzarla aveva condotto con astuzia una trattativa riservata con due consiglieri di Fratelli d’Italia, Carlo Daldoss e Christian Girardi, che si erano mostrati bendisposti nonostante l’indicazione contraria del partito. Poche ore prima del voto in aula, la vicepresidente della giunta provinciale, Francesca Gerosa di Fratelli d’Italia, garantiva che al di là di quelle che lei liquidava come «chiacchiere di corridoio», non c’erano rischi di spaccatura: «Adesso arriveremo al voto e io sono sicura delle posizioni di Fratelli d’Italia». E proprio al momento del voto, Daldoss e Girardi hanno appoggiato la proposta della Lega, per poi annunciare la loro uscita dal partito. «Escludo che verranno nella Lega», spiega Bisesti. «Il punto qui non è legato a dinamiche di partito: è che qui a Trento l’autonomia è un valore, e se qualcuno pretende di dettare la linea da Roma inevitabilmente genera dei risentimenti», dice riferendosi a Fratelli d’Italia.

Luca Zaia e Maurizio Fugatti all’evento “One Year To Go”, a un anno dai Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, il 6 febbraio scorso a Milano (Claudio Furlan/Lapresse)
Pochi giorni dopo, in Veneto, c’è stato quello che a molti è parso un regolamento di conti. Due consiglieri regionali della Lega, il veronese Marco Andreoli e la trevigiana Silvia Rizzotto, hanno lasciato il partito per entrare in Fratelli d’Italia. Un senatore veneto di Fratelli d’Italia spiega che da tempo i due avevano manifestato l’intenzione di trasferirsi, ma che indubbiamente la faccenda trentina ha accelerato la cosa.
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Alla base di questa scelta ci sono proprio le prospettive elettorali per le prossime regionali, che probabilmente saranno a novembre: non potendosi ricandidare come presidente, Zaia potrà garantire meno seggi a chi finora lo ha sostenuto, ed è pertanto fisiologico che alcuni dei consiglieri leghisti attuali che non hanno garanzie di essere rieletti con la Lega cerchino di ottenere candidature sicure con Fratelli d’Italia. Anche per questo alcuni dei consiglieri leghisti da tempo non versano al partito la quota mensile prevista, di 1.200 euro, e questo ha peggiorato il loro rapporto col segretario regionale Alberto Stefani. La rottura, dunque, a un certo punto è diventata inevitabile, e potrebbero essercene altre: sono morosi anche i consiglieri Enrico Corsi e Simona Bisaglia.
Ma ci sono tensioni che si vanno accumulando un po’ ovunque, a destra, in giro per l’Italia: non sono il preludio di crisi nazionali, ma segnalano semmai la ricerca di nuovi equilibri di potere all’interno della coalizione in vista delle prossime elezioni. In Campania, per esempio, la possibile candidatura a presidente di regione dell’attuale viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, ha generato grossi malumori in Forza Italia, specie dopo la pubblicazione del libro Fratelli di chat di Giacomo Salvini, che contiene varie offese rivolte da Cirielli stesso – tra queste: «banditi ladri», nel 2019 – a Silvio Berlusconi e al suo partito.
In Basilicata a fine marzo Fratelli d’Italia è arrivata a invocare «una verifica di governo», ha insomma messo in discussione il proprio sostegno alla giunta guidata da Vito Bardi di Forza Italia, al termine di lunghe settimane di polemiche su vari argomenti, e con l’obiettivo di ottenere maggiore ascolto dal presidente. Nel Lazio questo stato di conflittualità latente è ormai costante: Forza Italia ha fatto per tutto il 2024 una battaglia contro la giunta di Fratelli d’Italia guidata da Francesco Rocca, fino a minacciare la crisi o il voto contrario sul bilancio della regione. Forza Italia rivendicava una vicepresidenza di giunta: alla fine si è accontentato di una delega all’Urbanistica assegnata a un suo assessore, e di alcune nomine nelle aziende sanitarie e in altre società partecipate dalla regione. Ma le tensioni non si sono placate.
Il 9 aprile scorso una mozione sul diritto all’abitare presentata dalla consigliera del PD Emanuela Droghei è stata infatti approvata a sorpresa: la maggioranza è stata sconfitta soprattutto per l’assenza di Forza Italia e di vari consiglieri di Fratelli d’Italia. Esponenti di Forza Italia liquidano l’incidente come un atto di sciatteria da parte della maggioranza, ribadendo che il voto aveva un valore essenzialmente simbolico; ma la presidente della commissione Urbanistica Laura Corrotti, ex leghista e ora in Fratelli d’Italia, si è molto risentita, rimproverando a voce alta, in aula e nei corridoi del Consiglio regionale, gli esponenti del suo partito che avevano disertato la seduta.



