Fino a quanto si può aspettare per una visita medica in Italia

Spesso le scadenze previste non vengono rispettate neanche nei casi più urgenti, che andrebbero smaltiti entro 72 ore

Un esame medico
(Jan Hetfleisch/Getty Images)
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Quando un medico o una medica prescrive un esame o una visita specialistica scrive sulla ricetta una lettera che indica quanto è urgente l’appuntamento: quelle più urgenti hanno una U, e devono essere fatte entro 72 ore; con la lettera B la priorità è breve e la visita può essere fatta entro 10 giorni, che diventano 30 per le visite differibili indicate con la lettera D e 120 quando sono programmate, con la lettera P. Le persone che negli ultimi anni hanno dovuto prenotare una visita o un esame sanno che spesso queste scadenze non vengono rispettate, anzi l’attesa può durare molti mesi o addirittura più di un anno.

Controllare il rispetto di queste scadenze dovrebbe essere semplice, o almeno così dice il ministero della Salute, in realtà in Italia la sanità è gestita dalle regioni che non diffondono questi dati con trasparenza. Alcune regioni non li pubblicano nemmeno, altre lo fanno solo parzialmente, in piattaforme online difficili da trovare, tenendo conto solo di periodi ristretti e soltanto per alcune strutture o senza considerare le classi di priorità.

Per una persona è quindi impossibile capire in poco tempo se c’è un problema specifico con una struttura sanitaria, e quindi avrebbe senso rivolgersi altrove, oppure se i tempi di attesa sono eccessivi ovunque. Spesso inoltre non è addirittura possibile farsi un’idea sui tempi perché le strutture sanitarie chiudono illegalmente le agende: significa che i portali di prenotazione non mettono a disposizione nessun appuntamento, nemmeno a distanza di mesi o anni. Il blocco delle liste di attesa è illegale perché elude il rispetto dei tempi e limita l’accesso alla sanità.

Le principali conseguenze del blocco delle prenotazioni sono due, entrambe gravi. La prima è che per ottenere una visita in tempi brevi molte persone sono costrette a rivolgersi alle strutture private, in servizio sanitario non convenzionato, quindi molto costoso. In privato ci sono più posti disponibili e soprattutto in tempi molto più rapidi perché cliniche e ospedali privati hanno organizzazioni più flessibili rispetto agli ospedali pubblici e possono concentrare l’attenzione e gli sforzi sulle prestazioni più remunerative.

La seconda conseguenza del blocco delle prenotazioni, ancora più grave, è che le persone che non possono permettersi di pagare una struttura privata sono costrette a rinunciare alle cure. Controllare in modo dettagliato i tempi di attesa è quindi un servizio molto importante, che tuttavia non viene garantito dal ministero: la scorsa estate era stata annunciata l’attivazione di una piattaforma nazionale per le liste d’attesa, ma non è ancora online. Negli anni le associazioni e i sindacati hanno provato a sopperire a questa mancanza con indagini e raccolta di segnalazioni.

Una delle campagne più efficienti e complete viene fatta ogni anno dall’associazione Cittadinanzattiva, che raccoglie dati sia a livello regionale che per visite, esami e classi di priorità. Tra il gennaio del 2023 e il maggio del 2024 l’associazione ha ricevuto poco più di 24mila segnalazioni da persone che avevano avuto problemi nel prenotare una visita. Il 31 per cento ha segnalato un blocco delle liste d’attesa, circa il 20 per cento ha lamentato difficoltà nel contattare i centri di prenotazione, il restante 50 per cento tempi ben oltre le scadenze.

Per come sono stati raccolti i dati, questa indagine mostra in modo chiaro quali siano i casi più estremi, in particolare i tempi massimi di attesa. Nei grafici che seguono vengono mostrati i tempi massimi di attesa nazionali per esami e visite, comparati con le scadenze previste dalle classi di priorità indicate dalla ricetta medica.

Dallo scorso dicembre Cittadinanzattiva ha promosso un’altra campagna per raccogliere segnalazioni, intitolata #stopattese. Finora sono state inviate segnalazioni soprattutto da Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto. L’associazione sottolinea che in almeno un caso su due il problema segnalato dai pazienti è stato preso in carico dall’azienda sanitaria e le visite o gli esami sono stati garantiti nel rispetto del codice di priorità.  

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