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  • Lunedì 24 marzo 2025

L’unica ginecologa che visita le pazienti nel Donbas

Oksana Kulabukhova lavora tutti i giorni vicino al fronte: racconta com’è cambiato il suo lavoro con la guerra e perché ha deciso di restare

di Daniele Raineri

La dottoressa Oksana Kulabukhova in una piccola clinica di Selidove, marzo 2025
(Daniele Raineri/il Post)
La dottoressa Oksana Kulabukhova in una piccola clinica di Selidove, marzo 2025 (Daniele Raineri/il Post)
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La dottoressa Oksana Kulabukhova, 49 anni, è l’unica ginecologa a visitare pazienti nel Donbas. La incontriamo in una clinica candida di Kryvorizhzhia, a una trentina di chilometri dalla città di Pokrovsk, dove si combatte una battaglia spaventosa tra ucraini e invasori russi. Lei è arrivata a bordo di un’ambulanza guidata da un volontario, che la porta quasi ogni giorno in un posto diverso. Sotto al camice bianco ha dolcevita e pantaloni rossi, ai piedi ha sneakers stampate con una moltitudine di gattini che indossano occhiali da sole ispirati a Choupette, la gatta dello stilista Karl Lagerfeld. Fuori dalla stanza ci sono cinque donne sedute su una panca. A intermittenza si sentono esplosioni lontane e meno lontane.

Il Donbas è una regione dell’est dell’Ucraina grande come Piemonte, Lombardia e Liguria messi assieme e la maggior parte dei bombardamenti russi si concentra lì. In tempo di pace aveva sei milioni di abitanti, ma da undici anni è tagliato in due dalla linea invalicabile del fronte e non c’è un dato aggiornato sulla popolazione.

Una parte del lavoro della dottoressa è girare per il Donbas e visitare le donne che non possono andare all’ospedale di Kramatorsk. In teoria nella regione ci sarebbe anche un altro ginecologo del servizio pubblico, come lei, ma è assente per motivi familiari. Ad aiutarla ci sono un’infermiera e un praticante.

Kulabukhova tiene un registro delle donne incinte da monitorare durante la gravidanza. Dice che ci sono da dieci a venti parti ogni settimana e che è un numero alto per una zona di guerra, «non sono mai meno di dieci». Ogni giorno ne aggiunge qualcuna al registro e in questo momento sono 180. Quando devono partorire devono andare all’ospedale di Slavyansk. Nessuna partorisce in casa e se non possono spostarsi una squadra con l’ambulanza esce a prenderle. Il trenta per cento delle donne sul suo registro sceglie di andare a partorire in altre regioni, più lontane dalla guerra.

Kulabukhova per motivi religiosi non si occupa di aborti che, spiega, vengono praticati in due ospedali della regione e sono tra i 15 e i 20 al mese.

La dottoressa dice che i parti vanno bene e tutto è normale, perché «la gravidanza e il parto sono un processo fisiologico, non patologico». A soffrire di più talvolta è la psiche delle donne, aggiunge. Ci sono casi di depressione e ansia. Era una cosa che succedeva anche prima della guerra, dice, ma potrebbe esserci stato un aumento a causa dello stress maggiore. Tuttavia non ha dati precisi. Quando succede, spiega, si fa intervenire lo psicologo: ogni ospedale ne ha uno e ci sono numeri da chiamare per parlare a distanza.

Un’altra cosa che dice di avere notato è l’aumento dei casi di endometriosi, una malattia cronica che colpisce circa una persona su dieci tra donne e ragazze. La malattia consiste nella presenza anomala di porzioni di endometrio, il tessuto che ricopre la cavità interna dell’utero e si sfalda durante le mestruazioni, in organi diversi dall’utero. In circa il 60 per cento dei casi l’endometriosi è dolorosa.

«Negli ultimi tre anni ne abbiamo diagnosticati molti, sebbene ce ne fossero parecchi anche prima. Anche in questo caso, è possibile che il motivo dell’aumento sia lo stress della guerra. Ma ci sono farmaci disponibili. Le pazienti li ordinano. Se hanno bisogno di un intervento chirurgico, c’è la possibilità di farlo. Queste pazienti non vengono abbandonate».

Una foto delle scarpe della dottoressa Oksana Kulabukhova

Le scarpe della dottoressa Oksana Kulabukhova (Daniele Raineri/il Post)

Secondo Kulabukhova, il problema più frequente per le sue pazienti è il problema comune a tutti nel Donbas: «sono tagliate fuori dalla civiltà e non hanno accesso alle cure specialistiche migliori». Spostarsi è diventato costoso e complicato a causa dell’invasione russa. A volte quando le ucraine nel Donbas riescono a farsi diagnosticare le malattie ormai sono in fase avanzata e sono più difficili da curare. E anche quando le pazienti conoscono la diagnosi, ci vuole più tempo per fornire loro assistenza e trattamento.

La dottoressa è di Kramatorsk, dove ormai soltanto il primo piano dell’ospedale è funzionante e gli altri sono chiusi. Poteva lasciare la regione, ma dice che le piace molto il suo lavoro. «Sono orgogliosa di essere rimasta e di aiutare le persone. Provo un senso di soddisfazione perché so che hanno bisogno di me e poi hanno parole di gratitudine per quello che faccio».

Il suo orario è dalle otto alle tre e mezza di pomeriggio, ma ha aggiunto un’ora al mattino e si presenta alle sette. Molte pazienti si concentrano al mattino perché alcuni luoghi sono raggiunti da un bus che passa soltanto al mattino e alla sera.

Alla domanda diretta «sei mai finita in situazioni pericolose?»  indica con le sopracciglia in direzione dei rumori della guerra. «Questo è il distretto di Pokrovsk. Ovunque tu vada sei comunque vicino al fronte. Per arrivare qui c’è una strada soltanto e i russi lo sanno e la colpiscono. Non ci penso più», dice.

Yulia Smoldareva, 31 anni, è l’assistente della dottoressa. Le chiediamo: come si sentono le donne incinte in questa situazione? «Posso dirtelo personalmente, dato che sono incinta anch’io – risponde – Ventiseiesima settimana. È spaventoso. A volte molto spaventoso, soprattutto quando arrivano i missili e le bombe. Prima che fossi incinta non era così, pensi ce la faremo. Ma quando ti rendi conto di avere un bambino sotto al cuore di cui sei responsabile hai paura».

Una foto di Yulia Smoldareva all’ospedale di Kramatorsk

Yulia Smoldareva all’ospedale di Kramatorsk (Daniele Raineri/il Post)

«Ma c’è anche un sentimento di gioia, per la maternità – aggiunge – Ed è spaventoso e gioioso. E la maggior parte delle donne dice la stessa cosa. Chiedo loro: hai paura a partorire durante la guerra? Chiedo loro anche: perché non te ne vai? Dicono, non ho un posto dove andare e non ho soldi. Tutto qui».

L’assistente della dottoressa dice che per legge le donne ucraine possono andare in maternità a 32 settimane, ma lei pensa di lavorare fino alla trentaseiesima e poi si preparerà a partorire. Fa molte raccomandazioni alle sue pazienti, ma ammette che a volte è lei la prima a non seguirle.

Yulia spiega che vede anche donne incinte che vengono da altre regioni dell’Ucraina e hanno seguito nel Donbas i mariti e i fidanzati, che fanno i soldati, per stare più vicine a loro. In questo modo i tempi per incontrarsi si accorciano molto e invece che un giorno di treno può bastare anche soltanto un’ora in macchina.