Al Parlamento Europeo sia il PD che la destra si sono divisi sulla politica estera
Uno ha avuto problemi con il piano di riarmo, nell'altra ci sono tre posizioni diverse sull'Ucraina

Dalle votazioni sulla politica di difesa comune e sul rinnovo del sostegno all’Ucraina, avvenute mercoledì al Parlamento Europeo, sia il centrosinistra sia il centrodestra italiano escono profondamente divisi. Nel fronte delle opposizioni è notevole soprattutto la situazione dentro al Partito Democratico: il gruppo degli europarlamentari si è di fatto diviso a metà, in un passaggio molto traumatico che avrà grosse ripercussioni negli equilibri interni del partito guidato da Elly Schlein. Quanto alla destra, i partiti che sostengono il governo di Giorgia Meloni hanno espresso ancora una volta tre posizioni diverse sull’Ucraina; sul riarmo, invece, la Lega è stata l’unica nella coalizione a votare contro.
Il trambusto maggiore, per ora, è nel PD. Dopo aver criticato il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen la scorsa settimana, Schlein si è trovata subito isolata. Sia in Europa, nel Partito socialista europeo di cui il PD fa parte; sia internamente, visto che tanti influenti esponenti del centrosinistra – gli ex segretari del PD Enrico Letta e Walter Veltroni, gli ex presidenti del Consiglio Romano Prodi e Paolo Gentiloni – hanno ribadito la necessità di sostenere il piano, pur riconoscendone i limiti.
A quel punto, si è aperto un confronto assai aspro nel PD, partito dal merito della questione ma che è poi finito per esasperare i tatticismi interni. Infatti per molti esponenti della corrente più moderata, i riformisti cosiddetti, questo posizionamento di Schlein era l’ennesimo indizio di una linea politica che nel corso dei mesi, pur senza mai palesemente contraddire alcuni orientamenti fondamentali soprattutto di politica estera, è andata assumendo connotati sempre più radicali, anche a rischio di entrare in attrito con le indicazioni date dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui il PD è tradizionalmente molto attento.
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Ed è così che il voto di mercoledì ha assunto una certa importanza, per il partito: Von der Leyen aveva infatti deciso di ricorrere a una procedura d’urgenza che le consentiva di fare a meno dell’approvazione del Parlamento Europeo per sottoporre il suo piano ai leader dei 27 Stati membri, ma l’assemblea plenaria di Strasburgo aveva deciso di votare una risoluzione non vincolante ma con un grande valore politico sul nuovo orientamento della Commissione intorno alla difesa comune, con un giudizio specifico anche su ReArm Europe. Lunedì Schlein aveva deciso che il partito avrebbe dovuto astenersi. Una parte consistente del gruppo aveva subito mostrato la propria contrarietà. E tra martedì e mercoledì, in vista del voto, ci sono state tre diverse turbolente riunioni.

Elly Schlein e Peppe Provenzano nell’aula della Camera, il 10 ottobre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Schlein ha evitato di intervenire direttamente: è stata in contatto col capogruppo Nicola Zingaretti e col presidente del PD Stefano Bonaccini, europarlamentare pure lui. A spiegare la posizione del partito è stato più che altro Peppe Provenzano, responsabile degli Esteri della segreteria. Per Provenzano, tra i 78 punti della risoluzione, ce n’erano alcuni irricevibili – come l’esortazione ai vari governi a spendere in difesa almeno il 3 per cento del prodotto interno lordo – e altri problematici, come quello che «accoglie con favore» il piano ReArm Europe. Ma l’astensione consentiva a suo avviso di dimostrare che la contrarietà del PD era al piano proposto da Von der Leyen, non all’obiettivo di una difesa comune. «Non vogliamo bloccare questo primo passo, ma spingere la Commissione a farlo nella giusta direzione», ha ripetuto Provenzano.
Per Schlein c’era però anche un’esigenza di politica interna. Sia il Movimento 5 Stelle sia i Verdi e Sinistra Italiana, cioè i principali alleati alla sinistra del PD, erano risolutamente contrari, e hanno fatto campagne con toni accesi contro il piano di Von der Leyen: votare a favore della politica di difesa promossa dalla Commissione avrebbe significato per Schlein mettere in discussione il suo proposito di un PD «testardamente unitario», cioè determinato a favorire la costruzione di un fronte progressista ampio e compatto.
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Il problema è che tra i Socialisti e Democratici (S&D), il gruppo parlamentare del Partito socialista europeo, le delegazioni tedesche e spagnole erano fortemente convinte della necessità di procedere spediti sulla difesa comune, e quindi convincere tutti gli europarlamentari del PD ad astenersi era oggettivamente difficile.
Schlein ha provato fino all’ultimo a convincere alcuni scettici a seguire la sua linea, con telefonate private ai singoli, messaggi, promesse, richiami alla disciplina, consapevole che ormai il voto stava diventando in una certa misura anche una specie di prova della sua leadership. Alla fine ne è uscita piuttosto indebolita.
A favore della politica di difesa della Commissione, che nel complesso è stata approvata con 419 voti favorevoli e 204 contrari, hanno votato 11 dei 21 componenti del gruppo del PD (Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Elisabetta Gualmini, Giorgio Gori, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Lello Topo e Lucia Annunziata, che ha però, pare, sbagliato a votare, come le è già capitato negli scorsi mesi in passaggi delicati); si sono astenuti, invece, oltre a Zingaretti, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio e Alessandro Zan. In totale, le astensioni nell’assemblea sono state 46: tra i socialisti, oltre ai 10 del PD, uno sloveno, un irlandese e un bulgaro.
Particolarmente notevole, tra le altre, è stata la decisione dell’ex presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini. Dopo aver espresso critiche a ReArm Europe in sintonia con Schlein, Bonaccini ha infine accolto il suggerimento di Prodi e Gentiloni, votando a favore. Non è usuale che il presidente del partito si esprima contro la linea della segretaria in un passaggio così delicato: e infatti, secondo i consiglieri di Schlein, così si chiude la cosiddetta “stagione unitaria” del PD. Si tornerà dunque a una dialettica più conflittuale tra maggioranza e opposizione interna, e Bonaccini perderà un po’ quel ruolo di mediatore che aveva avuto finora, indisponendo peraltro chi, come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, gli chiedeva fin dall’inizio di avere un atteggiamento meno conciliante verso Schlein.
Anche a destra il voto di mercoledì ha creato problemi. La Lega di Matteo Salvini si è schierata fin dall’inizio contro, come il resto dei partiti di estrema destra nel gruppo parlamentare dei Patrioti, sia sulla difesa comune sia sul rinnovo del sostegno all’Ucraina. Forza Italia, al contrario, ha seguito senza molte esitazioni la linea del Partito Popolare, e dunque ha sostenuto entrambe le risoluzioni. Fratelli d’Italia si è trovato, come spesso accade, un po’ nel mezzo. In particolare, le perplessità maggiori si sono concentrate sulla risoluzione che conferma il sostegno dell’Unione Europea all’Ucraina, specie per alcuni passaggi critici nei confronti del nuovo indirizzo diplomatico e militare degli Stati Uniti di Donald Trump.

Giorgia Meloni si consulta col sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, in Senato, il 14 dicembre 2022 (LaPresse)
Meloni e il suo sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, uno dei suoi più fidati consiglieri, quando hanno letto in particolare il punto 5 della risoluzione, lo hanno considerato una sorta di affronto agli Stati Uniti. Lo staff di Meloni ha spiegato queste perplessità anche a importanti diplomatici ucraini, dicendo che questo irrigidimento da parte dell’Unione non aiuta, secondo il governo italiano, neppure l’Ucraina stessa. Nel frattempo, Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, i due principali esponenti di FdI al Parlamento Europeo, hanno tentato di convincere i rappresentanti di Forza Italia a intercedere con il Partito Popolare perché venissero accolte alcune loro proposte, e inserire così nel testo un passaggio che ribadiva la necessità di coordinare gli aiuti all’Ucraina insieme agli Stati Uniti e alla NATO.
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Per Meloni questo passaggio era piuttosto delicato. Da un lato c’è la sua volontà di non indisporre Trump, proponendosi anzi come mediatrice tra la Casa Bianca e l’Europa; dall’altro, Meloni ha necessità di tenere buoni rapporti con Von der Leyen. Dopo vari tentennamenti, e dopo la notizia dell’esito positivo del confronto tra le delegazioni americana e ucraina a Gedda, in Arabia Saudita, Meloni ha deciso martedì sera che il suo partito si sarebbe astenuto.
Serviva però una sorta di alibi che giustificasse la scelta: mercoledì mattina Procaccini ha chiesto, a nome del gruppo dei Conservatori di cui Fratelli d’Italia fa parte, di rinviare il voto. La proposta è stata bocciata, com’era ovvio, e a quel punto Fratelli d’Italia si è astenuta. Non è stata una scelta facile: su questa risoluzione il gruppo dei Conservatori si è diviso più o meno a metà, tra favorevoli e astenuti, e un europarlamentare di FdI, Sergio Berlato, ha votato contro.
Ma soprattutto, il voto ha fatto emergere di nuovo le divergenze nella destra italiana, che dovranno essere ricomposte da qui alla settimana prossima, quando Camera e Senato dovranno votare delle risoluzioni in vista del Consiglio Europeo a cui parteciperà Meloni. La stesura del testo da approvare si sta già rivelando complicata, soprattutto per la fermezza con cui la Lega vorrebbe criticare il piano di riarmo. Martedì, durante un incontro preliminare, il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha detto in modo molto franco ai suoi colleghi che sulla necessità di favorire una tregua al più presto tra Russia e Ucraina «sarebbe bene che stavolta ci ascoltassero, visto che spesso ci abbiamo visto giusto, come ora dimostra il nuovo corso di Trump».